di Aldo Baquis
Riuscirà Israele a restare fuori dalla guerra in Siria? Malgrado le reticenze a intervenire, la presenza dell’Iran al fianco di Assad rischia di compromettere lo staus quo. Ma molto dipende da Putin e Trump
Con l’approssimarsi dell’estate gli orizzonti di Israele tornano a incupirsi e nuovi conflitti si profilano all’orizzonte. Nel Sinai gli elementi filo-Isis – che da anni tengono testa all’esercito egiziano – moltiplicano le minacce verso Israele, in particolare su Eilat. A Gaza, Hamas è rimasto disorientato dalla misteriosa uccisione di un suo comandante militare: presume sia stato eliminato da agenti israeliani e minaccia ritorsioni ai vertici di sicurezza di Israele. In Cisgiordania prosegue l’“intifada a fuoco lento” con frequenti tentativi di accoltellamenti e attacchi con veicoli lanciati sui passanti; nel frattempo, nei campi profughi i servizi di sicurezza dell’ANP perdono terreno nei confronti di milizie armate. Al confine nord, gli Hezbollah libanesi moltiplicano le minacce alle retrovie israeliane: nel mirino, avvertono, c’è anche il grande contenitore di ammoniaca a Haifa. Se esplodesse, si avrebbero migliaia di vittime. Ma il confine che più dà pensiero agli strateghi israeliani è quello sul Golan, con la Siria, dove è in corso un rapido deterioramento della situazione. Il rischio è che, suo malgrado, Israele sia trascinato nel terribile vortice della guerra che da sei anni insanguina la Siria.
In questi anni Israele ha cercato in tutti i modi di tenersi fuori da quel conflitto. In linea di principio, Israele preferisce misurarsi con un regime coerente – anche se minaccioso – piuttosto che con situazioni di anarchia armata. Con l’andare degli anni la macchina militare siriana si è erosa e, dietro pressioni di Barack Obama, il 95 per cento del suo arsenale chimico è stato distrutto o trasferito all’estero. Ciò nonostante, la sopravvivenza del regime di Bashar Assad resta ancora la minaccia principale per il Paese: perché questi è stato puntellato prima dall’Iran e dagli Hezbollah, e in seguito dalla Russia. Assad al potere equivale dunque a una rafforzata presenza militare iraniana a Damasco e a Beirut: dunque subito oltre la Galilea e le alture del Golan. L’Iran, del resto, non fa mistero che è intervenuta in Siria per restarci definitivamente: fra i suoi progetti, la costruzione di un proprio porto a Latakya. In quest’ottica, la minaccia dell’Isis è, per Israele, di importanza relativa. Diversamente dagli altri Paesi occidentali, Israele vede nell’Iran e non tanto nell’Isis il nemico che deve assolutamente essere sbaragliato in Siria.
Malgrado le grandissime reticenze a intervenire militarmente in Siria, Israele si è visto di volta costretto ad agire. In genere lo ha fatto di notte, contro obiettivi specifici, senza assumere la paternità degli attacchi: una ventina in tutto, secondo fonti ufficiose, negli ultimi tre-quattro anni. Nei suoi colloqui con i dirigenti di Washington e di Mosca, il premier Netanyahu ha illustrato le “linee rosse” di Israele in Siria, affinché venissero da loro chiarite ad Assad, nonché all’Iran e agli Hezbollah.
Innanzitutto Israele non può tollerare attacchi dalla Siria contro le località israeliane sul Golan; anche esplosioni accidentali, di razzi sparati nei combattimenti fra l’esercito siriano e le forze ribelli, saranno visti come attacchi premeditati, e dunque innescheranno ritorsioni proporzionali. In secondo luogo, Israele si oppone alla presenza di armi chimiche in Siria: esse dovranno essere eliminate nella loro totalità. In terzo luogo, Israele si opporrà con ogni mezzo al trasferimento da parte dell’Iran agli Hezbollah di armamenti sofisticati che “rompano gli equilibri’’: ad esempio di missili terra-mare di fabbricazione russa che minaccerebbero le rampe israeliane dei giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo e anche le rotte di navigazione civile per Haifa. Di volta in volta, dalla Siria sono giunte informazioni di convogli colpiti in attacchi aerei: probabilmente si trattava appunto di forniture agli Hezbollah.
Oltre a queste “linee rosse” c’è, negli ultimi mesi, un’altra presa di posizione molto netta di Israele: ossia la determinazione a impedire in tutti i modi che gli Hezbollah mettano radici nel Golan siriano, così come hanno fatto nel Libano meridionale. Israele ha trovato un modus vivendi con gruppi islamici locali che si sono attestati in quella che un tempo era la zona smilitarizzata fra il Golan controllato da Israele e il resto della Siria. Fra i tanti mali, in questa fase, sembra quello minore. L’idea di Netanyahu è che oltre il Golan controllato da Israele si venga a creare una “zona cuscinetto” che tenga così a distanza di sicurezza gli Hezbollah e le milizie iraniane. In questi mesi, in quella zona, Teheran sta aiutando la penetrazione di una milizia sciita irachena, Al-Najba, la cui missione è “liberare il Golan siriano’’. Sovvenzionata con fondi ingenti e armata in maniera cospicua, questa milizia cerca di crearsi un’area di azione fra i drusi della Siria meridionale, minacciando sia Israele sia la Giordania.
Nel corso di cinque incontri in un anno, Netanyahu ha cercato di raggiungere intese ad hoc sulla Siria con Vladimir Putin. Il suo obiettivo era di far accettare a Mosca le “linee rosse” di Israele e garantire all’aviazione israeliana libertà d’azione nei cieli siriani affollati di altre aviazioni militari fra cui, appunto, quella russa. L’esito di quei contatti è stato finora, a giudizio di Israele, più che soddisfacente. Ma negli ultimi mesi, mentre lo Stato islamico iniziava a barcollare, Assad ha cominciato a convincersi di essere prossimo alla vittoria e ha iniziato a mostrare i propri artigli nei confronti di Israele, trascinando con sé Mosca. Il caso più eclatante è stato, ad aprile, l’attacco chimico a Idlib. Quando il Ministro della Difesa israeliano Lieberman ha rivelato che esso era stato condotto “dalla A alla Z” da Assad – contraddicendo in pieno la versione di Mosca – Putin ha replicato con una telefonata stizzita a Netanyahu. Ed ora c’è chi si chiede se i delicati equilibri fra Russia e Israele messi a punto in Siria riusciranno a resistere a queste crescenti pressioni. Anche perché molto dipende dalla dinamica nelle relazioni fra Putin e il neo-eletto Trump: dopo l’iniziale sintonia, col dramma di Idlib le loro strade si sono separate e ogni previsione sul futuro risulta azzardata. Inoltre – diversamente da altri Paesi della Regione, come la Turchia – Israele è assente ai negoziati internazionali sul futuro assetto della Siria. Fra le varie possibilità vi è anche quella che Assad riporti sul tavolo la questione delle alture del Golan, occupate da Israele 50 anni fa. La Russia potrebbe allora condizionare il ritiro delle forze iraniane – una volta che si prospettasse la possibilità di costituire un nuovo regime sovrano in Siria – a un ritiro di Israele dall’intero Golan. Una prospettiva certamente remota, ma tutt’altro che tranquillizzante.