Rosh HaShanà, il capodanno ebraico che cadrà a fine settembre, avrebbe potuto quest’anno trasformarsi in un atroce incubo, se il piano di Hamas si fosse realizzato: infiltrare terroristi attraverso i tunnel scavati fin sotto il confine con Israele, rapire, uccidere centinaia di civili inermi. Secondo alcune testimonianze ricavate da militanti di Hamas catturati durante l’operazione Roccia Possente a Gaza, era infatti previsto un attacco massiccio oltre le linee proprio in occasione di Rosh Hashanà, quando i militari hanno qualche giorno di licenza e i controlli sono meno pressanti.
Così, dopo anni di attacchi missilistici, con i Qassam prima e via via con ordigni sempre più sofisticati e dalla gittata più lunga, gli israeliani si sono scoperti vulnerabili, si sono ritrovati a subire una minaccia diversa, nascosta letteralmente sotto i loro piedi: i tunnel del terrore.
Della loro esistenza si era a conoscenza da tempo, ma si pensava fossero strutture artigianali, e destinati quasi esclusivamente al contrabbando dall’Egitto, di armi e tecnologie paramilitari, ma anche di derrate sottoposte a embargo o controllo israeliano.
L’operazione Margine di Difesa, chiamata dagli israeliani anche Tzuk Eytan, Roccia Possente, ha invece rivelato una realtà molto più minacciosa. Strutture costate milioni di dollari, solide, ampie, dotate di condotti di areazione e linee elettriche. Ma soprattutto profonde fino a 25 metri, per essere indistruttibili con attacchi aerei, e scavate fin sotto al territorio israeliano, alle porte di kibbutz e città, pronte per azioni terroristiche su larga scala. “Era nella costruzione di questi tunnel che finivano i milioni di dollari di aiuti internazionali, anche dell’Unione Europea, e tonnellate di cemento che dovevano invece essere utilizzate per costruzioni civili”, dicono fonti israeliane.
Ma come si vive oggi nell’area vicino a Gaza, in quei kibbutzim nella regione di Eshkol, a sud di Israele, che in poche settimane, dopo i continui attacchi missilistici, ora temono la nuova minaccia dei tunnel scoperta dall’esercito israeliano?
Times of Israel ha condotto una interessante inchiesta nella zona. Per capire quanto sta accadendo in questo difficile periodo, dopo il cessate il fuoco di martedì, un importante esempio è il Kibbutz di Nirim, dove la popolazione, dopo i missili ora sta cercando di superare il trauma dei nuovi tunnel costruiti da Hamas.
Durante le operazioni militari ne sono stati trovati e distrutti in tutto trentadue, 14 nelle zone dei confine con Gaza e il resto nelle altre aree, ma la loro rete di costruzione è molto vasta e il timore è che ce ne siano ancora altri. Paura, rabbia e inquietudine dominano in queste aree.
A Sderot, altra cittadina nelle vicinanze, una mamma, Tzofit Peretz racconta alla stampa la sua preziosa testimonianza. Poco dopo i bombardamenti missilistici sua figlia, di 11 anni che era con gli amici appena fuori dalla cittadina, continuava a contattarla. Ogni cinque minuti, la bimba chiedeva “Come sta andando coi tunnel? Prima guardavamo con paura il cielo ma adesso dobbiamo guardare cosa succede dalla terra”. La signora Peretz, madre di quattro figli, è spaventata ma coraggiosa e nonostante la situazione, ha passato le giornate a coordinare attività di volontariato presso il vicinato. Piangendo la donna ha sottolineato che “per proteggerci dai missili abbiamo costruito una nuova casa con muri di cemento rinforzato, ma ora per il pericolo dei tunnel non sappiamo come fare. Come posso restare sola a casa con questi tunnel?”. “La nostra abitazione si trova sulla collina che si affaccia su Gaza” ha rivelato la donna e “ogni giorno, per colpa delle esplosioni, i muri tremano”. La famiglia Peretz si è data molto da fare offrendo ospitalità e nutrimento ai giovani militari accorsi nella zona. Dopo le operazioni si rifugiavano presso di loro per mangiare o riposarsi e una gran parte di loro pregava indossando i tefillin. “La morte di ognuno di loro è per noi un colpo molto duro e mi sento in colpa che loro muoiano per difenderci”. La famiglia Peretz, comunque, intende restare a Sderot perché “lì siamo nati e abbiamo cresciuto i nostri figli e costruito le nostre case” ha detto la signora. “Non abbiamo nessun altro posto dove andare e tanti amici che ci sostengono”.
