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Crescono come funghi, con appartamenti miliardari che vanno a ruba in pochi giorni. I grattacieli d’Israele sono diventati il termometro di un divario sociale sempre più profondo, mentre il welfare ha innestato le retromarcia. Eppure l’economia è in crescita e ha retto bene la crisi mondiale. Permettendo a Israele di raggiungere un grado di benessere e di sviluppo paragonabile ai livelli europei
Prima si fa scattare il cronometro, quindi si apre il rubinetto. Quattro minuti hanno a disposizione gli israeliani per farsi la doccia quotidiana. Allo scadere del tempo massimo l’acqua continua logicamente a scorrere, ma a un prezzo molto più elevato. Dopo sette inverni di siccità, la penuria di acqua è grave. Ad ogni appartamento ne viene assegnata dunque una quantità minima pro capite, a un prezzo politico. Chi spreca, riceve bollette salate.
In questi mesi la vita in Israele è divenuta una lotta costante contro il caro-vita. È salito il prezzo del pane, poi anche quello della benzina che ha trascinato un aumento dei prezzi dei trasporti pubblici. In costante lievitazione anche gli affitti degli appartamenti e gli interessi sui prestiti bancari. Per molti salariati l’appuntamento con la fine del mese è un’amara scommessa: riusciranno i nostri eroi a far quadrare i conti?
Eppure, a leggere la stampa specializzata, l’economia israeliana ostenta una invidiabile buona salute. Sulla base degli “Indici della solidità nazionale” messi a punto dal professor Rafi Melnik, negli anni 2009-2010 Israele ha fatto meglio di molti altri Paesi industrializzati. Ha saputo far fronte alla crisi economica mondiale e ha sorpassato Spagna, Irlanda e Nuova Zelanda. Israele si trova allineato con Danimarca, Svezia, Finlandia e Corea del Sud. “La strategia macro-economica del governo israeliano ha dato buoni frutti”, ha osservato l’esperto.
Ma prima di abbandonarsi alla euforia, occorre anche rendersi conto “che Israele non è riuscito a tradurre questi successi economici in una riduzione del divario sociale interno. Non che i meno abbienti non abbiano migliorato la propria condizione. Ma il divario – rileva Melnik – è cresciuto”. Fine del ceto medio? Quasi.
Il centro di ricerca sociale Advà ha verificato che negli anni 2000-2009 le fasce intermedie della società sono andate assottigliandosi. Una parte della piccola borghesia si sta impoverendo, ha bisogno di sostegni, di sussidi. Si è trattato di un decennio non facile. Gli anni 2002-2006 sono stati duramente segnati dalla intifada, la rivolta palestinese. In quegli anni tutti gli strati sociali sono stati penalizzati. Avevano ripreso fiato nel 2007, ma poi è sopraggiunta la bufera economica mondiale. Solo dal 2009 è stato possibile iniziare a recuperare il terreno perduto.
Ma l’espansione dell’economia, dicono gli esperti, non “filtra” quanto dovrebbe verso il basso, verso i meno abbienti. La percentuale di quanti percepiscono un “salario minimo” era del 29.1 per cento nel 2000: otto anni dopo è salita al 32,8 per cento. Si parla di un salario di circa 3.850 shekel mensili, circa 700 euro. (Nei prossimi mesi salirà a 4.100, e nel 2012 a 4.300 shekel).
Grattacieli per milionari
Chiunque sia passato negli ultimi mesi da Tel Aviv, avrà probabilmente notato la celere costruzione di un impressionante numero di lussosi grattacieli. Mesi fa la società Ghindi ha messo in vendita un intero grattacielo che progetta a Sharona, di fronte al ministero della difesa. Centinaia di persone si sono contese gli appartamenti -il più economico costava 1,5 milioni di shekel- e in pochi giorni l’intero edificio è stato venduto.
Dunque ci sono israeliani che hanno milioni di shekel in eccedenza. Nota Ruthy Sinai su Maariv che il premier Benyamin Netanyahu percepisce 30 mila shekel al mese, ossia dieci volte la paga di un funzionario statale di basso rango. Eppure – prosegue sbalordita – c’è una elite economica che guadagna “dieci volte più del premier, cento volte più dell’impiegato”. Sono dirigenti di istituti pubblici e di grandi aziende. Possibile, si interroga, che la loro responsabilità, per quanto grande, sia superiore a quella di Netanyahu?
Le diseguaglianze sociali non sono state certo inventate in Israele e probabilmente ingiustizie più gravi possono essere indicate anche altrove. Ma, secondo i dati del Centro Advà, il divario sociale tende in Israele ad allargarsi in maniera costante. E inoltre, più di molti altri Paesi, Israele ha un bisogno assoluto di difendere la cosiddetta “solidarietà sociale”. Come fa notare Tali Nir, direttrice del Dipartimento per i diritti sociali ed economici della Associazione per i diritti del cittadino, “l’ingiustizia economica mina alla base la solidarietà sociale, provoca alienazione fra i diversi settori della società. La povertà -oltre al suo ovvio legame con crimine, malattie e mortalità- trasforma la partecipazione democratica in un privilegio”.
Due società parallele
Celebre da sempre per i suoi servizi sociali all’avanguardia, Israele ormai da tempo sta facendo retromarcia: nella educazione, ad esempio, e nella sanità. Si creano così due società parallele, distinte: quella dell’alta borghesia, che vive in aree di opulenza (il 27,3 per cento), e quella di quanti devono arrangiarsi con “uno stipendio medio, oppure meno di tanto”, (il 72,7 per cento). Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Ufficio centrale di statistica, lo stipendio medio lordo è oggi di 8.777 shekel.
Questo stato di cose incrina inevitabilmente la coesione nazionale che in passato si è rivelata determinante per Israele, per far fronte ai nemici esterni.
Ad appesantire ulteriormente la situazione vi sono gli sconvolgimenti regionali nei Paesi arabi limitrofi che hanno provocato un aumento immediato del prezzo del petrolio. L’Egitto, probabilmente anche per ragioni politiche, ha repentinamente sospeso le forniture di gas naturale che rappresentavano il 40 per cento del fabbisogno israeliano di energia.
Inoltre il relativo sgretolamento dei vertici militari in Egitto ha creato nel Sinai una situazione di instabilità che rischia di minacciare Israele. Il confine lungo il Sinai (250 chilometri) dovrà essere fortificato in tempi accelerati. E se il Paese vicino tornasse a rivelarsi nemico, occorrerà riorganizzare adeguatamente le forze corazzate.
Si tratta di spese impreviste per il governo, resesi urgenti con l’inizio del 2011.
Il ministro della difesa Ehud Barak ha già anticipato che nei prossimi anni Israele potrebbe chiedere agli Stati Uniti aiuti supplementari per un importo di 20 miliardi di dollari. E l’esperienza insegna: nei periodi di burrasca, le istanze sociali sono le prime ad essere accantonate.