di Giovanni Panzeri
Sono stati diversi i momenti di tensione durante un’udienza di oltre 13 ore tenuta dalla Corte Suprema nella giornata di martedì 12 settembre, alla presenza di tutti e 15 i giudici, fatto senza precedenti nella storia israeliana.
La Corte si è riunita per ascoltare gli argomenti pro e contro l’eventuale abolizione della legge sul principio di ragionevolezza recentemente approvata dalla Knesset, un emendamento alle leggi fondamentali d’Israele, che limiterebbe nettamente la possibilità delle istituzioni giudiziarie di abrogare decisioni governative.
Come riportato dal Times of Israel la discussione si è sviluppata principalmente su due punti: “Se la Corte Suprema possieda il diritto d’intervenire sulle leggi fondamentali israeliane, e se la legge sul principio di ragionevolezza ponga una minaccia così grave alla democrazia da giustificare un intervento della Corte”.
“Un gran numero di giudici, esclusi i più conservatori,” continua il ToI “ ha indicato tramite domande e commenti che sono fondamentalmente in disaccordo con l’affermazione del governo secondo cui la Corte non avrebbe il diritto di intervenire sulle leggi fondamentali, e che sarebbe grave se la Knesset avesse il diritto di approvare leggi chiaramente anti-democratiche senza possibilità d’intervento giuridico”, sul secondo punto invece la Corte è sembrata più indecisa e molti giudici, compresi quelli con tendenze più moderate o liberali, hanno espresso dubbi riguardo al fatto che la legge sulla ragionevolezza ponga una minaccia tale alla democrazia da dover richiedere un intervento tanto drastico.
“Non possiamo decidere di abrogare una legge fondamentale come se niente fosse” ha dichiarato la presidente della Corte Hester Hayut “Possiamo farlo solo se rappresenta un pericolo mortale per le fondamenta democratiche del nostro stato”
La dichiarazione d’indipendenza
Durante la discussione diversi giudici hanno asserito che il diritto della Corte di intervenire sulle leggi fondamentali deriva dalla Dichiarazione d’Indipendenza del 1948, che definisce Israele uno stato “ebraico e democratico”, e quindi darebbe ai giudici la responsabilità di salvaguardare la democraticità d’Israele contro eventuali decisioni della Knesset.
In risposta il rappresentante del governo, Ilan Bombach, ha negato la validità della Dichiarazione come documento legale: “Perché le firme di 37 persone non elette su un documento incompleto e redatto frettolosamente dovrebbero condizionare le generazioni future? ”
Il commento, che ha ricevuto l’approvazione del giudice conservatore David Mintz, ha generato in aula parecchio scalpore e il rappresentante del governo ha incalzato affermando che il potere della Knesset, al contrario, deriva dalla risoluzione di Harari nel 1950, che decretò come la ‘costituzione’ di Israele sarebbe stata costituita da una serie di leggi fondamentali, stipulate nel corso del tempo da un comitato specifico e approvate dalla Knesset, invece che da un singolo documento. “Lo Stato d’Israele non è stato costituito dalla provvisione Harari del 1950” ha ribattuto il giudice Alex Stein “è stato costituito tramite la Dichiarazione d’Indipendenza”.
Il dibattito sul principio di ragionevolezza
Nonostante le remore verso l’abrogazione unilaterale di una legge fondamentale, diversi giudici si sono espressi contro il provvedimento del governo.
“L’obiettivo della legge è liberare il governo da ogni tipo di supervisione giudiziaria- ha affermato il giudice Vogelman -: questa è la verità”.
Il giudice Amit ha espresso invece la convinzione che, più che la legge sulla ragionevolezza in se, ad essere un pericolo mortale per la democrazia è la riforma giudiziaria nel suo insieme. “La democrazia” ha affermato “sta morendo in una serie di piccoli passi”.
Il punto più alto di tensione si è tuttavia raggiunto durante il discorso tenuto da Simcha Rothman, parlamentare di maggioranza e uno dei principali architetti della riforma. Come riportato dal ToI il parlamentare “ha definito la Corte un’élite privilegiata e un regime oligarchico interessato esclusivamente a proteggere se stesso”.
“Quale sarebbe la giustificazione di negare la possibilità del popolo di esprimere la propria opinione e cambiare la legge, tramite libere elezioni?” ha chiesto.
I giudici hanno accusato Rothman di sfruttare l’occasione per fare propaganda politica.
“Che dovrebbe succedere se la Knesset improvvisamente decidesse che le elezioni si tengano ogni 10 anni,” ha ribattuto il giudice Anat Baron “o di togliere agli Arabi il diritto di voto, o di proibire il viaggio durante lo Shabbat?”
A questo Rothman ha risposto che, a differenza della Corte, se non piace un governo può essere sostituito tramite elezioni.
La seduta non è risolutiva, e una decisione della Corte Suprema, se ci sarà, potrebbe richiedere ancora diversi mesi, ma ha fatto emergere con chiarezza spaccature e divergenze nella politica Israeliana che non riguardano solo contingenze contemporanee.