Nonostante questo non tutte le vicende sono uguali e in altri piccoli centri vicini all confine con Gaza ben pochi residenti sono rimasti nelle loro case in seguito alle operazioni militari. A questo proposito, Ronit Minaker, portavoce del Consiglio regionale dell’area di Eshkol ha fornito alcuni dati importanti. Nelle comunità più vicine a Gaza, come Kerem Shalom, Kibbutz Nirim, Ein HaShlosha, circa il 70 percento dei quattordicimila residenti nell’area di Eshkol è rimasta li, anche se nelle immediate vicinanze di Gaza la percentuale scende fino al venti per cento. La maggioranza dei residenti della regione che ha lasciato le proprie case non è più tornata fino al cessate il fuoco di 72 ore di martedì.
Una delle poche persone rimaste nel Kibbutz di Nirim è Adele Raemer, ebrea americana newyorchese che ha fatto l’aliyah nel 1973. “Sono rimasta lì perché qualcuno doveva restarci” ha detto la signora Raemer ai giornalisti. “E’ importante avere una presenza di civili lì, non possiamo abbandonare la comunità. Il kibbutz ha circa 400 abitanti, cento dei quali sono rimasti; molti di loro sono anziani con problemi di mobilità”. Ogni giorno la signora Raemer apre il centro della comunità per ospitarli e darli una casa guardando assieme le notizie. “Io e mio figlio possiamo fare qualcosa per cambiare l’impressione del mondo e della stampa internazionale” ha proseguito la Raemer. “Ogni volta si dice che i palestinesi vengono maltrattati e che gli israeliani si comportano male. Non voglio che accada nulla ai palestinesi, sia ben chiaro, ma come possiamo vivere con questi tunnel e i missili che senza preavviso ci cadono addosso?”. Nel suo intervento la donna ha detto che lei spera che la gente torni presto alle loro case anche se la figlia che avrebbe dovuto sposarsi all’inizio di luglio sta cercando un altro posto dove vivere. La Raemer ricorda quando nel 1975 la famiglia si è trasferita in questa area e “andavamo in spiaggia o al mercato a Gaza in macchina”. Ma dal 1996 le cose sono cambiate e un uomo di Gaza ha costruito una casa vicino a loro con un tunnel che da Gaza arrivava fino a cento metri di distanza dalla loro abitazione. “Non era sempre così e non siamo andati a vivere in Giudea o in Samaria o nel Golan perché sono zone che potrebbero essere restituite agli arabi un giorno. Qui è proprietà israeliana e non andrò in nessun altro posto”. “L’esercito israeliano e il governo dovrebbe prendere una serie di misure per rendere il territorio più sicuro, magari avendo i militari qui tutto il tempo- Abbiamo bisogno di qualcosa che ci protegga contro il pericolo che viene da sotto terra”. In un giro all’interno del Kibbutz, visitandolo assieme alla stampa, la Raemer ha mostrato un parcheggio bombardato dai missili due volte e una serie di buchi nel terreno e nell’asfalto causati dai missili. “Sabato per la prima volta un abitante del kibbutz è stato ferito da un frammento di un missile che è caduto su un albero vicino a casa sua” ha specificato la signora Raemer.
Secondo fonti ufficiali, la regione di Eshkol, dove si trova il kibbutz di Nirim è stata l’area più colpita del Paese, con più di 850 missili caduti lì nel totale dei 3000 lanciati da Hamas su Israele nel corso di queste sei settimane. Settantanove missili sono caduti nelle aree popolate da civili danneggiando edifici e aree agricole. Tre civili sono morti a causa dei missili e l’area è troppo vicina a Gaza perché lo scudo Iron Dome possa funzionare efficacemente. La portavoce del Consiglio Regionale dell’area, Ronit Minaker, ha sottolineato che “nonostante la paura la gente rimane molto forte, non stiamo giocando e la situazione è davvero difficile e abbiamo bisogno del supporto statale per investire in infrastrutture e incentivare la gente a vivere qui.” “Vogliamo una vita semplice, senza guerra” ha proseguito la Minaker ricordando che “nonostante tutto la regione sta crescendo rapidamente. Tanta gente viene qui per l’atmosfera, i paesaggi e l’educazione dei figli e non per motivi ideologici. Se non ci fosse questo posto Israele si rimpicciolirebbe molto. Ma non è il nostro scopo, siamo qui per vivere in pace”. Un residente nel kibbutz spera che il cessate il fuoco duri e di vivere una vita normale. “Ho capito solo stamattina quanto fossi spaventato dopo che la mia pianta di patata dolce è esplosa per colpa di un missile. La paura è micidiale e sfinisce e spero che sia la fine di tutto questo e che il cessate il fuoco sia duraturo.”
(ha collaborato Roberto Zadik)