Maccabi contro Hapoel: una sfida interminabile

Israele

di Luciano Assin

Come in molti altri campi della vita israeliana anche lo sport è stato enormemente influenzato dalle lotte politiche sviluppatesi nel movimento sionista negli anni precedenti alla creazione dello Stato. Basti dire che ancora oggi lo sport israeliano è diviso in quattro organizzazioni polisportive frutto delle lotte politiche e ideologiche degli anni Venti e Trenta del XX secolo.

Stiamo parlando del Maccabi, tradizionalmente identificato con gli strati borghesi della società, dell’Hapoel (il lavoratore), creazione del Sindacato (l’Histadrut), e simbolo della sinistra; del Beitar, l’alternativa dei partiti di destra e dell’Elizur rappresentante dei movimenti religiosi ma decisamente meno presente sul territorio a livello nazionale. Col passare del tempo le tensioni politiche si sono abbassate ma i simboli sono rimasti gli stessi: le maglie dell’Hapoel sono generalmente di colore rosso e il loro stemma è quello di un operaio stilizzato circondato dai classici simboli della falce e martello.

Fra le quattro organizzazioni, il Maccabi e l’Hapoel sono nettamente più presenti sul territorio rispetto alle altre e si occupano dei più svariati sport, ad ogni livello. In molti villaggi arabi e cittadine in via di sviluppo sono proprio il Maccabi e l’Hapoel le uniche in grado di mantenere delle strutture sportive funzionanti ed efficienti.

È davvero difficile immaginare quanto le lotte politiche abbiano enormemente influenzato lo sviluppo dello sport israeliano. L’Histadrut, l’onnipotente sindacato israeliano, aveva come progetto di base quello di fondare delle strutture sociali adatte a servire la creazione di uno stato socialista, non a caso il compito primo delle società Hapoel formatesi nella metà degli Anni Venti era quello di incoraggiare lo sport popolare e non agonistico, lo slogan di allora era: “sport per le masse e non per i campioni” (in ebraico suona meglio).

Il Maccabi aveva imboccato una strada più neutra e apolitica, cercando per quanto fosse possibile di trovare dei compromessi. Delle tensioni politiche di allora è rimasto molto poco, principalmente l’attacamento ai colori: rosso per l’Hapoel e giallo per il Maccabi (un romanista doc avrà senz’altro dei problemi di schizofrenia a tifare per una delle due). La passione per il calcio, Israele l’ha ereditata dal mandato britannico che grazie alle numerose forze militari dispiegate nella Palestina di allora aveva formato diverse squadre di calcio e una di queste, la polizia militare, è detentrice di uno dei campionati antecedenti alla creazione dello Stato d’Israele.

Immagino che il carattere levantino del Paese ci abbia risparmiato sport forse più nobili ma senz’altro molto più noiosi quali il cricket, il polo, le bocce o le freccette. Per la cronaca: il Maccabi Tel Aviv detiene il maggior numero di campionati vinti, 20, contro l’Hapoel che ne ha vinti solo 13, ma non bisogna scordarsi che per un lungo periodo i “lavoratori” boiccottarono il campionato perchè giudicato troppo borghese.

Il pubblico dei tifosi locali è decisamente più tranquillo di quello dei  colleghi italiani e gli incidenti legati a episodi di violenza sono di poco conto. Il modello da imitare è quello del calcio inglese sia per l’agonismo sia per lo spettacolo, con la speranza di poter attrarre allo stadio la famiglia media al completo. Per concludere, una piccola curiosità: durante gli anni 70 ho militato nelle file del Maccabi Milano sotto la guida del mitico Jimmy Strong, z”l: essendo la palestra della scuola ebraica inadatta ad ospitare incontri ufficiali, giocavamo le nostre partite casalinghe nella palestra “Forza e coraggio” che tradotto in ebraico (hazak ve’maz) altro non è che il motto del movimento giovanile Hashomer Hatzair, parte delle forze politiche di sinistra: segno che la convivenza è possibile, soprattutto nello sport.