di Francesco Paolo La Bionda
I rapporti bilaterali tra Israele e Turchia sono in fase di miglioramento da quando lo scorso anno a Gerusalemme si è insediato l’attuale governo guidato da Naftali Bennet. Sotto il suo predecessore Benjamin Netanyahu le relazioni col paese anatolico erano precipitate ai minimi storici e l’allora premier si era scontrato verbalmente più volte col presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
Tra l’altro, il nuovo corso diplomatico è stato segnato dalla visita del presidente israeliano, Isaac Herzog, in Turchia il 9 marzo, seguita il 24 maggio da quella del ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu nello Stato ebraico. Sviluppi che avevano indotto a pensare che Ankara potesse invertire il suo sostegno ad Hamas.
La Turchia sotto Erdoğan ha concesso all’organizzazione terroristica di insediarsi e condurre attività economiche sul suo territorio. Lo stesso presidente ha anzi ricevuto ufficialmente una delegazione di Hamas nel 2020. Sono emersi inoltre diversi casi di cooperazione diretta da parte del governo di Ankara: secondo un report di Nordic Monitor, ad esempio, tra il 2012 e il 2016 l’Agenzia turca per la cooperazione e il coordinamento (TIKA) avrebbe fornito fondi ai terroristi palestinesi, mentre nel 2020 il Telegram ha rivelato che un dirigente dell’organizzazione aveva ottenuto la cittadinanza turca.
Sebbene Ankara sostenga di non permettere l’ingresso all’ala militare di Hamas, è emerso che l’attentatore che il 21 novembre scorso ha aperto il fuoco contro i passanti a Gerusalemme si era recato in precedenza nel paese anatolico proprio per organizzare l’attacco.
A fine aprile, tra le due visite diplomatiche, sui media israeliani erano però circolate voci secondo cui la Turchia avesse espulso nel corso dei mesi precedenti alcune dozzine di militanti dal suo territorio, su richiesta di Israele. Tuttavia, nessuno dei due paesi aveva confermato la notizia e poco dopo era circolata sui media arabi una smentita, che citava come fonte anonima un funzionario del governo turco.
Il governo turco non sembra quindi voler modificare nei fatti la propria posizione sulla questione palestinese, nonostante costituisca il principale elemento di frizione con Israele. Durante il suo viaggio diplomatico di maggio anzi, lo stesso Çavuşoğlu si è recato a Ramallah per rassicurare l’Autorità Palestinese che il sostegno turco alla causa palestinese sarebbe rimasto inalterato e ha colto l’occasione per criticare le politiche israeliane in Cisgiordania.
Ci sono poi anche controversie riguardanti la politica estera regionale a frenare la riappacificazione tra la Turchia e Israele, derivanti dai pessimi rapporti degli anni passati. Nel 2020, il governo di Gerusalemme ha firmato un accordo con Grecia e Cipro, storici rivali della Turchia con cui i rapporti sono peraltro oggi ai massimi della tensione. L’intesa prevede la realizzazione di un gasdotto, l’EastMed, con cui il combustibile estratto nelle acque israeliane sarà trasportato in Europa. Progetto a cui Ankara si è veementemente opposta, parlando di un’esclusione intenzionale ai suoi danni.
Sul futuro del riavvicinamento tra Ankara e Gerusalemme, che peraltro i turchi rifiutano di riconoscere come capitale d’Israele, pesa anche la crisi di governo israeliana, che potrebbe riportare al potere il Likud di Netanyahu, e con esso una nuova era glaciale nelle relazioni bilaterali con la Turchia.