di Ilaria Ester Ramazzotti
Non basta più dire che un prodotto alimentare è “made in Israel”. Sull’etichetta è necessario specificare se proviene dai territori della Cisgiordania. Lo ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, interpretando un regolamento già esistente che tutela l’interesse dei consumatori a conoscere l’origine dei beni.
La Corte ha interpretato il regolamento europeo del 2011, in materia di informazioni sugli alimenti, per esprimersi su un caso francese, che vedeva l’Organisation juive européenne e la Vignoble Psagot contro il ministero francese dell’Economia e delle Finanze. Il caso era scaturito in merito ai prodotti di un’azienda vinicola con sede nei pressi di Gerusalemme.
“Gli alimenti originari dei territori occupati dallo Stato di Israele – si legge nella sentenza – devono recare l’indicazione del loro territorio di origine accompagnata, nel caso in cui provengano da un insediamento israeliano all’interno di detto territorio, dall’indicazione di tale provenienza”. Questa la motivazione: “Il fatto di apporre su alcuni alimenti l’indicazione secondo cui lo Stato di Israele è il loro Paese d’origine, mentre tali alimenti sono in realtà originari di territori che dispongono ciascuno di uno statuto internazionale proprio e distinto da quello di tale Stato (che sono occupati da quest’ultimo e soggetti a una sua giurisdizione limitata, in quanto potenza occupante ai sensi del diritto internazionale umanitario), sarebbe tale da trarre in inganno i consumatori”. Di conseguenza, “la Corte ha dichiarato che l’indicazione del territorio di origine degli alimenti in questione è obbligatoria, al fine di evitare che i consumatori possano essere indotti in errore in merito al fatto che lo Stato di Israele è presente nei territori in quanto potenza occupante e non in quanto entità sovrana“.
Il ministero degli Esteri israeliano ha criticato la decisione della Corte di Lussemburgo e ha comunicato che la sentenza “è uno strumento in una campagna politica contro Israele” e che “riduce le probabilità di raggiungere un accordo di pace e contraddice le posizioni dell’Unione europea sul conflitto. Rafforza anche le posizioni di gruppi radicali anti-israeliani”.