di Giulio Meotti*
Gli ultraortodossi rappresentano un problema per il primo ministro Benjamin Netanyahu, che si è appena alleato con i centristi di Kadima per evitare le elezioni anticipate. Lo Stato ebraico va incontro a una revisione della “Legge Tal” (dall’ex giudice della Corte Suprema Tzvi Tal che ha capeggiato la relativa commissione nel 1999), che ha esonerato gli ultraortodossi dal servizio militare, che in Israele è obbligatorio per tutti. Lo scorso febbraio la legge è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema. Un tema, quello degli “haredim”, che sta dominando il panorama politico e ideologico israeliano. Il loro motto è: “Prima la Torà, poi lo Stato”. La loro ipoteca demografica sul destino del paese è profonda. Daniel Hartman, a capo dello Shalom Institute di Gerusalemme, prefigura l’avvento dello “Stato halachico” (la legge della Torà). Un po’ allarmista, ma resta il problema di come integrare e far funzionare la grande pancia ultraortodossa del paese.
La segregazione sugli autobus di cui si parla molto da un anno, ad esempio, non è stata una iniziativa privata ultraortodossa ma del governo israeliano, che per primo la sostenne nel 1997. Fu Yitzhak Levy, all’epoca ministro dei Trasporti, a lanciare l’idea per incoraggiare gli ultraortodossi a utilizzare i mezzi pubblici, considerati “indecenti”. Gli haredim nutrono ora il desiderio di sfondare lo “status quo”, ovvero un insieme di leggi non scritte dovute alla consuetudine. Anche se i religiosi sono riusciti a imporre alcune regole, come il rispetto nei pubblici servizi delle regole alimentari, è stato un patto non scritto a salvaguardare l’armonia: la scelta compiuta da David Ben Gurion quando decise di non scrivere nessuna Costituzione e di lasciare alla lotta politica la convivenza fra laici e religiosi, fra il kibbutz e la Torà. Oggi il fragile equilibrio è messo in discussione dalla nuova demografia e gli ortodossi sono all’offensiva. Persino il ministro della Giustizia, Yaakov Neeman, ha detto che a governare lo Stato d’Israele sarà la legge della Torà. “Passo dopo passo, noi restituiremo ai cittadini d’Israele la gloria delle leggi della Torà e faremo della Halakhà la legge fondamentale dello Stato”, ha tuonato Neeman, che non è ultraortodosso ma un tecnico di formazione. Si parla già di un terzo delle scuole religiose del paese che ha adottato il modello haredi di separazione fra studenti maschi e femmine.
Il peso dei religiosi è cresciuto, anche visivamente: intere città e quartieri fatti di terrazze fatiscenti dove le donne e i bambini si accalcano, e gli uomini offrono i petti incavati coperti dal talled e davanti ai poliziotti e alle poliziotte lanciano sassi, sacchi di spazzatura e sputi quando sentono violato lo shabbath o la loro comunità. Recentemente l’Università di Haifa ha pubblicato un rapporto choc: “Israele 2010-2030, verso lo Stato religioso”. Arnon Sofer, autore dello studio, ha detto che la vera guerra demografica non è fra arabi ed ebrei, ma fra la nuova minoranza ebraica laica e la maggioranza ebraica religiosa. Alla Knesset Sofer ha detto: “Il paese avrà una leadership religiosa nel 2030. Oggi ci sono 700 mila nazionalisti religiosi e 700 mila ultraortodossi. Entro pochi anni, le comunità avranno due milioni e mezzo di membri. Gli unici figli delle famiglie laiche sono i ‘puppies’”. Tradotto: due genitori, un figlio e un cane. Otto sono i figli in media per ogni famiglia ultraortodossa. Non è difficile immaginare chi avrà la meglio.
* Giulio Meotti è giornalista del Foglio dal 2003. È autore di “Non smetteremo di danzare” (Lindau), inchiesta sulle vittime israeliane del terrorismo. Il libro è stato tradotto negli Stati Uniti e in Norvegia. Meotti ha scritto anche per il Wall Street Journal, Commentary, National Review, Arutz Sheva, Jerusalem Post, Fox News, Jüditsche Allgemeine e per Yedioth Ahronoth, primo quotidiano israeliano.