di Davide Foa
Il 19 febbraio, tra qualche giorno, la nostra camera dei deputati dovrà esprimere il proprio parere in merito a una questione che sembra interessare sempre di più l’opinione pubblica mondiale: il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Non è certo l’Italia il primo paese a interrogarsi in merito. L’ONU (29 novembre 2012), il Parlamento Europeo (17 dicembre 2014) e gran parte dei parlamenti nazionali europei, si sono già dichiarati favorevoli al riconoscimento di uno Stato palestinese. L’Italia, quindi, non fa altro che seguire una tendenza ormai generalizzata.
Non dovrebbero esserci troppi dubbi sull’esito della votazione; anche nel Palazzo di Piazza Montecitorio la maggioranza dei deputati dovrebbe esprimersi a favore.
Ma quali saranno – se ci saranno – i reali vantaggi derivanti da questo riconoscimento? Perché proprio oggi si mostra, più forte che mai, la volontà di istituzioni politiche, nazionali e internazionali, di esprimersi su questo tema?
A questo e a molto altro si è cercato di dare una risposta durante la conferenza “Il Dilemma del Riconoscimento: La sinistra italiana e lo Stato di Palestina”, organizzata da da Sinistra per Israele e Jcall Italia e tenutasi presso il CAM Garibaldi lunedì 9 febbraio.
Tanti gli ospiti chiamati a chiarire le idee del pubblico; oltre ai tre deputati, Pia Locatelli (PSI), Arturo Scotto (SEL) e Lia Quartapelle (PD), erano presenti anche Janiki Cingoli, Direttore centro italiano per la pace in Medioriente, Giorgio Gomel, rappresentate di Jcall Italia, e Carmel Luzzatti, giornalista israeliano. Il tutto moderato da Luciano Belli Pace, membro del gruppo “Sinistra per Israele”.
“Per me il riconoscimento è solo un mezzo, il dilemma è piuttosto come arrivare alla pace”, questo il pensiero di Pia Locatelli che specifica come “i socialisti hanno da sempre una storia di buoni rapporti sia con Israele sia con la Palestina”.
Per far sì che le due parti possano negoziare è necessario, secondo la relatrice, che ci sia una condizione di parità; in questo senso “il diritto all’autodeterminazione non deve essere negoziato”.
C’è chi invece sostiene che il riconoscimento debba avvenire all’interno di un processo di negoziazione; questa è la posizione di molte mozioni presentate nei parlamenti europei e così la pensa anche il Partito Democratico. Anche il PD vuole il riconoscimento di uno Stato palestinese, come conferma la deputata Quartapelle; il problema è che “mancano 10 giorni, e non abbiamo ancora un testo di mozione depositato. Vogliamo una mozione il più unitaria possibile”, spiega la relatrice.
Un consenso ampio è necessario, dice anche Arturo Scotto, capogruppo di SEL alla camera. “L’Italia è sempre meno influente negli scenari del mediterraneo”, secondo Scotto, e davanti ad un’Europa che rischia di perdere la propria identità, “abbiamo il dovere di guardare in faccia la nostra storia e impegnarci in questo sforzo, consapevoli di poter dare anche solo un piccolo contributo alla riapertura del negoziato. Una presa di posizione dell’Europa toglie alibi a israeliani e palestinesi, mettendoli di fronte alla necessità di discutere alla pari”.
In tutto questo va però fatta una precisazione. Ci pensa Janiki Cingoli: “Con il voto a favore nell’assemblea dell’ONU, l’Italia ha già riconosciuto lo Stato di Palestina”.
È stato poi preso in considerazione il crescente isolamento di Israele, analizzato come un dato di fatto; lo Stato ebraico oggi appare isolato davanti a un sentimento comune, europeo e no, che vorrebbe il riconoscimento dello Stato di Palestina. Quindi le scelte della politica israeliana, oggi, non vengono più supportate dall’esterno. Questo isolamento è un fattore negativo per Israele, e rappresenta in un certo senso una novità rispetto al passato; è soprattutto evidente di fronte al numero sempre più alto di mozioni presentate dai Paesi europei; tra queste, la meglio formulata è comunque, secondo Cingoli, quella del Parlamento Europeo, che prevede una soluzione a due Stati basata sui confini del ‘67, con Gerusalemme capitale di entrambi.
Questo è il momento per parlarne, forse anche perché si presenta “una situazione irripetibile”, come la definisce Giorgio Gomel. “In un momento come questo, in cui il Medioriente è sotto la minaccia del fanatismo islamico, c’è forse un convergere di interessi fra Israele, gli Stati arabi moderati e l’Autorità Nazionale Palestinese”.
I vantaggi del riconoscimento non sarebbero solo per i palestinesi, secondo Gomel, in quanto “si riaffermerebbe la risoluzione 181 dell’ONU, del novembre 1947, che prefigurò la nascita di uno Stato ebraico e di uno Stato palestinese: quindi riconoscere la Palestina sarebbe anche un riconoscimento dello Stato ebraico, ancora oggi difficile da accettare per molti Paesi arabi.”
Il nostro però rimane uno sguardo esterno: come si vive il dibattito in Israele?
“Non c’è nessun dibattito politico in Israele sul conflitto; la stessa sinistra attacca Bibi solo da un punto di vista personale”; questo dice il giornalista israeliano Luzzatti, che si mostra fin da subito in controtendenza con le opinioni espresse da chi l’ha preceduto.
“I confini mediorientali stanno cambiando e questo non è un buon momento per un accordo tra israeliani e palestinesi; oggi il riconoscimento della Palestina non porterebbe alla pace”. Il punto della questione, secondo il relatore, è la mancata presa di responsabilità da parte del leader dell’ANP, Abu Mazen. “Dal riconoscimento dell’ONU, due anni fa, ad oggi, Abu Mazen non ha fatto nulla”.
Comunque vada la votazione del 19 febbraio, la questione rimane complessa e proprio per questo motivo, come ben sottolinea Belli Paci, “non ha bisogno di tifosi, non deve essere vista in bianco e nero ma a colori, proprio come ci hanno dimostrato questa sera i nostri ospiti.”