L’occasione doveva essere l’inaugurazione di una nuova scuola palestinese a Betlemme. Per questo decine e decine di attivisti pro-palestinesi da tutta Europa si erano dati appuntamento domenica 15 aprile all’aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv.
La “flytilla”, come è stata ormai ribattezzata questa ennesima missione degli attivisti filo-palestinesi, è stata bloccata sul nascere: il ministero degli interni israeliano aveva stilato infatti una lista di circa 1200 persone non gradite nel paese; molte di queste persone sono state “fermate” prima ancora di poter mettere piede sull’aereo per Tel Aviv. Alcuni si sono visti disdire la prenotazione del volo aereo, altri sono stati bloccati all’aereoporto di Tel Aviv. Qualcuno, nonostante tutto, è riuscito ad entrare nel paese.
Questo blocco imposto dall’alto – e sostenuto evidentemente dai governi a cui la richiesta di blocco era stata diramata – ha portato ancora una volta Israele nell’occhio del ciclone della stampa internazionale. Prime pagine ovunque, in piena continuità con quelle guadagnate con l’affaire Gunther Grass nelle ultime settimane.
Questa volta però il premier Benjamin Netanyahu ha deciso di intervenire e rispondere in prima persona e in una maniera insolita: con una lettera indirizzata a tutti gli attivisti pro-palestinesi, a quelli entrati in Israele e a quelli rimasti bloccati negli aereporti.
“Apprezziamo la tua scelta di Israele come oggetto di preoccupazione per i diritti umani.
Sappiamo che avevi molte opzioni degne” si legge nella lettera
“Avresti potuto scegliere di protestare contro la barbarie quotidiana del regime siriano contro il proprio popolo, che ha provocato migliaia di morti.
Avresti potuto scegliere di protestare contro la brutale repressione del regime iraniano, dare il tuo dissenso al sostegno del terrorismo in tutto il mondo.
Avresti potuto scegliere di protestare contro il governo Hamas a Gaza, dove le organizzazioni terroristiche commettono un doppio crimine di guerra lanciando razzi contro i civili e nascondendosi dietro ai civili. Ma hai scelto di protestare contro Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente, dove c’è parità di diritti per donne, la stampa critica il governo, le organizzazioni dei diritti umani sono libere di agire, c’è libertà di culto per tutti e le minoranze non vivono nella paura.
Ti consigliamo di risolvere prima i problemi reali della zona e poi tornare in Israele per condividere con noi la tua esperienza. Buon volo”.
Una lettera un pò sarcastica se si vuole, ma che, per certi aspetti, traccia una linea di confine, e soprattutto, sembra dire quel che molti pensano: nel Medio Oriente la violazione dei diritti civili, le uccisioni per l’opposizione al regime al potere, sono all’ordine del giorno ( quanto morti in Siria si registrano ogni settimana, chi ne tiene il conto?) ma nessuno o comunque pochi in Europa si scandalizzano e protestano e manifestano per questi morti. Oppure, ancora, queste manifestazioni ci sono ma i giornali non lo dicono, non vi danno importanza. Quel che accade in Israele, nel bene e nel male, chissà perchè, fa sempre più notizia di quel che accade nel resto del Medio Oriente, che sia la quotidiana conta dei morti in Siria o la repressione in Iran. Qualche settimana fa il lancio di una campagna pacifista in Israele (Israel loves Iran) ha attirato attenzione ed elogi da parte dei media di tutto il mondo, compresi quelli israeliani. Pochissimi però si sono ricordati di aggiungere che subito dopo in Iran è partita una campagna gemella (Iran loves Israel. Israelis we never hate you, we love you), e che gli iraniani che vi hanno aderito (a differenza degli israeliani) lo hanno fatto mettendo a rischio la propria “libertà” e vita stessa.