di Ilaria Myr e Naomi Stern
Ha fatto il giro di tutto il mondo il video che ritrae il judoka israeliano Or Sasson mentre tende la mano al suo sfidante, sconfitto, l’egiziano Islam El Shahaby, che si rifiuta invece di ricambiare il gesto. L’incontro, durato poco meno di un round, ha visto l’israeliano, quinto nel ranking mondiale, vittorioso. A fine incontro, quando Or Sasson si è avvicinato all’avversario e gli ha teso la mano, El Shahaby è indietreggiato, schivando la mano dell’avversario e scuotendo la testa (clicca qui per il video). Dopo il richiamo dell’arbitro, il judoka egiziano è tornato sui suoi passi e ha fatto un rapido cenno con la testa, rifiutandosi poi di commentare. E se è vero che non è la stretta di mano a essere obbligatoria all’inizio e alla fine dell’incontro, bensì l’inchino – questa la scusa avanzata da El Shahaby dopo le polemiche – resta comunque il rifiuto dell’egiziano ad avere qualsiasi contatto con l’israeliano.
Le minacce a El Shahaby
Sembra che, come riportato dai media, a El Shahaby fosse stato intimato da voci nazionaliste e islamiche di ritirarsi completamente. Un utente su Twitter aveva perfino scritto: “Sarai la vergogna dell’Islam. Se perderai porterai vergogna sull’intera nazione e su te stesso” e ancora “Non vogliamo pensare a cosa accadrà se perderai contro un israeliano. La vittoria non ti darà nulla. Come si può collaborare con una nazione assassina?”. Mataz Matar, un conduttore televisivo della rete islamica Al-Sharq, aveva esortato il combattente egiziano a ritirarsi. “Figlio mio, attenzione. Non essere ingannato o ingannare te stesso pensando che, gareggiando contro l’atleta israeliano e sconfiggendolo, renderai l’Egitto felice. L’Egitto piangerà; l’Egitto sarà triste e tu sarai visto come un traditore agli occhi del tuo popolo”. Alla luce di ciò, si spiegherebbe quindi la sua dichiarazione alla rivista francese Esprit di Judo il giorno dopo i fatti: “Non ho alcun problema con gli ebrei o con persone di altra religione o di altri credo. Ma per ragioni personali non mi si può chiedere di stringere la mano a chiunque venga da questo Stato, soprattutto di fronte al mondo intero”. Proprio in questa precisazione sta tutta la motivazione di El Shahaby. Il suo gesto quindi non aveva nessun motivo sportivo, ma assolutamente politico.
Ma allora perché i media hanno interpretato il suo rifiuto solo come mancanza di etica sportiva, senza sollevare – se non in rari casi – il problema dell’odio contro Israele? Eppure, di casi simili durante i Giochi ne erano già avvenuti due: il primo ha visto gli atleti libanesi non far salire quelli israeliani sull’autobus che doveva portarli allo stadio Maracanà, mentre il secondo ha visto la judoka Joud Fahmy ritirarsi dall’incontro contro la sfidante delle maurtius, per non ‘rischiare’ di dover gareggiare contro l’israeliana Gili Cohen. Come ha scritto chiaramente Fiamma Nirenstein sul suo blog, in un articolo dal titolo eloquente “Vergogna, a Rio vince l’odio per gli ebrei”: “Il primo episodio avrebbe già dovuto allarmare e destare una reazione immediata: gli atleti israeliani stanno per salire sull’autobus che li deve portare al Maracanà, all’apertura, proprio il primo giorno che dovrebbe essere tutto spirito sportivo e entusiasmo e gli atleti libanesi si parano davanti alla portiera impedendogli di salire. Condividere un bus con gli ebrei? Il Libano è il Paese degli Hezbollah? E quando mai? Gli autobus sono un ben noto luogo di apartheid, ci sale solo chi è puro e degno. Non gli atleti israeliani.”
E poi, perché la Federazione Internazionale di Judo si è limitata a considerare un segno di progresso il fatto che l’incontro tra Or Sasson e Islam El Shahaby avesse avuto luogo? Il portavoce Nicolas Messner ha infatti dichiarato: “Il fatto che i paesi arabi hanno accettato di combattere contro Israele è già un grande miglioramento”, aggiungendo che non è un obbligo stringere la mano all’avversario, quanto invece lo è gareggiare. Un tentativo di minimizzare il fatto?
Intanto, il Comitato olimpico internazionale ha dato il via a una commissione disciplinare dopo il gesto dell’atleta egiziano, affermando che “lo spirito olimpico deve essere quello di costruire ponti e mai di alzare muri“. Si spera che almeno da lì arrivi una condanna unanime dei gesti di odio, e la decisione di squalificare dai Giochi chi si macchia di gesti così gravi.
Come è noto, El Shahaby ha annunciato il suo ritiro, mentre Or Sasson ha poi vinto la medaglia di bronzo: una medaglia, che vale molto più di un oro.