di Avi Shalom
Il premier e ministro degli esteri israeliano Benyamin Netanyahu ha intrapreso da quest’anno una politica di arrembaggio. Israele cessa di attendere passivamente le condanne di organizzazioni internazionali giudicate prevenute nei suoi confronti, né sopporta più le prediche moralistiche dell’Unione Europea. Ora vuole giocare d’anticipo. E se gli Stati Uniti, almeno per il Medio Oriente, danno l’idea di aver assunto una politica remissiva e se l’Ue è assillata dalla crisi economica e dal problema dei migranti, Israele cerca nuovi orizzonti. Ecco così che Netanyahu si proietta in Cina e in Russia, per incontrarvi i dirigenti. Ma i brevi vertici non gli bastano. Ecco dunque che lo spericolato primo ministro di Israele intraprende missioni più laboriose in aree trascurate finora dalla diplomazia israeliana. Dopo aver ospitato in Israele a maggio il primo ministro indiano Narendra Modi per una visita definita “storica”, a giugno Netanyahu è volato nell’Africa occidentale per una conferenza economica di diversi Paesi; a luglio ha incontrato a Budapest i dirigenti di Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia e a settembre si è lanciato in un blitz diplomatico in America Latina, visitando Argentina, Colombia e Messico.
Il suo primo obiettivo è di chiarire all’opinione pubblica interna che è del tutto infondata la tesi dei suoi rivali politici secondo cui la rigidità del suo governo sulla questione palestinese avrebbe causato un grave accerchiamento diplomatico di Israele, a scapito degli interessi nazionali. Dalla sua pagina Facebook, Netanyahu – che è molto restio a concedere interviste – teorizza all’opposto che è ben possibile staccare la questione palestinese dall’insieme di interessi politici, strategici ed economici di Israele.
Una prova tangibile si è avuta quando l’indiano Modi, giunto in Israele accompagnato da decine di uomini d’affari, ha molto lodato le innovazioni tecnologiche di Israele, in particolare nella depurazione dell’acqua, mentre non ha sentito la necessità di percorrere altri 20 chilometri per andare a Ramallah dal presidente Abu Mazen. «Eppure – hanno esclamato alcuni analisti – si trattava pur sempre dell’India, ex Stato guida dei Paesi non allineati!».
In un incontro con i diplomatici del ministero degli esteri, Netanyahu ha illustrato il mese scorso il proprio modus operandi. «Noi sviluppiamo – ha detto – la nostra potenza economica e tecnologica. La cosa ci consente di sviluppare anche quella militare e di intelligence. La combinazione di questi fattori viene poi messa al servizio delle nostre attività diplomatiche». Ne derivano accordi economici importanti che danno ossigeno alle industrie israeliane e la fiducia che Paesi, in passato freddi verso Israele, comincino a votare a suo favore nei forum internazionali, o almeno ad astenersi. Con l’India, Israele ha firmato già ad aprile accordi per due miliardi di dollari relativi alle difese aeree e missilistiche. A livello di intelligence hanno individuato un nemico comune: l’Islam radicale e terroristico. Inoltre, hanno rilanciato la cooperazione nell’agricoltura, nello sfruttamento delle acque, nella ricerca spaziale e nella medicina. Una fame di tecnologie innovative israeliane è stata trovata anche in Africa, dove Netanyahu è giunto alla guida di esperti di agricoltura, di lotta alla desertificazione, di sanità nonché professionisti della “security” di fronte a minacce terroristiche.
E anche in America Latina – dove prima non si era mai verificata alcuna visita di un premier israeliano in carica – è stato accolto con grande calore. «È inconcepibile che nessuno prima di me abbia trovato opportuno visitarla», ha esclamato. La svolta, hanno spiegato a Gerusalemme, è stata favorita anche dalla “caduta di governi populisti di sinistra”. Anche là sono stati firmati accordi di cooperazione nell’agricoltura, nella tecnologia e nelle comunicazioni. L’Argentina gli ha inoltre fornito un importante archivio con le copie di 100 mila documenti relativi alla seconda Guerra mondiale.
