Medaglia d’oro per la Resistenza alla Brigata Ebraica

Israele

di Stefano Scaletta (Tel Aviv)

Il giorno 3 ottobre è avvenuta finalmente la consegna ufficiale della medaglia d’oro per la Resistenza alla Brigata Ebraica. A ritirare la prestigiosa onorificenza, ad oltre un anno dalla promulgazione della legge che ne rimarcava “il notevole contributo alla Liberazione della Patria”, 9 reduci all’epoca volontari nell’esercito britannico, fra cui, unico italiano del gruppo, Piero Cividalli (92), arruolatosi nella Brigata Ebraica all’età di diciotto anni.

Inquadrati nell’Ottava Armata, i soldati della Terra di Israele compirono una scelta di coraggio e contribuirono, assieme agli Alleati, alla sconfitta del nazifascismo, responsabile di aver trasformato l’Europa in un enorme campo di concentramento e sterminio. I 5200 soldati della Brigata Ebraica, una parte del contingente composto da oltre 30.000 volontari ebrei provenienti dalla Palestina governata dagli inglesi, presero parte al conflitto sul fronte del Senio e parteciparono alla liberazione di alcune città della provincia di Ravenna, in Romagna. Presenti alla cerimonia, tenutasi in Israele presso il museo “Beit Hagdudim” di Avihayil (Netanya), il generale israeliano Kobi Barak e l’Ambasciatore italiano Gianpaolo Benedetti, il quale ha sottolineato l’amicizia che lega lo Stato d’Israele e l’Italia ribadendo, al momento della consegna della medaglia, “la gratitudine del popolo italiano verso coloro che scelsero di combattere per liberare la Patria dal nazifascismo”, e che “la storia della Brigata Ebraica è parte integrante della nostra memoria collettiva”. Anche Noemi Di Segni, presidente Ucei, ha preso parte alla cerimonia: “Abbraccio forte i reduci della Brigata intervenuti quest’oggi e le loro famiglie; noi celebriamo oggi un comune ideale di vita e di libertà”.

Soddisfatta anche la deputata del Partito Democratico Lia Quartapelle, prima firmataria della legge, che relativamente al contributo della Brigata Ebraica aveva sostenuto l’importanza di tale provvedimento come “riconoscimento della difficile scelta compiuta per liberare il nostro paese, nonostante le leggi razziali”. Tale contributo fu significativo anche nel dopoguerra. In Italia i volontari ebrei si prodigarono infatti per aiutare i profughi scampati dai campi di concentramento o sfuggiti ai rastrellamenti nazifascisti a ritrovare i propri cari, allestendo centri di raccolta, all’interno dei quali venivano distribuiti beni di prima necessità come cibo e indumenti, riaprendo scuole, centri di culto e luoghi di aggregazione.

A Milano, ad esempio, fu attivato dai soldati della Brigata Ebraica, affiancati dai volontari ebrei dei corpi ausiliari, un centro rifugiati presso Palazzo Erba Odescalchi, in via Unione 5, un tempo sede del gruppo fascista “Armatore Sciesa”. Dal momento che la sinagoga di via della Guastalla era stata data alle fiamme, il Cln aveva affidato ai “palestinesi” dell’esercito inglese il compito di riorganizzare la comunità ebraica milanese, allo scopo di offrire un rifugio ai molti ebrei sfollati che tornavano in città. Anche la scuola ebraica di via Eupili 8, sede odierna del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, fu riaperta dagli ebrei dell’esercito britannico, i quali si fecero carico di organizzare perfino alcune gite scolastiche a beneficio di quei bambini perseguitati, scampati all’arresto e alla deportazione, che avevano vissuto parte della propria infanzia nascosti in provincia o presso alcuni conventi cittadini.

