“Quando salgono sul ring, i due avversari sono vicini. E sono come fratelli”. “Ansimano, sudano, e qualche volta sanguina loro il naso, ma appena suona la campana e finisce il round, anche le tensioni si spengono”.
A parlare così è Gershon Luxemburg fondatore insieme al fratello Eli, del Jerusalem Boxing Club. Gershon e il fratello Eli erano già campioni di pugilato quando nel 1972 dal natio Uzbekistan decisero di emigrare in Israele e aprire nove anni dopo un boxing club. Ma i due fratelli Luxemburg non hanno dimenticato le loro origini russe. Chi scende nel seminterrato dell’ex rifugio antibombe del quartiere di Katonimin, a Gerusalemme ovest, sentirà parlare non solo in ebraico e in inglese, ma anche in russo, e talvolta anche in arabo. Perchè a frequentare la palestra non sono solo gli israeliani ma anche immigrati dall’est Europa e palestinesi. Questi ultimi spesso capiscono l’ebraico; ma capita che qualcuno di loro parli soltanto arabo e dunque ci sia bisogno di tradurre loro le istruzioni del coach.
La palestra Luxemburg è un po’ come un microcosmo di Gerusalemme, dove però, a differenza di quel che accade fuori, scontri e tensioni durano il tempo di un match di boxe.
“Per me è facile cogliere l’odio negli occhi di qualcuno” dice Gershon, “ma qui dentro non l’ho mai visto”. Nonostante il pugilato sia uno sport violento, israeliani e palestinesi non sono mai arrivati a scontrarsi dentro la palestra. Se fuori vivono al limite della segregazione, qui sembrano trovare uno spazio di coesistenza: corrono, saltano la corda, si affrontano come avversari sportivi qualsiasi.
Luxemburg rivela che molti aspiranti pugili hanno un passato difficile alle spalle, “ma imparare a combattere, dice, allenta le tendenze alla violenza”. “Quando qualcuno ha fiducia in sé stesso, non va a cercare lo scontro; non ha bisogno di lanciare pietre. Lo sport tiene unite le persone. Quando ti trovi sul ring di fronte all’altro, quando gli sei così vicino da sentirne l’odore… tutto si svolge su un piano diverso”.
Durante i tornei Luxemburg lascia che i suoi allievi colpiscano forte, anche con una certa crudeltà, ma durante gli allenamenti, dice, “devono tenere un comportamento civile, persino cordiale gli uni verso gli altri”.
Ismail Jafrei, 37 anni, camionista di Gerusalemme est e allievo del Boxing Club Luxemburg, sostiene che il trucco sta nel lasciare la politica fuori della porta. “Quando facciamo le nostre mosse, ci lasciamo dietro le spalle politica, religione e tutto il resto. Nel club siamo tutti fratelli. Ci alleniamo e alla fine ci stringiamo la mano e ognuno va per la sua strada”.
Yehuda Luxemburg, israeliano, 23 anni, nipote di Gershon e Eli, concorda con Ismail: “Siamo pugili e basta, non importa se uno è israeliano e l’altro arabo. C’è qualcosa di puro nel pugilato, unisce le persone”.
I pugili israeliani hanno raggiunto un certo successo anche a livello internazionale. Molti di essi sono immigrati russi, come il campione dei pesi superwelther, Yuri Foreman, o il peso massimo Roman Greenberg, soprannominato il Leone di Sion.
Alcuni dei giovani del Boxing Club Luxemburg hanno partecipato anche ai giochi olimpici e ai campionati europei, ma il sogno nel cassetto è quello di organizzare a Gerusalemme un torneo a cui partecipino pugili di tutte le religioni, e magari perché no, avere ospite anche Muhammad Ali.
“Non importa se essi diventeranno o no campioni di pugilato, conclude Gershon Luxemburg, l’importante è che essi diventino campioni nella vita”.