Dal punto di vista puramente ideologico, la missione più interessante è avvenuta a luglio, quando Netanyahu ha accolto un invito del presidente ungherese Viktor Orban, per un vertice allargato ai presidenti della Polonia e della Repubblica Ceca. A Budapest c’era nell’aria una campagna elettorale che ha incluso la esposizione di sgradevoli cartelloni nei confronti di George Soros. Il finanziere è stato attaccato per le sue posizioni globalistiche e di sinistra, ma da più parti sono stati notati anche toni antisemiti. Netanyahu, sorprendendo una parte del mondo ebraico, si è là unito alle critiche a Soros, sostenendo che questi «mina alla base di continuo il governo democraticamente eletto di Israele, finanziando organizzazioni che diffamano lo Stato ebraico e che vorrebbero negargli il diritto alla difesa».
Proprio a Budapest – circondato da tre dirigenti dell’Europa dell’Est identificati con la Destra europea – Netanyahu è parso sentirsi finalmente a proprio agio. E là ha dato libero sfogo al suo livore verso l’Ue. «L’Unione Europea – ha esclamato – è l’unica associazione di Stati che pone condizioni di carattere politico ai propri rapporti con Israele. Nessun altro lo fa. Abbiamo rapporti speciali con la Cina, a cui non interessano le questioni politiche. Lo stesso Modi mi ha detto: “Io devo occuparmi degli interessi dell’India. Dove li vado a cercare? A Ramallah?”. La Russia non ci pone condizionamenti politici, nemmeno l’Africa. Solo l’Unione Europea lo fa. È pazzesco. E va anche contro gli interessi stessi dell’Europa. Non bisogna colpire l’unico Stato che (in Medioriente) fa gli interessi dell’Europa. Che si smetta di attaccare Israele, Israele va sostenuto!». L’intervento di Netanyahu avveniva a porte chiuse: ma casualmente, o forse no, un microfono era stato dimenticato aperto e i giornalisti hanno potuto sentirlo distintamente per un quarto d’ora.
Ai leader dell’Europa dell’Est, Netanyahu ha detto poi: «La grande sfida di fronte alla quale ci troviamo tutti noi è quella della crescita dell’Islam estremista, delle ondate di terrorismo che esso fomenta in Medioriente, e che si spingono in Europa, in Africa, in Asia e altrove. Israele – ha proseguito – ha un compito speciale essendo l’unico Paese occidentale nella Regione, l’unico Stato che è in grado di contenere il fenomeno».
I contatti di Israele con Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia – ha assicurato – sono destinati a saldarsi. Una promessa che implicitamente suonava anche come uno schiaffo a Bruxelles e a chi, come Angela Merkel, si fa spesso portavoce in Europa di valori universali.
Finché Netanyahu va in giro per il mondo da commesso viaggiatore dell’ high-tech di Israele, anche l’opposizione parlamentare è disposta a riconoscergli una statura di tutto rispetto. Ma a differenza delle altre tappe, a Budapest il commesso viaggiatore aveva messo in valigia, come merce da esportazione, anche l’ideologia della destra israeliana. “Gli uomini di Orban, i dirigenti polacchi e la destra israeliana sono fatti della medesima pasta – si è indignato su Haaretz lo storico di sinistra Zeev Sternhell. – Sono attivamente impegnati a liquidare l’‘ordinamento liberale’. Lottano contro i diritti umani e contro la separazione delle istituzioni, puntano a un regime dove i tribunali, i mass media, le istituzioni culturali, il mondo accademico e la società civile siano sottoposti tutti al potere”. Sgomento, Sternhell ha aggiunto, riferendosi ai protagonisti del vertice di Budapest: “Tre quarti di secolo dopo la seconda guerra mondiale, personalità della Destra nazionalista, cattolica, odiatori dell’illuminismo, i cui padri hanno assecondato lo sterminio degli ebrei o si sono limitati a guardare, sono adesso visti come i nostri fratelli”.
Come sempre, il giudizio sull’operato passa in definitiva agli israeliani stessi. Dai sondaggi, Netanyahu apprende intanto che anche in futuro il Likud potrà controllare almeno un quarto della Knesset (30 seggi); che la questione palestinese non appare agli israeliani impellente; e che i suoi rivali ipotetici – il centrista Yair Lapid e il laburista Avi Gabbay – non lo insidiano nemmeno da lontano.