di David Fiorentini
A 44 ore dall’inizio della più vasta operazione di antiterrorismo in Cisgiordania degli ultimi 20 anni, le forze di difesa israeliane si ritirano dalla città di Jenin. Situata nel nord del West Bank, con una popolazione di circa 50 mila persone di cui 10 mila residenti nell’adiacente campo profughi, secondo gli Accordi di Oslo ricade nella giurisdizione della cosiddetta Area A, per cui sotto controllo militare e civile dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Tuttavia, fin dai tempi della Seconda Intifada (2000-2005), l’ondata di terrore palestinese che causò la morte di oltre mille civili israeliani, Jenin fu identificata come il caposaldo logistico di numerose cellule. Da allora, l’IDF ha stretto delle pragmatiche cooperazioni con le forze dell’ordine dell’ANP mirate a contenere e sradicare i movimenti fondamentalisti islamici presenti sul territorio gestito dall’Autorità Palestinese.
Nonostante gli intensi sforzi di intelligence, oggi a Jenin sono operativi almeno tre gruppi terroristici, Hamas, la Jihad Islamica Palestinese (PIJ), e le più recenti Brigate Jenin. Riempiendo il vuoto di potere lasciato dalla vetusta classe dirigente palestinese e sfruttando le infrastrutture locali, i vari movimenti hanno riscosso sempre più supporto tra la popolazione cittadina, guadagnando seguaci e reclutando adepti.
Mesi e mesi di terrore insostenibile
Come detto, la località di Jenin appare spesso tra le carte dell’IDF e dello Shin Bet, il servizio di intelligence interno di Israele, per cui è risaputo che la città sia un centro nevralgico di attività sospette.
Nondimeno, negli ultimi mesi ha fatto le prime pagine dei giornali a seguito della lunga serie di attentati che hanno colpito la quotidianità israeliana, sia in aree di confine sia nel pieno centro di Tel Aviv, togliendo la vita a 24 israeliani e generando forti tensioni. Solo nello scorso anno, quasi 50 attentati con arma da fuoco sono stati eseguiti da residenti di Jenin, e almeno 19 terroristi si sono nascosti nella cittadina palestinese per evitare la cattura e l’arresto.
Una serie impressionante, che ha spinto l’IDF a incrementare le manovre fino ad avviare la più estesa risposta degli ultimi anni.
L’operazione “Bait VaGan” (Casa e Giardino)
Lanciata nella notte tra il 2 e il 3 luglio, l’operazione “Bait VeGan”, che richiama il nome biblico di Jenin, Ein Ganim, ha coinvolto oltre mille militari israeliani con l’obiettivo di smantellare quanto più possibile della rete terroristica cisgiordana.
Durante le 44 ore in cui l’esercito israeliano è stato attivo nella città palestinese, sono stati interrogati oltre 300 sospettati, di cui 30 sono stati prelevati per ulteriori sospetti e circa 300 ordigni sono stati fatti brillare. Per di più, sono stati scovati 8 magazzini di armamenti, 6 laboratori per la produzione di esplosivi e 3 “sale da guerra” da cui comandanti palestinesi osservavano le forze israeliane.
Ufficiali dell’esercito ritengono che la maggior parte dei brigatisti sia riuscita a fuggire dalle proprie abitazioni. Tuttavia, ciò ha ridotto gli scontri a fuoco, facilitando la celerità delle divisioni israeliane.
Nel corso delle operazioni sono stati impiegati elicotteri, droni e i bulldozer corazzati D9, funzionali a contrastare eventuali mine posizionate ai bordi delle strade. Alcune, infatti, sono state scoperte nei pressi di ospedali e moschee, in zone densamente abitate, mettendo a repentaglio la sicurezza anche dei civili.
In quasi due giorni di scontri incessanti, secondo le fonti sanitarie palestinesi sono state uccise 12 persone, ferite oltre 100 e circa 4000 persone sono state costrette a evacuare le proprie abitazioni. Il portavoce dell’IDF Contrammiraglio Daniel Hagari ha invece affermato che le vittime sono state 18, tutte coinvolte in attività che ponevano una minaccia alla sicurezza nazionale, ma che a causa dell’alta densità abitativa vari civili sono rimasti feriti nel fuoco incrociato. Hagari ha inoltre negato le accuse di aver forzato la popolazione locale ad abbandonare Jenin.
Dal lato israeliano, ha perso la vita un militare, il ventitreenne Sergente David Yehuda Yitzhak dell’unità Egoz, proprio al principio della manovre di messa in sicurezza funzionali all’evacuazione della città.
Nel complesso Bait VeGan ha dato dimostrazione della risolutezza israeliana nel contrasto alla violenza palestinese, ma alti officiali israeliani hanno già affermato che ulteriori attività seguiranno nelle prossime settimane per completare il lavoro intrapreso in questi giorni, auspicando di smembrare il sistema alla base della recente ondata di attacchi palestinesi.
Le reazioni all’operazione in Israele
Come spesso accade, in tempi difficili la politica mette da parte le divergenze e mira al bene comune. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha espresso il pieno appoggio alla missione e al diritto di Israele di difendersi, così come l’ex ministro della Difesa Benny Gantz.
D’altro canto, in alcune aree dello Stato si sono verificati degli scontri con la polizia in protesta alla campagna israeliana, in particolare a Haifa dove sono stati arrestati 7 manifestanti o a Tel Aviv dove due membri arabi-israeliani della Knesset, Ayman Odeh e Ofer Cassif del partito arabo Hadash-Ta’al, hanno denunciato pubblicamente “l’occupazione criminale” israeliana.
L’attentato a Tel Aviv
Il 4 luglio a Tel Aviv un’auto lanciata sulle persone che aspettavano l’autobus alla fermata ha causato 8 feriti. Hamas ha lodato l’attacco terroristico a Tel Aviv, descrivendolo come “una eroica vendetta per Jenin”. Il capo della polizia Yaacov Shabtai racconta ai giornalisti la dinamica dell’attacco: l’attentatore è arrivato a bordo di un furgone ed ha centrato una fermata di un autobus. Subito dopo ha cominciato ad accoltellare i passanti. L’aggressore è stato fermato dall’intervento di un civile israeliano armato, che gli ha sparato uccidendolo sul colpo.
תיעוד הפיגוע בתל אביב: דורס, יוצא דרך חלון הרכב ומתחיל במסע דקירות pic.twitter.com/hWehOrdkMJ
— כאן חדשות (@kann_news) July 4, 2023