di Davide Foa
Che sia un nemico o un semplice vicino di casa, senza conoscere la sua lingua, la sua cultura, difficilmente potrai capire ciò che gli passa per la testa e dunque confrontarti con lui, o semplicemente opporti in maniera convincente.
Questo deve aver pensato Ahmed Alfaleet, ex prigioniero delle carceri israeliane, oggi ideatore e insegnante di un centro di studi, dove gli abitanti di Gaza possono imparare l’ebraico e in generale entrare in contatto con la cultura israeliana.
Rilasciato nel 2011 insieme a più di mille altri prigionieri palestinesi (in occasione della liberazione di Gilad Shalit), Alfaleet ha potuto conseguire, durante il periodo di detenzione, una laurea e un master presso la Open University of Israel.
“Uscito dal carcere, per tre anni ho lavorato come insegnante di ebraico in diversi istituti accademici finché, nell’aprile del 2015, ho deciso di aprire questo centro”, queste le parole di Alfaleet riportate da Haaretz.
Che piaccia o meno ai suoi abitanti, Gaza è collegata ad Israele; per questo, secondo Alfaleet, è importante che i palestinesi sappiano l’ebraico e conoscano ciò che viene detto sui giornali israeliani. Non a caso, la maggior parte degli allievi di Alfaleet sono giornalisti, dottori e imprenditori: tutte persone che, per forza di cose, devono rapportarsi con gli israeliani.
Molti sono ex carcerati che, una volta usciti di prigione, hanno deciso di intraprendere una nuova attività, fosse culturale o economica.
Nafha (così si chiama il centro di Alfaleet) non è d’altra parte l’unico istituto nel suo genere. Anche Abdulrahman Shehab, rilasciato nello stesso periodo di Alfaleet, ha pensato di mettere in piedi un istituto, il centro Atlas, dove ogni giorno vengono tradotte e pubblicate numerose notizie originariamente scritte in ebraico.
Shehab, arrestato all’età di 19 anni, finì il liceo in carcere per poi arrivare a laurearsi e ad ottenere un Master, proprio come Alfaleet.
Ricordando i suoi ventitre anni di detenzione, Shehab racconta di averli passati “a imparare e studiare senza fermarsi neanche un giorno.”
In carcere, guardando i canali televisivi israeliani, Shehab comprese quanto poco i palestinesi conoscessero la società israeliana.
Così si è posto, ed ha raggiunto, l’obiettivo di tradurre in arabo i media israeliani, di modo che i palestinesi fossero maggiormente a conoscenza del pensiero dei loro vicini.
In passato, gli abitanti di Gaza erano certamente più vicini agli israeliani di quanto non lo siano ora; la TV israeliana aveva grande successo in tutta la Striscia, così come la radio.
Oggi invece, le nuove generazioni tendono a rifiutare la conoscenza dell’altro; l’atteggiamento difensivo prende il sopravvento sulla volontà di conoscenza, sia essa per fini di dialogo o di contrapposizione.
Ecco perché le scuole di Alfaleet e Shehab rappresentano un necessario punto di partenza sulla via della conoscenza dell’altro, come conferma Ahmed Abu Eyada, giovane studente di giornalismo: “non puoi essere un giornalista a Gaza senza capire i media israeliani.”