Violenze dei Coloni nel villaggio di Jit in Samaria. Ucciso un giovane palestinese, incendiati veicoli ed edifici. Condanna unanime dal Governo

Israele
di Sofia Tranchina

 

Fanatismo messianico e nazionalismo razzista: all’ombra della guerra, mentre si volgono all eyes on Rafah, la violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania è aumentata esponenzialmente negli ultimi 10 mesi, ed è sfociata ieri, giovedì 15 agosto, in un attacco terroristico nel villaggio palestinese di Jit.

Oltre cinquanta coloni – col volto coperto e muniti di pietre, molotov e armi da fuoco – si sono introdotti nel villaggio a seminare terrore, appiccando incendi dolosi che hanno bruciato quattro case e sei veicoli, ricordando un altro famoso gruppo di suprematisti incappucciati.

 

Ibrahim al-Seda, residente di Jit, ha raccontato alla BBC che stava seduto fuori casa con i suoi parenti dopo la preghiera del Maghrib, al tramonto, quando ha sentito un forte schianto. Ha visto i coloni incendiare due auto e, nonostante i loro sforzi per spegnere le fiamme, l’incendio è sfuggito al controllo. Poco dopo, i coloni hanno iniziato a lanciare pietre, e successivamente sono tornati armati e hanno sparato contro gli abitanti del villaggio.

Hassan, un altro residente, ha descritto al quotidiano israeliano Haaretz come i coloni, mascherati e vestiti di nero, abbiano attaccato in modo organizzato, utilizzando anche gas lacrimogeni.

 

La gang ha poi ucciso a colpi di proiettile il ventiduenne palestinese Rashid Shedda, mentre un altro residente è stato gravemente ferito e trasportato in condizioni critiche al Rafida Government Hospital di Nablus.

 

Gli ufficiali della Border Police e le IDF, che hanno sparato in aria per disperdere la folla e hanno allontanato gli aggressori israeliani, affermano di essere stati inviati al villaggio “entro pochi minuti” dalla ricezione delle segnalazioni di violenza, ma i residenti del villaggio hanno criticato l’intervento tardivo dell’esercito, che sarebbe secondo loro arrivato sul luogo circa un’ora dopo l’inizio degli scontri, dando tempo ai coloni di agire indisturbati.

 

Uno degli aggressori è stato arrestato e trasferito alla polizia per essere interrogato, e le IDF hanno aperto un’indagine congiunta con il servizio di sicurezza interna Shin Bet e la polizia per perseguire legalmente gli altri responsabili, condannando eventi di questo tipo e i rivoltosi, che danneggiano la sicurezza, la legge e l’ordine.

 

L’assalto, che ha rischiato di compromettere le trattative in corso a Doha per un cessate il fuoco, ha scatenato una reazione dura e unanime da parte della leadership israeliana, incluso il governo di estrema destra, che ha espresso  sdegno davanti alla violenza dei coloni, altre volte ignorata o sminuita.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato con fermezza che “i responsabili di qualsiasi atto criminale saranno arrestati e processati con la massima severità”.

Il presidente Isaac Herzog ha condannato il “pogrom”, la cui violenza “non è conforme ai principi della Torah e del giudaismo”, ma ha sviato la responsabilità, che sarebbe secondo lui di una “minoranza estremista” che danneggia la reputazione di Israele e la comunità dei coloni, rispettosi della legge.

 

Dall’opposizione, Yair Golan, capo della nuova alleanza di sinistra dei Democratici, ha denunciato la violenza, che non è un problema di poco conto o l’azione di una “minoranza estremista”, ma un fenomeno “sostenuto tacitamente dal governo”. Golan ha ribadito l’urgenza di un cambio di governo per combattere il terrorismo ebraico messianico, che minaccia di “incendiare il territorio e imporre una campagna regionale difficile e non necessaria su Israele”.

Anche figure di spicco della destra estrema hanno condannato l’attacco. Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha criticato duramente i cittadini che si fanno giustizia da soli, mentre il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha affermato che gli aggressori non hanno “nulla a che fare con gli insediamenti regolari e i coloni”, chiedendo che siano trattati “con tutta la forza della legge”.

