di Francesco Paolo La Bionda
Durante l’evento tenutosi il 7 aprile alla sinagoga centrale di Milano, sono intervenuti anche alcuni rappresentanti del mondo dei media. Il primo è stato Klaus Davi, giornalista, opinionista e sondaggista, che ha spiegato con un accorato intervento le difficoltà della guerra mediatica, parallela a quella sul campo. “Il 7 ottobre è successa una cosa stranissima, gli account collegati o di supporto ad Hamas hanno avuto un’esplosione di visualizzazioni. L’attività social di Hamas è stata mirata, scientifica, sicuramente programmata in anticipo, hanno lanciato hashtag dell’odio”.
Passando all’analisi della piattaforme utilizzate dai terroristi, l’esperto ha spiegato come l’attività si concentri su Instagram, Telegram – che ha definito zona franca per l’antisemitismo, invitando le autorità europee a sanzionarla – ma soprattutto Tik Tok, per manipolare le generazioni più giovani. “Tik Tok è il primo canale di Hamas. Stiamo perdendo una generazione, la stampa e la politica stanno perdendo di vista quello che succede coi giovani” ricordando quindi il lavoro di analisi dei dati Auditel portato avanti con Libero sui servizi televisivi dedicati al conflitto, che hanno mostrato picchi di ascolto da parte dei giovani proprio in corrispondenza dei servizi dedicati al movimento terrorista.
Secondo Davi, la difficoltà di Israele nell’affrontare questa comunicazione risiede nel fatto che, essendo una democrazia, lo Stato ebraico porta avanti una comunicazione razionale, al contrario di quella emotiva dei suoi nemici: “la verità dei fatti non conta nulla se poi circolano 30.000 video falsi messi in rete da Hamas”.
La tavola rotonda: giornalisti a confronto
Sul trattamento del conflitto da parte dei media e sul ruolo che questi devono svolgere nel contrastare l’antisemitismo crescente è tornata una tavola rotonda moderata dall’editorialista de Il Riformista Andrea Ruggieri (nella foto il terzo da sinistra), in cui sono intervenuti Ferruccio De Bortoli, editorialista e già direttore del Corriere della Sera (secondo da sx); Alessandro Sallusti, direttore del Giornale (il primo a destra); Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post (il primo a sinistra) e Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica, in collegamento via Zoom.
De Bortoli, interrogato da Ruggeri sulla percezione del conflitto da parte dell’opinione pubblica italiana, ha spiegato come ricordare significhi, oltre a vicinanza e sentimenti, anche ricordare i fatti e come anche la stampa italiana dovrebbe ricordare come il 7 ottobre sia all’origine dell’attuale situazione, a prescindere dalle forme di giornalismo praticate. Secondo il giornalista, in Italia c’è invece una memoria corta sul conflitto tra Israele e Hamas, così come su quello russo-ucraino, ribadendo come resti ancora un enorme lavoro di divulgazione da fare. “Tutte le vicende, anche le più tragiche, si prestano a strumentalizzazioni che rivelano la modestia della politica italiana” ha quindi chiosato, affermando quindi che “l’isolamento di Israele dovrebbe preoccupare l’Occidente per la tenuta dei suoi valori e delle democrazie liberali”, e che proprio per questo “si ha il diritto e il dovere di criticare il governo israeliano quando sbaglia”.
Alessandro Sallusti, concordando sul problema della qualità della classe politica, in Italia e all’estero, si è però invece concentrato sul problema che con la vicenda del 7 ottobre è emerso riguardo a giornalisti e intellettuali nel nostro Paese, accusando alcuni media di strumentalizzare le vicende del conflitto per aumentare le proprie visualizzazioni. Venendo quindi alla diffusione dell’antisemitismo, il direttore ha affermato che “l’antisemitismo è una minoranza in Italia, ma anche un solo antisemita è un antisemita di troppo” e che c’è però un altro problema, ovvero la maggioranza che pensa, per ignoranza o timore, che Israele non sia un suo problema. “Il 9 ottobre ho messo la bandiera israeliana in copertina sul giornale e la maggior parte dei lettori non ha capito perché fosse importante testimoniare così la nostra vicinanza a Israele”, ha raccontando come esempio. Paragonando quindi l’ignavia dell’Occidente a quella delle nazioni europee nei confronti di Hitler nella conferenza di Monaco del 1938, ha auspicato più decisione da parte di tutti nello scegliere da che parte stare, perché “se la maggioranza tace, resta solo la voce della minoranza”.
Mattia Feltri ha ricordato come, quando ancora era a La Stampa, aveva evidenziato come l’antisemitismo stesse crescendo gradualmente ma costantemente in Italia, ad esempio con la percentuale di italiani convinti di un’influenza manipolatoria degli ebrei sull’economia mondiale passata dal 20% al 29% in un solo anno. Citando diversi intellettuali passati, ha quindi spiegato come non ci si possa illudere che l’antisemitismo sia un fenomeno confinato al nazismo e alla Shoah, ma come invece, così come è esistito prima, ha continuato ad esistere anche dopo e come cresca col tempo, man mano che viene sdoganato. “Se guardiamo a quello che succede, anche in Italia, nelle proteste universitarie o di piazza, vediamo persone che accusano Israele di genocidio che dieci anni fa non l’avrebbero fatto. È come un iceberg: più emerge la punta, più vuol dire che è grande la base che sta sotto”. Feltri ha quindi esortato a non sottovalutare il fenomeno, soprattutto man mano che la memoria della Shoah si fa sempre più lontana nel tempo per le nuove generazioni.
Anche Maurizio Molinari è tornato sul tema del ritorno dell’antisemitismo, partendo da un paragone: come nelle scuole di guerra s’insegna che non esistono due conflitti identici nella storia, così l’antisemitismo, contro cui bisogna combattere, non si manifesta mai identico in due generazioni diverse. “Dobbiamo cogliere gli elementi di novità dell’antisemitismo odierno, non possiamo rispondere come in passato”, ha spiegato il direttore de La Repubblica.
“Il 7 ottobre ha avuto sì degli elementi di continuità col passato, come l’alto numero di morti e la lunga durata del conflitto, ma ci sono anche molti elementi di novità: l’uso sistematico dei civili come scudi umani da parte di Hamas, e la strumentalizzazione delle vittime civili palestinesi per delegittimare Israele, portandola nelle case di tutti grazie alle nuove tecnologie”. Molinari ha quindi segnalato come gli stessi account che diffondono la propaganda di Hamas siano gli stessi che in passato diffondevano contenuti filo-russi e no vax. “Una guerra ibrida condotta a più livelli, che sta mettendo in difficoltà sia Israele sia chi lo difende. Così come i nazisti crearono un sistema di sterminio che nessuno aveva potuto mai immaginarsi prima, così anche Hamas gioca la propria partita in un modo che nessuno si poteva aspettare. La risposta a questo dovrà passare dalle coscienze di noi tutti”, ha quindi concluso.
Qui il video integrale dell’evento.
(Foto in alto: ©Sofia Tranchina)