di Vittorio Robiati Bendaud
Il Monte del Tempio: la prospettiva teologica
Per inquadrare le controversie teologico-politiche sul Monte del Tempio consideriamo alcune strutture della teologia della sostituzione, elaborata dal cristianesimo contro l’ebraismo, e poi ripresa dall’islàm che, a suo modo, la rivolse contro ebrei e cristiani. Chi sostituisce ha un debito incancellabile verso il soggetto che vuole rimpiazzare, l’antecedente da cui trae senso e che continua a essergli contemporaneo.
Questa costitutiva dipendenza genera tensione, instabilità e inquietudine. Chi sostituisce, asserendo di essere il compimento o il superamento, prova così a legittimarsi, procedendo all’appropriazione del passato della “religione-madre” e alla sua neutralizzazione nel presente e nel futuro, dichiarandola inadeguata e così abusiva. Quest’ultima, però, non potendo essere del tutto divelta (perché per il sostitutore, oltreché un matricidio, costituirebbe un parziale suicidio), deve essere per forza sottomessa, sì che il suo decadimento confermi e conforti le pretese del sostitutore.
Nella tremenda storia dei rapporti tra i tre monoteismi, era inevitabile che Eretz Israel, Gerusalemme e il Monte del Tempio divenissero “luoghi contesi”. E questo non per miserie belliche o empietà di malgoverno, ma perché lì inevitabilmente sono messi a nudo i cortocircuiti teologici-politici strutturali citati, ossia la dipendenza di cristianesimo e islàm dall’ebraismo. Le due forme di neutralizzazione e sostituzione (laddove l’islàm venne influenzato dalla patristica e dal diritto bizantino) hanno una significativa e paradossale differenza.
Quella cristiana fu furiosa, perché l’ebraismo le era (ed è) intrinseco: le Scritture sono quelle ebraiche, Gesù era ebreo, Maria e i discepoli pure. Essendo un’ossessione interna, la polemica fu viscerale e devastante. Tuttavia, proprio per questo, nonostante certe tentazioni mai sopite, non si spinse a negare la validità delle Scritture, l’origine divina della Torah e della Profezia, o a distruggere completamente il popolo di Israele: sarebbe stato suicidario.
Per l’islàm la questione è diversa. Muhammad era arabo; il Qur‘àn fu scritto in arabo e, dapprincipio, agli arabi si rivolse. Ciò autorizzò una sostituzione radicale, che si spinge ben più in là di quella cristiana. L’ebraismo, però, risultando meno interno, non coincise con l’ossessione principale dell’islàm, che comunque, a differenza del cristianesimo, aveva due bersagli polemici (ebrei e cristiani), e non uno solo (l’ebraismo).
Gli ebrei, dopo il dominio romano-pagano e bizantino-cristiano, fecero ritorno a Gerusalemme con gli arabi che la conquistarono. In quell’occasione, il patriarca cristiano scongiurò il nuovo dominatore islamico di non far tornare gli ebrei. Il califfo non volle ascoltarlo e così un po’ di ebrei rientrarono nella città. Alcuni secoli dopo, Solimano il Magnifico e i suoi immediati discendenti – sultani dell’impero ottomano e califfi legittimi dell’islàm sunnita – permisero una migrazione ebraica in Galilea, compresa la salita e l’insediamento di molti a Gerusalemme. Ancora si ebbero reazioni furibonde dalle Chiese cristiane, che lasciarono interdetti i musulmani.
Vorrei accennare a tre antichi racconti. Parrebbe che in epoca remota gli ebrei, riammessi dagli arabi a Gerusalemme, provvedessero all’illuminazione e al servizio del santuario islamico sul Monte del Tempio. Se, da un lato, questo attesta uno stato di subalternità all’islàm, è altrettanto vero che così si permetteva agli ebrei di poter pregare sulle rovine del Tempio, presso luoghi di culto che, in quanto islamici, risultavano monoteisti. È di pari interesse che i musulmani avessero scelto ebrei, riconoscendo il carattere monoteista dell’ebraismo, che entrambe le fedi ritengono invece scalfito dal cristianesimo.
In altre raccolte si narra che furono alcuni ebrei convertiti all’islàm a indicare il luogo ove erigere gli edifici islamici, in corrispondenza di quella che ritenevano l’area più santa del Monte del Tempio, in aperta polemica con l’ebraismo. Non solo: da altri scritti parrebbe che furono sempre degli ebrei rinnegati ad alimentare, presso gli eruditi esegeti musulmani del Qur‘àn, la tesi secondo cui il figlio di Abramo, legato e da sacrificarsi sull’altare, fosse Ismaele e non Isacco, operando una sostituzione e contribuendo a orientare una differente interpretazione del Qur‘àn che non specifica l’identità del figlio.
Se il Monte del Tempio divenne sacro per i musulmani, quindi, lo fu perché lo era -e lo è- per gli ebrei. E il fatto che Gerusalemme, pur con l’alta dignità riconosciutale dalla fede islamica, nei molti secoli di dominio musulmano, fosse sempre stata trattata come una secondaria città di provincia, avvenne perché è Mecca il fulcro della devozione islamica (e ciò che sostituisce non può avere pari valore di ciò che è sostituito).
L’attuale dilagante, pervasiva, ossessionata e violenta ideologia teologico-politica islamista su Gerusalemme, che infetta i cuori e le menti, il discorso pubblico e la diplomazia è un prodotto recente, degli ultimi 100 anni, ricco di prestiti esterni, confezionato dal Muftì nazifascista, dai suoi pessimi sodali e dai Fratelli Musulmani. Oltre ai dati storici, anche studi recenti stanno dimostrando, fonti islamiche alla mano, di quanto si tratti di un’operazione simbolica recente… certamente antisemita e a detrimento dell’onorabilità e della fede di tantissimi musulmani contemporanei.