di Anna Balestrieri
Come risorgiamo dalle ceneri creando una società resiliente in senso socio-ambientale?” È a questa ed altre domande che hanno cercato di rispondere gli esperti durante “Una scomoda verità: effetti ambientali della guerra a Gaza,” il webinar di AISSI, l’Associazione studiosi e scienziati italiani in Israele.
Esaminando da vicino gli impatti ecologici e sulla salute pubblica del conflitto in corso nella regione meridionale di Israele ed a Gaza, Nadav Davidovitch dell’Università Ben Gurion ha rappresentato con crudezza i danni a breve ed a lungo termine del 7 ottobre, sia sui pazienti sia sugli operatori sanitari.
L’emergenza ospedaliera
Israele si è vista sottoposta ad una pressione decuplicata su ospedali inadatti ad assorbire numeri così elevati di vittime, con strutture non completamente adeguate non solo ad accogliere così tante emergenze, ma nemmeno a proteggere pazienti e personale dai bombardamenti quotidiani, che non hanno risparmiato nemmeno le banche del sangue. Un esempio tra tutti, gli ospedali del sud Soroka e Barzilai, che accolsero in un solo giorno 700 feriti quando potevano assorbirne un massimo di 150. Dei ricoverati, 120 erano in condizioni critiche e la drammaticità dell’emergenza non permetteva nemmeno di accertarne il nome.
Il danno psicologico
Un trauma psicologico che riguarda non solo quanti sono stati vittime immediate di Hamas, in guerra o nel tragico giorno dell’invasione armata. Ma anche l’ambiente ospedaliero, che in Israele è fiore all’occhiello di diversità, cooperazione e coesistenza, sottoposto ad uno stress tanto drammatico da non poter essere paragonabile nemmeno a quanto subito a seguito degli eventi dell’11 settembre.
Il paese, ha ricordato Davidovitch, ha risposto con un’ondata incontenibile di volontari che a tratti ha persino contribuito al balagan, al disordine, nella difficoltà di gestire migliaia di evacuati, sfollati dapprima dalle comunità adiacenti alla Striscia e poi da nord per la minaccia di Hezbollah e da Eilat per gli attacchi degli Houthi. Cinque mesi che hanno messo il servizio sanitario israeliano e la salute dei cittadini a dura prova. Davidovitch ha sottolineato l’importanza di un approccio integrato che includa sia interventi sanitari sia sociali per affrontare le conseguenze a lungo termine del conflitto.
In una delle crisi più gravi del sistema sanitario, supportare i lavoratori come individui e come team, calcando su rispetto e solidarietà reciproci con l’obiettivo comune di prendersi cura dei pazienti, è, secondo Davidovitch, la priorità in agenda. Insieme ad un’attenzione alle cure riabilitative, con 40 nuovi pazienti che richiedono assistenza fisica e/o psicologica ad ogni nuova settimana di combattimento.
Lo scenario a Gaza
La drammatica situazione igienico-sanitaria a Gaza rappresenta una minaccia anche per Israele, data la sua vicinanza geografica. Il danneggiamento delle infrastrutture idriche a Gaza non solo solleva preoccupazioni umanitarie, ma anche ecologico-epidemiologiche, poiché potrebbe causare la diffusione di malattie infettive. Circa il 50% dell’acqua potabile in Israele proviene da impianti di desalinizzazione situati vicino al mare di Ashkelon, al momento inaccessibili a causa della contaminazione, che ha un impatto diretto anche sulla pesca.
Marcelo Sternberg, ecologo all’Università di Tel Aviv, ha esordito con uno splendido accento argentino rivolgendo il suo pensiero agli ostaggi detenuti a Gaza ed ai loro familiari. L’attenzione di Sternberg si è rivolta ai danni ecologici della guerra.
Il danno ambientale
La diminuzione del numero di uccelli migratori è evidente nel lago di Hula, importante habitat per le gru. Questa diminuzione potrebbe essere causata dall’esplosione delle bombe, che ha scoraggiato gli uccelli dal passare attraverso la regione. Inoltre, il riscaldamento globale si fa sentire in modo particolarmente intenso in Israele, con effetti che si manifestano non solo durante l’estate, ma in tutte le stagioni dell’anno.
La guerra ha inflitto pesanti danni a Gaza, con oltre il 70% dei palazzi distrutti e la creazione di enormi quantità di rifiuti. L’industria edile, responsabile del 6% delle emissioni di gas serra, contribuisce ulteriormente agli impatti ambientali del conflitto, poiché la produzione di cemento e ferro richiede una grande quantità di energia.
La sicurezza alimentare è pure una preoccupazione crescente, poiché molti lavoratori nel settore agricolo e della carne erano palestinesi provenienti da Gaza. Nonostante la produzione locale di carne, come il pollo, fosse significativa, una grande parte del cibo è ora importata, con più dell’80% proveniente da fonti esterne. Questo evidenzia la necessità di sviluppare una produzione alimentare più sostenibile e di promuovere la sicurezza alimentare nella regione, considerando anche il danno subito dal mancato contributo di lavoratori stranieri, come quelli provenienti dalla Thailandia.
L’importanza della cooperazione
La lezione appresa dalla pandemia di COVID-19 è che le malattie non conoscono confini; è quindi cruciale promuovere la cooperazione regionale e l’integrazione tra università e organizzazioni sociali per affrontare queste sfide in modo efficace. Questo approccio potrebbe contribuire a mitigare gli impatti delle guerre sulla salute pubblica e sull’ambiente, proteggendo sia le comunità locali che quelle limitrofe.
Il webinar di martedì 5 marzo ha attirato oltre cinquanta partecipanti italofoni, dimostrando un forte interesse della comunità italiana in Israele per le questioni sollevate e un impegno concreto per lavorare verso gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. La collaborazione tra AISSI e il Comitato degli Italiani all’Estero (Comites) di Tel Aviv ha reso possibile questo importante dibattito, evidenziando il potenziale per un dialogo costruttivo e azioni concrete per affrontare le sfide socio-ambientali nella regione.