di Nathan Greppi
Intenso e pieno di spunti interessanti il seminario organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Associazione Figli della Shoah, CDEC e Memoriale della Shoah di Milano, che si è tenuto lunedì 28 ottobre nell’Auditorium dell’Università IULM, dal titolo “Dal binario 21 ad Auschwitz” il linguaggio dell’odio: incontro con Liliana Segre. Numerosi sono stati anche gli studenti dell’ateneo che hanno assistito, tanto da riempire l’intera aula.
Le parole del Rettore Canova
Nel fare i saluti introduttivi, il rettore dello IULM Gianni Canova ha espresso la sua solidarietà alla Senatrice Liliana Segre, ospite principale dell’evento, per i numerosi attacchi che ha ricevuto sui social nell’ultimo periodo. «Abbiamo invitato Liliana Segre, ogni giorno oggetto di attacchi razzisti da parte di piccoli bipedi vigliacchi che approfittando dell’anonimato della rete si travestono da lupi e scaricano nell’odio le loro frustrazioni personali e esistenziali. Io credo sia importante che la solidarietà a Liliana Segre venga prima di tutto dalle università. Perché sì, hanno ragione i politici che invocano controlli e pene più severe per gli haters del web ma io penso che le pene non bastino e sono d’accordo con chi dice che ci vuole più cultura. E la cultura non può che venire da un luogo come questo, l’università, intesa come spazio aperto che educa alla libertà, al pensiero critico, al rispetto della storia, ai valori fondanti della società civile, alla manutenzione della memoria.
Vent’anni fa insulti come quelli che vengono rivolti oggi alla senatrice Segre non avrebbero osato venire allo scoperto. C’era una società che avrebbe bollato con il marchio dell’infamia chiunque avesse osato inneggiare all’olocausto e a quella vergogna assoluta, quel male assoluto che sono stati i campi di sterminio e la Shoah. Oggi lo si fa con una virulenza, con una iattanza che deriva dalla certezza dell’impunità e dalla consapevolezza che l’odio non solo è tollerato ma addirittura aizzato e scatenato da alcuni politici. In America, come in Italia, non esitano a scatenare la bestia pur di aumentare il loro consenso e di garantirsi la vittoria alle prossime elezioni. Perché è più facile scatenare la bestia e i suoi appetiti atroci che provare a trasformare una bestia in una creatura civile. I politici che avevano a cuore le generazioni future facevano questo, addomesticavano la bestia, la coprivano d’infamia, la neutralizzavano con il disprezzo diffuso di tutta la società civile. Quelli che invece oggi la aizzano, le lisciano il pelo, la provocano e la proteggono forse saranno vincenti alle prossime elezioni ma ne sono certo saranno maledetti dalle generazioni future».
Il discorso della Segre
E proprio riguardo agli odiatori, o haters, la Segre, intervistata dal giornalista di Mediaset Enrico Fedocci, ha ricordato un episodio di quando era internata ad Auschwitz: «Quando ero operaia della fabbrica di munizioni Union, e camminavamo fino alla città di Auschwitz per lavorarci, per moltissimi giorni abbiamo incontrato gruppetti di ragazzi della Gioventù Hitleriana che ci sputavano addosso e dicevano parolacce orribili, il peggio che possa uscire dalla bocca di un giovane. Questi ci odiavano al punto tale che vedendoci scheletriche e con le teste rasate ci sputavano ancora addosso».
«Non sono morta, ho avuto la fortuna di trovare presto l’amore e sono diventata mamma». Ha spiegato di aver taciuto su ciò che le era successo anche con amici e parenti per 45 anni, «ma quando sono diventata nonna, all’età di circa 60 anni, ho ripensato a quei ragazzi e di colpo ho capito che non li odiavo più, ma provavo una pena enorme per loro: ero più fortunata io di loro che erano figli di nazisti, e che o hanno portato dentro di sé per tutta la vita quel credo o hanno capito cos’hanno ereditato dalla loro famiglia e ciò li ha rovinati per sempre. Io provo pena per gli odiatori; non perdono e non dimentico, ma in tanti anni che vado nelle scuole parlo di pace e amore, mai di odio».
Alla domanda di Fedocci su cosa si possa fare per impedire che l’orrore si ripeta, la Segre ha risposto: «Credo che nessuno abbia la ricetta preconfezionata per questo. Citando Primo Levi, i nazisti dicevano che se anche fossimo sopravvissuti per raccontare cos’era accaduto, nessuno ci avrebbe creduto. Prima di iniziare a raccontare iniziai a leggere Robert Faurisson e altri negazionisti, e mi resi conto di come questi negazionisti si fossero messi all’opera immediatamente, quando i testimoni iniziarono a parlare. Le fake news e i messaggi di odio di adesso ci sono per la facilità con cui si diffondono sul web, ma ci sono sempre stati. Non credo che esista un metodo per sgominare questi odiatori, ma fanno pena: sono persone malate, che sprecano ogni attimo della loro vita ad augurarmi la morte, a me che ho quasi 90 anni!». Dopo l’intervento di Liliana Segre, in molti si sono alzati in piedi per ricordare un altro superstite della Shoah, Lello Di Segni, morto il 26 ottobre 2018.
Gli altri interventi
Dopo la Segre, sono saliti sul palco a parlare diversi esperti di antisemitismo e pregiudizi in generale, moderati sempre da Enrico Fedocci: il giornalista de La Repubblica Paolo Berizzi, ad esempio, è partito dalle ragioni per cui è l’unico giornalista italiano che deve avere la scorta, per colpa non della mafia ma di gruppi neonazisti: «La mafia è una minaccia che occorrono generazioni per debellarla, mentre questi gruppi si potrebbero sciogliere in due giorni. La scorta è un metodo per quando lo Stato gioca in difesa, io sono sotto scorta perché […] i governi che si sono succeduti sono rimasti in silenzio di fronte a tutto ciò», aggiungendo che le Leggi Scelba e Mancino, che mettono al bando il fascismo, sono tra le meno applicate nel nostro Paese.
Betti Guetta e Stefano Gatti, dell’Osservatorio Antisemitismo del CDEC, hanno invece analizzato il fenomeno dell’antisemitismo da prospettive diverse: la Guetta ha presentato i vari tipi di antisemitismo, che vanno dall’estrema destra all’estrema sinistra e al “complottismo”, mentre Gatti ha parlato degli stereotipi antisemiti nelle vignette e caricature dal Medioevo ad oggi. Un altro punto di vista è stato quello della pedagoga e deputata Milena Santerini, che ha spiegato come anche nelle neuroscienze si stiano cercando le radici mentali dell’odio. Interessante il discorso dello storico Claudio Vercelli, per cui «queste immagini (antisemite) sono ovvie, per chi non sa comprenderne la velenosità, e ciò produce un meccanismo di accettazione sociale. L’altro elemento è la banalizzazione, che crea l’impressione o l’idea che tutto sia equiparabile e che non ci siano gerarchie morali».