Un mese dopo, la ferita è ancora aperta

Israele

di Anna Balestrieri

È trascorso un mese esatto dal barbaro attacco di Hamas.

All’alba del 7 ottobre, quando il paese si preparava a festeggiare la fine della festività di Sukkot con Simchat Torah, tra 2.500 e 3.000 terroristi armati hanno simultaneamente invaso il territorio israeliano al confine con la striscia di Gaza.

Nell’attacco concertato che si crede sia stato pianificato per più di due anni, i militanti di Hamas hanno dapprima neutralizzato i militari negli avamposti di difesa ed il sistema di telecamere dell’IDF e poi attraversato la recinzione protettiva in diversi punti critici. L’obiettivo: il massacro dei civili delle cittadine circostanti. Sono stati attaccati contemporaneamente i kibbutzim e le cittadine della cosiddetta “Gaza envelope” e lo spazio che ospitava il festival musicale trance Supernova. I terroristi a piede libero si sono spinti fino ad Ashdod. La soverchiante presenza ha reso non solo complicato respingerli, ma ha prolungato per giorni la caccia all’uomo nel paese. Un’onda caotica di cani sciolti, residenti di Gaza, si è riversata nel territorio attraversando la recinzione sfondata. Saccheggiando ed appiccando fuoco alle case, hanno ucciso civili e mutilato corpi, portando con sé dei feriti in trofeo a Gaza e facendone mostra al mondo con video pubblicati sui social network. Hamas ha bombardato ininterrottamente il paese dalle sei e mezza di quel mattino.

La triste ricorrenza è occasione di bilancio. A trentun giorni dall’incursione dei miliziani, rimangono in cattività 241 ostaggi, 27 dei quali sono cittadini stranieri. 40 sono dispersi. Sono state uccise, torturate e seviziate più di 1400 persone. Sono caduti trentuno soldati. Ventun bambini sono rimasti orfani di entrambi i genitori. Oltre settemila i feriti. Nell’attacco terroristico più letale della storia secondo il Consorzio nazionale per lo studio del terrorismo e le risposte al terrorismo (START), non tutte le vittime sono state contate o identificate. Molti corpi sono stati resi irriconoscibili dalle sevizie subite.

Più di novemila razzi hanno colpito Israele ed i bombardamenti continuano a tutt’oggi. Si è aperto un fronte al nord, dove si stanno moltiplicando gli attacchi dal Libano guidati da Hezbollah. Diverse comunità vicine al confine, inclusa la città di Kiryat Shmona, sono state evacuate.

Il paese si è stretto nel supporto dell’esercito e delle famiglie degli ostaggi. La mobilitazione alla leva da parte dei riservisti è stata eccezionale. Israeliani all’estero hanno organizzato voli per tornare in patria ed arruolarsi quando le compagnie aeree internazionali avevano cancellato ogni rotta per Israele. Più di 2500 cittadini ultraortodossi si sono offerti volontari. Si moltiplicano le manifestazioni interne per il rilascio degli ostaggi e le iniziative di solidarietà, anche da parte degli arabi israeliani.

 

La guerra dei numeri non dà tregua. Il ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas, sostiene che i morti nella Striscia hanno superato i diecimila. Il leader di Nasrallah ha arringato le folle predicendo una rapida disfatta di Israele e confortando le famiglie dei martiri musulmani, ai cui cari sarà garantita la strada del paradiso. L’Iran esprime supporto alla lotta palestinese.

L’appoggio incondizionato ad Israele è durato solo poche ore, quelle  immediatamente successive all’attacco. Dal 7 ottobre si sono moltiplicate le voci di condanna alla risposta armata messa in campo dall’esercito israeliano.

Figure di spicco nei governi europei, in particolare nella sinistra, hanno preso le parti del popolo palestinese, individuandolo come vera vittima del conflitto ed accusando Israele di reazione sproporzionata. La macchina della propaganda di Hamas ha diffuso e continua a diffondere notizie false o faziose per incrementare la percezione di una lotta di Davide contro Golia. Picco drammatico dell’assolutizzazione delle “verità del momento”, la notizia, data per vera, tra gli altri, anche dalla BBC, del bombardamento israeliano dell’ospedale Al-Ahli Arab, colpito in verità da un razzo della Jihad islamica.

 

Una sempre più polarizzata opinione pubblica si è riversata nelle piazze delle ultime settimane per esprimere il proprio appoggio ai cittadini di Gaza, in manifestazioni, spesso violente, corollate da episodi di antisemitismo in Europa  e negli Stati Uniti.

 

Nel Daghestan russo una folla ha preso d’assalto l’aeroporto in una “caccia all’ebreo”. La presidente della comunità ebraica di Detroit è stata accoltellata sulla porta di casa; a Lione, una donna ebrea ha incontrato un identico destino.

Voci di incondizionato sostegno ad Israele sono giunte all’indomani dell’attacco dagli Stati Uniti. Gli sforzi diplomatici americani non si sono allentati nel corso del mese. In  Germania, il vicecancelliere tedesco Robert Habeck, che ha sottolineato la necessità di evitare ogni relativizzazione etica nell’individuare i responsabili del conflitto, condannando ogni episodio di antisemitismo, incluso il negare il diritto di Israele ad esistere. La leader italiana Giorgia Meloni ha partecipato al vertice per la pace al Cairo ed ha incontrato il premier Netanyahu esprimendo la “solidarietà e vicinanza dell’Italia dopo il tragico attentato terroristico di Hamas contro civili inermi lo scorso 7 ottobre”.