di Luciano Assin
“Non ci sarà niente, perché non c’è niente, perché non c’è stato niente”. È il mantra che accompagna da un paio d’anni i discorsi del primo ministro Benjamin Netanyahu nei riguardi di almeno cinque capi d’accusa riguardanti diversi casi giudiziari nei quali è implicato. In tutto questo periodo il premier israeliano si è sempre rivelato sicuro e padrone della situazione nonostante che la fila di molti dei suoi più stretti collaboratori pronti a testimoniare a suo sfavore si infittisca di giorno in giorno.
Ma una piccola crepa, anzi una grossa breccia sta incrinando la fortezza dei coniugi Netanyahu. Questa volta a finire sotto accusa è la moglie Sara, incriminata per aver frodato le casse dello stato gonfiando le spese di gestione sia della residenza ufficiale sia di quella privata dove di volta in volta venivano ospitati personaggi ufficiali. L’ammanco in questione è stimato nell’ordine degli 85.000 NIS.
Sara e Bibi non sono certamente dei morti di fame, e quindi è difficilmente spiegabile il motivo di un tale comportamento. C’è chi parla di taccagneria e c’è chi sostiene che la “matriarca” come viene talvolta soprannominata, abbia raggiunto un livello di megalomania tale da ritenersi al di sopra delle leggi. In più di un’occasione ha affermato che Israele a suo marito stava stretto e che avrebbe potuto diventare senza problemi Presidente degli Stati Uniti, anche perché fino alla maggiore età deteneva la cittadinanza americana. E con tutta la poca simpatia che detengo nei suoi confronti, sono convinto che Bibi non avrebbe sfigurato rispetto a molti suoi possibili predecessori.
Ritornando alla “first lady” israeliana la decisione di incriminarla è stata presa giovedì scorso dopo un’inchiesta lunga e tormentata visto che né la polizia né la procura erano così entusiaste di gestire una patata incandescente di simili dimensioni. A prendere la decisione finale è stato il capo della procura, Avihai Mandelblit. Mandelblit è considerato da tutti un uomo onesto, incorruttibile e capace di tenere testa alle enormi pressioni politiche a cui sarà sottoposto in tutto questo periodo. Sia da destra che da sinistra. Per il primo ministro israeliano l’autentica beffa del destino deriva dal fatto che sia il capo della procura, sia il capo della polizia, erano nomine sue personali. Mandelblit era stato per numerosi anni uno dei suoi più stretti collaboratori, mentre il capo della polizia, Ronny Alsheh, era stato prelevato dai servizi segreti giocando sulla sbagliata previsione di aver scelto un personaggio più malleabile.
Dal punto di vista legale Mandelblit è un “Attorney General” meglio conosciuto in Israele come haYoez hamispatì (il Consulente legale) è un misto fra il Procuratore Generale (e quindi capo della pubblica accusa) e un consulente legale che si assicuri che il comportamento del governo e dei suoi ministri si svolga nei limiti della legalità. Il consulente legale ha il diritto, molti dicono anche il dovere, di mettere in guardia il governo sulla promulgazione di leggi chiaramente in contrasto con le norme fondamentali del Diritto israeliano (una specie di Costituzione) e nei casi estremi di rifiutarsi di rappresentare il governo nei dibattiti a seguire di fronte alla Corte Suprema.
Nel passato era già successo che la moglie del primo ministro in carica avesse compiuto delle irregolarità, questa volta finanziarie. Sto parlando di Leah Rabin, la moglie del compianto premier Ytzhak Rabin. Alla fine del suo mandato come ambasciatore israeliano negli USA, la moglie Leah non aveva estinto un conto corrente in dollari in una banca estera, cosa allora proibita. Quando nel 1976 la stampa israeliana montò lo scandalo, Rabin si dimisse dall’incarico senza prendersela coi media, la polizia o la magistratura. Ma si vede che erano altri tempi.
La soluzione più probabile nel caso Netanyahu (Sara) sarà quasi sicuramente un patteggiamento volto ad arrivare ad una sanzione pecuniaria e forse ad un pena con la condizionale. Fra pochi giorni la magistratura israeliana entrerà nella pausa estiva, e ci sarà tempo per tutti per definire nuove strategie. Il buon senso dovrebbe portare Sara ad una soluzione onorevole che le eviti un iter processuale che non farebbe che danneggiare la sua immagine già non poco brillante. Ma come ho scritto poc’anzi il buon senso è una qualità che difetta nella “matriarca”.