di Sofia Tranchina
È morto, è gravemente ferito, non si sa, è in ottime condizioni. Il gatto dalle sette vite, il fantasma che infesta il Paese e l’ospite che non si ferma due notti di fila, il comandante del braccio armato di Hamas Mohammed Deif pare sia sfuggito all’ennesimo tentativo di Israele di eliminarlo.
Sabato 13 luglio un raid israeliano vicino al campo Al Mawasi, a Khan Yunis, avrebbe avuto come target principale proprio l’elusivo “arciterrorista”.
“È stato colpito un complesso che Hamas aveva recintato di alberi, in un’area aperta che non fa parte degli attendamenti degli sfollati palestinesi – dichiara l’IDF. “È stata colpita una zona umanitaria piena di sfollati – lamentano dall’altra parte – che proprio l’IDF aveva indicato come zona sicura”.
Quale che sia il caso, l’esercito israeliano non ha mai fatto mistero che – finché i terroristi si nascondono tra i civili, e finché i civili nascondono nelle loro case ostaggi israeliani o personaggi ricercati del braccio armato di Hamas – le zone sicure non sono poi tanto sicure.
I target, spiegano i canali ufficiali di Israele, erano il comandante della Brigata Khan Yunis Rafaa Salameh, il direttore generale del ministero dell’economia di Hamas Osama Nofal, e il comandante delle Brigate al-Qassām Mohammed Deif. I primi due parrebbero eliminati, mentre della sorte del terzo “non c’è certezza”, dichiara il premier Netanyahu in una conferenza stampa.
L’attacco, aggiunge, è avvenuto grazie a un sofisticato lavoro di intelligence e solo dopo una sua valutazione riguardo all’assenza di ostaggi nei paraggi e all’entità del danno collaterale previsto.
Parrebbe che collaboratori anonimi sapessero dove si trovavano i vertici di Hamas e che l’opportunità operativa di colpire Deif e Salameh ha preso forma “solo nelle ultime ore” precedenti l’attacco.
È morto, è gravemente ferito, non si sa, è in ottime condizioni, dicono fonti diverse.
Hamas salta sulla sedia: “la scusa di colpire Deif è una sciocchezza inventata da Israele per nascondere i suoi crimini”. E in poche ore il Ministero di Hamas dichiara ad alJazeera di aver contato 90 morti e 300 feriti, come al solito quasi tutti donne e bambini. Che non ci siano più uomini adulti a Gaza?
“Tutti i martiri sono civili”, sostiene il portavoce Sami Abu Zuhri. Gli fa stranamente eco la testata italiana fanpage: «se dell’eliminazione di Mohammed Deif non c’è certezza, quel che appare invece certo è che il raid dell’Idf, secondo le cifre fornite da Hamas, ha fatto 90 morti e oltre 300 feriti, soprattutto donne e bambini». Appare certo. Ma certo a chi?
La maggior parte delle vittime erano guardie di sicurezza di Hamas (quindi terroristi), risponde l’emittente israeliana Channel 12.
Il Ministero degli Esteri turco Hakan Fidan, d’accordo con Hamas, sostiene che il raid fosse un tentativo di ostacolare gli accordi di pace, benché il target fosse proprio il più inflessibile oppositore ai suddetti accordi.
Anche il suo collega giordano Ayman Safadi fa una smorfia di disapprovazione, mentre l’Egitto minaccia di bloccare le trattative al Cairo per una nuova tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi, “finché Israele non dimostri serietà”.
Fuori dal coro, il presidente palestinese Mahmoud Abbas – pur condannando l’operazione – inveisce contro Hamas e gli chiede di smettere di dare a Israele pretesti per proseguire le operazioni militari.
«La presidenza ritiene che, sfuggendo all’unità nazionale e fornendo pretesti gratuiti allo stato occupante, il movimento Hamas si assume la responsabilità giuridica, morale e politica per la continuazione della guerra», e con essa la responsabilità di «tutte le sofferenze, distruzioni e uccisioni che ne conseguono», dichiara WAFA, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità nazionale palestinese.
Hamas fa orecchie da mercante e invita tutti i palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme Est a mobilitarsi «per Gaza e in fedeltà al sangue dei martiri», invitando le masse «a manifestare massicciamente contro l’occupazione sionista criminale e i coloni terroristi» e «a impegnarsi in scontri in difesa della nostra [palestinese] terra e del nostro [palestinese] diritto alla libertà e all’indipendenza».
Ma a preoccupare maggiormente Israele è il rischio che le trattative, come minacciato dall’Egitto, si arenino.
Gli israeliani e le proteste contro il governo Netanyahu
Migliaia di israeliani sono scesi in piazza sabato sera a reiterare le richieste di un accordo, ricordando a Netanyahu che la priorità del popolo è riportare a casa gli ostaggi, tutti, adesso.
Solo pochi mesi fa Israele ha eliminato il braccio destro di Deif, Marwan Issa. Ora, l’eventuale morte di Deif rafforzerà l’ostinata caparbietà di Sinwar – che finora ha voluto trattare come un vincitore e ha preteso tanti vantaggi e nessun sacrificio dall’accordo – o lo convincerà che la pressione intorno a lui si è stretta ulteriormente e che non si può più rimandare un cessate il fuoco?
Tutto sta appeso al filo sottile che segna la differenza tra è morto, è gravemente ferito, ed è in ottime condizioni.
Sfuggito a attacco aereo nel 2001, un attacco alla sua auto nel 2002, attacchi ad edifici in cui si trovava o si doveva trovare nel 2003, 2006, 2014 e 2023, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri è il gatto dalle sette vite più ricercato del Paese. Soprannominato Deif (l’ospite) per via della sua vita da nomade ricercato, «è un assassino, è il numero due nella catena di comando di Hamas. È l’uomo che ha pianificato e guidato il massacro del 7 ottobre e altre operazioni terroristiche. Ha il sangue di molti israeliani sulle sue mani», lo descrive il premier Netanyahu. «Il successo (dell’operazione) libererà il Medio Oriente e il mondo da questi assassini e ogni luogo sarà un posto migliore».
Iniziato dai Fratelli Musulmani, arrestato nel 1990 per il suo coinvolgimento con Hamas e rilasciato dopo solo 16 mesi, è l’uomo che ha reso quello che sono le brigate Brigate al-Qassam, l’ala militare dell’organizzazione islamista Hamas.
«Caro fratello» dello spietato generale iraniano Qasem Soleimani (così lo chiamava nella loro corrispondenza), ha imparato a costruire bombe da Yahya Ayash in persona, e ha pianificato diversi attacchi suicidi tra cui i due attentati sugli autobus di Jaffa Road a Gerusalemme (45 morti) e il massacro di Purim al centro Dizengoff a Tel Aviv (13 morti).
Sfuggito dall’arresto dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 2000, nel 2006 ha organizzato il raid che ha portato al rapimento di Gilat Shalit.
Ma soprattutto si ritiene abbia pianificato il massacro del 7 ottobre, che ha portato alla morte di 1200 israeliani (la maggior parte, sì, civili), al rapimento di 247 ostaggi, e alla scomparsa di circa 150 persone.
Niente paura, rassicura il premier Netanyahu: «dall’inizio della guerra ho detto che la sorte di tutti i comandanti di Hamas sarebbe stata la morte, che li avremmo ritenuti responsabili e li avremmo uccisi», reitera, «perché vittoria non è una parola priva di significato».