di David Zebuloni
Il 23 marzo 2019, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si presentò a sorpresa nello studio televisivo del telegiornale più seguito del paese. La conduttrice Keren Marziano, che quel giorno era presente solo in veste di supplente, si trovò tra le mani l’intervista che ogni giornalista sognava di poter realizzare. Erano passati infatti quattro anni dall’ultimo intervento di Netanyahu davanti alle telecamere di channel 12. Quando Marziano pose a Netanyahu la fatidica domanda sull’immunità parlamentare come eventuale scudo all’imminente incriminazione, Netanyahu la guardò con stupore e rispose: “Cosa? Assolutamente no. La risposta è no”. Il primo di Gennaio, meno di un anno dopo l’intervista, lo stesso Netanyahu si presenta davanti agli elettori e comunica loro che si avvarrà dell’immunità parlamentare.
I retroscena
Prima di trarre conclusioni affrettate, cerchiamo di comprendere cos’è accaduto. Il 2 dicembre 2019, dopo mesi di indagini sulle tre inchieste a cui era stato sottoposto, Netanyahu viene incriminato per corruzione, frode e abuso di ufficio. Il via libera è arrivato dal procuratore generale, Avichai Mendelblit, nominato dallo stesso Netanyahu nel 2016. La reazione di Netanyahu è stata feroce. Il premier israeliano si è dichiarato ferito, vittima di un tradimento che non meritava. Poi ha fatto appello ai suoi elettori sui social, pubblicando un video su Facebook nel quale invitava il popolo ad “investigare gli investigatori”, una frase diventata presto virale. In breve tempo le piazze del paese si sono riempite di manifestanti e la società israeliana si è di nuovo spaccata in due: da un lato chi sostiene Netanyahu e vede in lui un uomo innocente e un leader insostituibile, dall’altro chi lo condanna e chiede il suo ritiro immediato.
Dal momento dell’incriminazione, Netanyahu ha avuto trenta giorni per chiedere di avvalersi dell’immunità parlamentare. E così ha fatto. Allo scadere dei trenta giorni si è presentato davanti alle telecamere, dichiarando che “la legge intende garantire ai rappresentanti del popolo di poter agire per il popolo secondo la sua volontà”. Un diritto, quello dell’immunità, che non ha la valenza di annullare il processo, bensì di rimandarlo soltanto. A detta di Netanyahu, la richiesta ha come unico obiettivo quello di dargli la possibilità di continuare a svolgere il suo lavoro di Capo di Governo senza distrazioni. Secondo i suoi oppositori politici invece, Netanyahu sta cercando di guadagnare tempo in vista delle prossime elezioni, che si terranno il 2 marzo per la terza volta nell’ultimo anno. Il verdetto spetta dunque alla Knesset, che si unirà per sentenziare solo dopo la formazione del prossimo governo, ovvero non prima di tre mesi dal giorno della sua richiesta.
Il tramonto di Netanyahu?
Che si tratti della fine di un’era? Alcuni sostengono che Netanyahu sia arrivato al capolinea, che sia solo questione di tempo, che presto sarà obbligato a cedere il suo seggio in Parlamento, ma altri dati ci mostrano una realtà ben diversa. Nello scontro testa a testa tra Netanyahu e Saar, Netanyahu vince con il 72% dei voti e si riconferma così capo del partito Likud. Inoltre, secondo i sondaggi, Netanyahu otterrà nelle prossime elezioni un numero di mandati non inferiore a quello ottenuto nel girone precedente. Un traguardo importante visti gli ultimi avvenimenti, ma probabilmente non sufficiente per riuscire a formare un governo.
Tutto ciò che resta da fare, è aspettare.