 

Gli Stati Uniti hanno nuovamente esortato le autorità israeliane a proteggere tutte le comunità, chiedendo di fermare tali violenze e di perseguire i responsabili.

L’ONU ha dichiarato mercoledì di aver registrato circa 1.250 attacchi da parte di coloni israeliani contro palestinesi in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, dal 7 ottobre, ma ha anche segnalato che 25 israeliani sono stati uccisi dai palestinesi della Cisgiordania (15 in Cisgiordania e 10 in Israele).

In diversi casi, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e la polizia di frontiera sono intervenute per disperdere i coloni durante attacchi violenti contro i villaggi palestinesi. Ad esempio, durante i disordini ad Abu Falah e Duma nell’aprile 2024, le forze di sicurezza israeliane sono state schierate per fermare i coloni.

 

Un attivista israeliano contro la guerra (foto Sofia Tranchina)

Il dibattito sulle “colonie”

Il contesto storico e politico degli insediamenti in Cisgiordania è complesso e controverso. Mentre molti considerano gli insediamenti uno dei principali ostacoli alla pace tra israeliani e palestinesi, il dibattito sulle radici di questa situazione è acceso.

Nel ’47, la Risoluzione 181 dell’ONU prevedeva che, dopo il ritiro dei britannici, la Cisgiordania entrasse a far parte di un nuovo stato arabo tra la Giordania e Israele. Furono gli arabi a ribellarsi e rifiutare, e a muovere guerra al neonato Israele. A guerra finita, la Giordania occupò progressivamente e annesse ufficialmente la Cisgiordania nel 1950, sottraendola a un possibile nuovo stato arabo. Gli ebrei indigeni della regione furono in gran parte uccisi, evacuati o espulsi dal nuovo occupante giordano.

Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele conquistò la Cisgiordania e iniziò a stabilirvi insediamenti ebraici. Sebbene alcuni ritengano che questi violino l’Articolo 49, paragrafo 6 della Quarta Convenzione di Ginevra (“una Potenza occupante non può trasferire parte della propria popolazione civile nel territorio occupato”), Israele sostiene che tale convenzione non si applichi alla Cisgiordania, poiché questa non era territorio di uno stato sovrano prima del 1967.

Con gli Accordi di Oslo (1993-1995) la Cisgiordania è stata suddivisa in aree A, B e C, con diversi livelli di controllo israeliano e palestinese.

Un villaggio palestinese vicino a Jit (foto Sofia Tranchina)

Yossi Dagan, uno dei principali leader dei coloni in Cisgiordania e capo del Consiglio Regionale di Samaria, ha affermato che i responsabili dell’attacco a Jit non fanno parte degli insediamenti regolari. Dagan ha sottolineato che questi estremisti, organizzati tramite gruppi WhatsApp, “non hanno nulla a che fare con i giovani degli insediamenti che si svegliano alle 5 del mattino per pascolare le pecore”. Ha anche evidenziato come gli abitanti regolari degli insediamenti disprezzino questi estremisti, che stanno “distruggendo e danneggiando gli insediamenti”.

 

Nei prossimi giorni dovrebbero essere emessi mandati di cattura amministrativa per gli attivisti del movimento estremista No’ar HaGva’ot, o “Gioventù delle colline”, noto per le sue azioni violente contro i palestinesi. Mossi da un fervente nazionalismo religioso, prendono di mira i villaggi palestinesi con incendi dolosi e usano la violenza per preservare la loro distorta visione del mondo e dell’ordine sociale. Organizzati in maniera sofisticata, i membri di No’ar HaGva’ot operano spesso indossando maschere e coprendo le mani per evitare di lasciare impronte digitali, rendendo difficile la loro cattura. Già altre volte in passato le autorità israeliane hanno preso provvedimenti contro i suoi membri, alcuni dei quali sono stati arrestati e processati.

 

L’attacco al villaggio di Jit ha messo in luce una realtà dolorosa: la presenza di gruppi estremisti tra i coloni israeliani, la cui violenza e fanatismo – nonostante figure di estrema destra al governo – non rappresentano lo zeitgeist della maggioranza della nazione israeliana.

Israele, nonostante le sue sfide interne ed esterne, cerca di bilanciare la sicurezza con il rispetto dei diritti umani, condanna l’estremismo e si impegna a perseguire i responsabili.