Shelly la “sgobbona”, nuova leader dei Labour

Israele

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All’età di cinque anni prese a calci un vicino di casa, reo di aver colpito una gatta. Otto anni dopo si rifiutò di entrare in classe dopo che l’insegnante aveva sostenuto che il compito della donna era stirare, pulire, cucinare. E aveva solo 15 anni quando venne scaraventata fuori dal liceo per aver appeso cartelli in cui tacciava il preside di essere un “despota”. Adesso (a 51 anni, madre single di due figli), Shelly Yehimovic è la nuova leader del Partito laburista: prima donna al timone dall’epoca di Golda Meir.

È stata scelta a settembre dalla maggioranza dei membri, dopo una campagna elettorale sfibrante, protrattasi per mesi, in cui i quattro principali candidati (assieme a lei c’erano Amram Mitzna, Yitzhak Herzog e Amir Peretz), si sono scambiati accuse di fuoco ed epiteti molto poco lusinghieri.

Riprendere adesso in pugno le redini del partito non sarà facile. “Anzi, sarà un inferno”, prevede realisticamente il quotidiano Ha’aretz, nel ricordare che negli ultimi 15 anni i dirigenti laburisti hanno raramente resistito in sella più di un anno.

Mitzna e Peretz hanno già trangugiato quel calice amaro, e potrebbero essere tentati di fare sgambetti alla più giovane collega, entrata nella politica attiva appena sei anni fa e adesso inebriata dai sondaggi secondo cui -sotto la sua guida- i laburisti balzerebbero dagli attuali otto seggi alla Knesset (su 120) fino a quota 22.

Nelle interviste, Yehimovic rende spesso omaggio ai genitori Moshe e Hanna -lui muratore, lei maestra-, entrambi originari della Polonia, sopravvissuti alla Shoah. Sono loro che le hanno insegnato la cose importanti nella vita, confessa Shelly.

Lo sa bene il ministro delle finanze Avraham Hirschson (Kadima) -attualmente in carcere, per malversazioni-. Nel 2006, il ministro Hirschson dichiarò solennemente alla Commissione Finanze della Knesset che “nei miei sogni, lo Stato di Israele viene gestito come una normale impresa economica”, parole che fecero infuriare Shelly Yehimovic la quale reagì come la gatta colpita dal suo vicino. “I miei genitori, sopravvissuti all’Olocausto, non sono certo immigrati in Israele per stabilirsi in una makolet!”. Makolet è il modesto emporio di quartiere dove si compra di tutto, dai cerini alle sardine in scatola, al pane kimmel (scuro).

Da sempre, Yehimovic approfondisce la questione dei rapporti fra macroeconomia e cittadino, sempre in prima fila contro le grandi lobby e i tycoons che monopolizzano il mercato israeliano.

Laureatasi all’Università di Beer Sheva (psicologia, sociologia e antropologia), Yehimovic ha presto intrapreso la carriera giornalistica, muovendo i primi passi nella radio statale, dove si sarebbe affermata come esperta numero uno nelle questioni sindacali.

Radio Gerusalemme è una emittente paludata, stagnante. Eppure al suo interno a volte maturano voci indipendenti ed anticonformiste: proprio dietro ai suoi microfoni si sarebbe messo in mostra un giornalista dai capelli rossi, David Grossman. Similmente Yehimovic e la pugnace corrispondente militare Carmela Menashe, giorno dopo giorno, avrebbero combattuto battaglie al servizio del pubblico. Ad esempio a sostegno del movimento delle “Quattro Madri” che nel 2000 esigeva il ritiro israeliano dal Libano del Sud. Assurta ormai al grado di ascoltatissima opinion-maker, nel Duemila Yehimovic sarebbe quindi passata alla televisione commerciale, Canale 2: l’emittente più seguita in Israele. Il sabato pomeriggio, nel talk-show Incontra la stampa metteva sulla graticola, senza tanti complimenti, i principali esponenti politici del Paese, quasi come avesse ancora di fronte il preside del suo liceo.

Poi però venne il drammatico inverno 2005, con la defezione di Ariel Sharon dal Likud e quella di Shimon Peres dai laburisti, dopo che alla guida del partito gli era stato preferito il sindacalista Amir Peretz. E mentre Sharon e Peres fondavano un partito ex-novo (Kadima), Yehimovic gettò alle ortiche la carriera televisiva per andare con entusiasmo ad aiutare Peretz a trasformare i tramortiti laburisti in un partito social-democratico, finalmente combattente, schierato con la classe dei lavoratori.

Le sue illusioni su Peretz si sarebbero frantumate nel momento preciso (2006) in cui questi accettò l’offerta del neo-premier Ehud Olmert di fungere da Ministro della difesa.

Ma ormai per la Yehimovic il terreno di gioco era solo e soltanto la politica. E alla Knesset sarebbe stata riconosciuta come la “sgobbona”, con un bottino di 34 nuove leggi di carattere sociale.

Quando poi (2009) Ehud Barak portò i laburisti dentro il nuovo governo di Benyamin Netanyahu ed Avigdor Lieberman, la Yehimovic puntò i piedi: rifiutò un incarico ministeriale e restò in Parlamento a dedicarsi alle questioni sindacali e sociali.

Nell’estate del 2011, quando gli “indignados” hanno riempito le strade di Israele per invocare una maggiore giustizia sociale, proprio la Yehimovic poteva dirsi di aver fiutato il vento per tempo, di averlo anticipato ed assecondato.

Ai suoi sostenitori nel Partito laburista si è presentata come “sionista e socialista”. Proprio come gli “indignados”, non vede dunque nei coloni o nelle comunità di ebrei ortodossi degli avversari politici.

Non è vero, ha aggiunto, che riducendo gli investimenti nelle colonie  o il bilancio della difesa, le somme risparmiate sarebbero utilizzate per ovviare ai divari sociali: perché il problemanumero uno di Israele è la filosofia economica della classe dirigente, che crede in un capitalismo “thatcheriamo”, sia che indossi le maglie del Likud (ad esempio: Netanyahu) oppure quelle della opposizione centrista di Kadima (ad esempio: Ehud Olmert e Tzipi Livni). La politica estera e la questione palestinese, ammette, l’hanno finora interessata in maniera minore. Il suo impegno sarà dedicato, nei prossimi mesi, a recuperare quegli strati sociali che hanno abbandonato i laburisti. E in un recente sondaggio il suo partito supera Kadima, anche se il blocco composto dalla destra nazionalista e dai partiti confessionali non viene scalfito e mantiene teoricamente una settantina di seggi alla Knesset.

Per vincere la sfida politica avrà dunque bisogno di avere alle spalle un partito laburista in cui tutti si muovano con lei all’unisono, come altrettanti stantuffi. Ma chi conosce l’ego dei vari Benyamin Ben Eliezer, Amir Peretz ed Amram Mitzna, fatica ad immaginarli nelle vesti di miti ancelle che danzano secondo le sue indicazioni. Anche nella lista parlamentare la “sgobbona” non ha stretto molte amicizie. Peraltro i labouristi sono con le spalle al muro: dopo la scissione condotta da Barak (gennaio 2011) sono rimasti appena otto parlamentari. Un’altra spaccatura significherebbe la fine definitiva del partito di David Ben Gurion. Se vogliono tornare ad essere significativi per il Paese, oggi i labouristi devono necessariamente seguire la “pulzella” Shelly. Dietro di loro c’è solo il baratro della Storia.