di E. M.
“Siamo molto felici che il Comune abbia approvato il progetto di riqualificazione del Giardino dei Giusti al Monte Stella, per il quale abbiamo recepito i suggerimenti dei cittadini e della Soprintendenza alle Belle Arti e Paesaggio. – dice Gabriele Nissim, fondatore del Gardens of the Righteous Worldwide, la Foresta dei Giusti, e promotore del Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano, inaugurato nel 2003 – Il progetto dell’architetto Stefano Valabrega rafforza l’identità del Giardino come luogo d’incontro e dialogo, che trasmetterà un messaggio educativo di grande valore, soprattutto per i giovani”.
Il 26 giugno è arrivato infatti il parere favorevole della Soprintendenza alla riqualificazione, dopo le modifiche al progetto che hanno voluto tenere conto delle considerazioni dei cittadini del quartiere e dell’appello di un gruppo di intellettuali milanesi che si erano mobilitati a difesa dell’attuale assetto del Monte Stella. Con il placet della Soprintendenza e dell’assessorato Parchi e giardini, anche la Giunta del Comune di Milano ha dato il suo assenso.
Il nuovo progetto intende soprattutto intervenire nella sistemazione delle aree verdi e di sosta sul terreno, riducendo, rispetto al progetto originario, le opere e le strutture elevate, salvaguardando le alberature esistenti e utilizzando materiali simili a quelli già presenti nell’area.
Il “Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano” sorge in un’area molto cara ai Milanesi, lungo un viale alberato che dal 2003 si chiama Viale dei Giusti e risale il Monte Stella, la collinetta artificiale formata dagli Alleati con macerie dei bombardamenti e delle demolizioni del Dopoguerra, la “Montagnetta di San Siro”. Il Monte Stella è frutto del lavoro di Piero Bottoni, il grande architetto che progettò per il QT8 (Quartiere Triennale 8) di Milano, realizzato subito dopo la guerra. Così i responsabili dell’Archivio Bottoni del Politecnico di Milano avevano chiesto al Comune che il progetto Valabrega, che avrebbe modificato l’area creando alcune strutture adatte a ospitare incontri e momenti di riflessione storica indirizzati soprattutto ai giovani, fosse respinto.
Ne era nata una polemica che nelle scorse settimane è finita sui giornali: da una parte cittadini e intellettuali, guidati dall’architetto Giancarlo Consonni, che denunciavano una presunta “cementificazione” del Monte Stella, dall’altra Gariwo e, anche qui, intellettuali e personalità (tra i quali Salvatore Natoli, Liliana Segre, Umberto Veronesi, Don Gino Rigoldi, Andrée Ruth Shammah, Jean Blanchaert) che invece sostenevano il progetto di riqualificazione, il cui filo conduttore rispecchia lo spirito del Giardino, “per evocare i concetti di dialogo e riconciliazione, in un percorso che prevede momenti intimi di raccoglimento e riflessione e altri di confronto e socialità”.
I toni della polemica avevano toccato punte davvero inquietanti; si era addirittura evocata la Lobby ebraica, si è parlato di “indottrinamento delle nuove generazioni”. Accuse assurde che peraltro dimostrano che non si è recepito il messaggio e il significato del “Giardino dei Giusti di tutto il Mondo”, un progetto internazionale che trascende la rievocazione della Shoah per essere invece un luogo di meditazione ed educazione sulla responsabilità individuale di fronte al Male. Una lezione sempre e sempre più attuale e necessaria. I Giusti che sono stati onorati in questi anni sono infatti delle più diverse aree geografiche, dal Rwanda, all’America Latina, dalla Bosnia all’Europa oppressa dal nazismo e dal comunismo, dalla Tunisia, alla Russia, all’Iran e hanno operato nel corso di decenni. Gli ultimi, celebrati quest’anno erano ad esempio Razan Zaitouneh e Ghyath Matar, musulmani che hanno resistito con coraggio alla crudeltà del regime siriano e al fondamentalismo; Alganesh Fessaha, cittadina italiana e milanese di origine eritrea, Ambrogino d’Oro nel 2013, che da anni si prodiga con disinteresse, spirito umanitario e a rischio della vita, per assistere e spesso trarre in salvo da situazioni estremamente pericolose i profughi, in particolare eritrei, etiopi e sudanesi; il sindaco turco di Aleppo, Mehmet Gelal Bey che nel 1905 si oppose agli ordini del governo di Istanbul rifiutandosi di eliminare gli armeni che vivevano nella sua città; Rocco Chinnici, tra i pionieri della lotta a Cosa Nostra. Come si vede, personaggi diversissimi tra loro e di diversissimo contesto storico e politico.
Con il tentativo di spiegare e mediare, anche oltre il parere favorevole del Comune che può dare il via ai lavori ma non sedare gli animi, è intervenuto Stefano Levi Della Torre, architetto, pittore e saggista, con una importante lettera, indirizzata a Giancarlo Consonni, in cui si legge: «Caro Giancarlo, la più profonda amicizia, stima e fiducia che ho per te da decenni inducono il dispiacere per un dissenso che mi sembra dividerci e vorrei precisarne i termini, oltre a quanto ho già esposto nella lettera pubblicata, insieme con la tua, su “Odissea”. Il Giardino dei Giusti non ha da essere un discreto e silenzioso parco delle rimembranze, ma un luogo in cui si sono svolte e si dovranno svolgere delle attività di informazione, comunicazione e discussione che coinvolgano soprattutto i giovani e le scuole. E queste attività richiedono certe attrezzature, in particolare un luogo di seduta collettiva. Il motivo del dissenso che mi sembra sussistere tra noi su questo aspetto riguarda la natura stessa del Giardino dei Giusti. Mi è parso affiorare un equivoco, là dove nella tua lettera parli della “tragedia che non si vuole sia dimenticata”, e sembra che tu alluda allo sterminio degli ebrei. Non è così. Non si parla di una tragedia, ma di molte tragedie, anche in corso; e i Giusti non sono solo quelli che hanno salvato degli ebrei mettendo a rischio la propria vita e la propria famiglia, ma tutti coloro che hanno fatto o fanno la stessa cosa a favore di chiunque sia ingiustamente perseguitato, ieri come oggi» (per il testo integrale della lettera, clicca QUI).