di Andrée Ruth Shammah
Leggo e rileggo la Carta della Memoria scritta da Gariwo e continuo a non capire da cosa, esattamente, sia nato il dibattito che la sta accompagnando.
Cosa speriamo tutti noi, ogni volta che diciamo: ’mai più’ se non che quello che è successo di atroce a noi ebrei serva da monito per impedire nel mondo altre atrocità?
Il giorno della memoria, di ‘quella’ memoria, cos’altro speriamo se non che la Shoah acquisti un significato universale contro l’indifferenza per diventare forza attiva?
Cerco di ricordarmi che il popolo di Israel ha come fondamento della sua stessa esistenza quello di aver riconosciuto il suo Dio unico proprio perché lo ha liberato dalla schiavitù. E cos’è la schiavitù se non la sopraffazione di un uomo su un altro uomo?
Gli ebrei hanno dato al mondo un concetto rivoluzionario che appunto l’uomo può e deve essere libero. E la Torah non ci è forse stata data in mezzo al deserto perché appartenga all’umanità?
Quel giorno (e tutti i giorni dell’anno) noi speriamo che la memoria della Shoah aiuti, alla luce di quel passato che è stato possibile anche perché tanta – troppa! – gente ha scelto di voltare lo sguardo dall’altra parte, possa aiutare ad impedire ogni forma di atrocità dell’uomo sull’uomo.
Noi per primi, non possiamo voltarci dall’altra parte. Non vogliamo distogliere lo sguardo.
Per questo spero che, dopo aver chiarito i vari punti di vista, si riesca a trovare un punto di unione, convinto e convincente.
Sarebbe davvero difficile, fuori dal mondo ebraico, spiegare a chi non ne può più della nostra volontà di ricordare, che ‘quel’ ricordo non serva ad aiutare tutti, ebrei e non ebrei, a impedire altre violenze, altri genocidi. La memoria della Shoah ribadita con forza deve servire, noi ebrei vogliamo che serva perché l’umanità rifletta su quello di cui è stato capace l’uomo e che non si ripeta mai più quell’indifferenza che ha reso possibile il peggio.
Le più interessanti ed efficaci organizzazioni contro il razzismo sono nate su impulso di personalità appartenenti all’ambiente ebraico.
Marek Halter ha creato S.o.s racisme che ha denunciato e continua a denunciare qualsiasi forma di razzismo oltre naturalmente l’antisemitismo.
È la nostra sensibilità che può e deve aiutare i popoli a denunciare le atrocità dove sono nate e dove nasceranno, dove sono diventate realtà e dove stanno per diventarlo.
Per questo dovremmo fare ogni sforzo possibile per trovare il modo di sostenere, uniti, la carta della memoria di Gariwo, dove per altro è stato meglio precisato da Gabriele Nissim che la Shoah è la Shoah e che non la si può e non la si vuole confondere con nessun’altro genocidio, che la sua unicità sta nell’atroce proposito di “eliminare gli ebrei non da un territorio ma da ogni luogo della terra” e “che la Shoah è un genocidio senza precedenti nella Storia”.
La Shoah come è scritto nella carta è un genocidio paradigmatico la cui memoria deve servire a diventare una lente di ingrandimento per scoprire ogni volta i segni del male che possono colpire in varie forme.
Se la Shoah ha rappresentato l’abisso dove può cadere il genere umano, a maggior ragione il nostro compito è quello di diventare come ebrei le sentinelle morali di ogni nuova possibile forma di degenerazione dell’umanità. Questo era lo spirito della carta. Non una discussione su una definizione astratta, ma lo spronare sempre all’agire. È questo intendimento che rende la nostra memoria attiva e sempre attuale, perché siamo capaci di confrontarci con il mondo e siamo ogni volta in grado di assumere una responsabilità.
Solo uniti, superate le differenze di atteggiamento e convinzione, possiamo dare ancora una volta a noi ebrei il posto in prima fila nella difesa dei valori fondamentali che danno un senso alla nostra esistenza ma dovrebbero darla a quella di tutti i popoli.
Con umiltà
Andrée Ruth Shammah