Con particolare merito va segnalata l’attività della 178° e della 650° compagnia ebraica del RASC (Royal Army Service Corps), le quali avevano supportato la Brigata Ebraica al fronte, in Romagna. Nella città di Milano, nei mesi che seguirono la fine del conflitto, erano presenti anche gli ebrei volontari del Royal Engineers, nonché altre due compagnie interamente ebraiche del RASC, la 745° e la 739° compagnia. Mentre la Brigata Ebraica contribuiva a ricucire il tessuto sociale, istituzionale e religioso ebraico laceratosi durante gli anni della persecuzione nazifascista, l’edificio di via Unione divenne il fulcro di ogni attività della comunità israelitica, rimanendo tale almeno fino alla metà del 1950. In breve, come ricorda Primo Levi, “il centro si trasformò nel punto di convergenza dei profughi ebrei di tutta Europa”, un importante snodo di passaggio nel viaggio verso la Palestina fra il confine con l’Austria e i porti della Liguria e del sud Italia, un viaggio passato alla storia con il nome di Aliya Bet.

Piero Cividalli, unico superstite italiano della Brigata Ebraica, ha ricordato con queste parole l’Italia del dopoguerra: “Era un’Italia affamata, in tutti i sensi, perché mancava tutto: sapone, cibo, i generi più comuni. Ricordo un paesaggio completamente distrutto dalla guerra e figure magre che si aggiravano in cerca di qualcosa da mangiare”, mentre a margine della cerimonia, sulle ragioni del suo arruolamento volontario nella Brigata specifica: “Mi arruolai volontario molto giovane, mosso da un forte sentimento di antifascismo e dal desiderio di contribuire alla sconfitta di quelle che per me erano le forze del male in Europa”. Nel maggio 1945, ad un mese dalla fine della guerra in Italia, la Brigata Ebraica fu trasferita a Campo Rosso, nei pressi del Tarvisio, dove avvennero i primi contatti con i profughi reduci dai campi di sterminio. In questo particolare frangente, i soldati provenienti dalla Terra di Israele offrirono il proprio aiuto a quanti intendevano raggiungere la Palestina Mandataria, avviando delle vere e proprie staffette verso i principali porti della penisola, fra cui Napoli e La Spezia. Ben presto, la voce che gli ebrei in armi organizzavano e agevolavano il passaggio di molti correligionari in Eretz Israel, talvolta fornendo documenti falsi e divise militari ai profughi per eludere i controlli, si diffuse e fu intercettata dai comandi britannici.

Dal momento che persistevano ancora pesanti limitazioni circa l’ingresso di immigrati ebrei nel Mandato britannico, gli inglesi decisero di trasferire, nel mese di luglio, la Brigata Ebraica nel nord Europa, prima in Olanda e poi in Belgio. Anche qui, nelle città di Bruxelles e Amsterdam, la Brigata assunse il doppio compito di forza di liberazione e centro organizzativo di assistenza ai profughi. Nel giugno 1946, infine, venne formalizzato l’ordine di scioglimento della Brigata Ebraica. “Ricevere la medaglia d’oro è per me una grande emozione” ha affermato commosso Cividalli, “questo importante riconoscimento mi rende felice, ma non cancella tuttavia il dolore provato al tempo delle Leggi Razziali, nel 1938, in seguito alle quali la mia famiglia decise di abbandonare definitivamente l’Italia”.

L’Anpi Milano: “Dobbiamo essere grati alla Brigata Ebraica”

Molto soddisfatto del riconoscimento si è detto Roberto Cenati dell’Anpi Provinciale di Milano. “Tutti noi dobbiamo essere grati ai 5.000 soldati della Brigata ebraica che si sono resi protagonisti, con abnegazione e anche con sacrificio della vita, di azioni decisive, come il primo sfondamento della linea Gotica e l’ingresso in numerose località dell’Italia centrale. Una pagina di coraggio che ancora pochi oggi conoscono ma che ha rappresentato un contributo fondamentale per liberare il nostro Paese dal nazifascismo. Questo importantissimo riconoscimento costituisce una forte risposta e un fermo monito alle vergognose e ignobili contestazioni antisemite, sempre stigmatizzate con fermezza dall’ANPI Provinciale di Milano, all’indirizzo della Brigata Ebraica, verificatesi, negli ultimi anni, nel corso della manifestazione nazionale del 25 aprile. Bisogna con forza ribadire che chi offende il simbolo della Brigata ebraica, si pone definitivamente fuori dalla storia e ingiuria l’intero patrimonio storico della Resistenza italiana che è stata un grande moto unitario di popolo e di Combattenti per la Libertà”.