di Sofia Tranchina
Un’aggressione avvenuta per le strade di Roma mercoledì 29 gennaio ha suscitato un acceso dibattito, tra antisemitismo, immigrazione e xenofobia.
Un uomo di trentatré anni si è avvicinato a un bambino di otto – che indossava la kippah e camminava mano nella mano con la madre in Via Nazionale – urlando e minacciandolo, per poi colpirlo con uno schiaffo, e, secondo alcune ricostruzioni, anche con calci e pugni, e infine con il coccio di una bottiglia di vetro rotta, oggetto effettivamente ritrovato in tasca all’aggressore al momento dell’arresto.
L’episodio ha destato particolare attenzione per due motivi: innanzitutto, perché il bambino era riconoscibile come ebreo in quanto indossava la kippah, il tradizionale copricapo ebraico simbolo di rispetto e timore verso Hashem, il che solleva l’ipotesi di un evento di antisemitismo.
In secondo luogo, l’aggressore è stato identificato come un rifugiato egiziano di religione musulmana, che, dopo essere stato respinto alla frontiera francese e successivamente a quella belga, ha ottenuto lo status di protezione internazionale in Italia.
L’uomo era stato accolto dal Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, ma viveva a Roma senza fissa dimora, nonostante la struttura offra accoglienza attraverso dormitori, mense, assistenza sanitaria, formazione professionale e corsi di lingua italiana finalizzati all’inserimento lavorativo.
La madre intervenuta per difendere il figlio, e una negoziante accorsa in aiuto, sono state anch’esse minacciate con il medesimo coccio di bottiglia. L’uomo si è poi dato alla fuga in direzione del Colosseo, dove è stato fermato dalla polizia.
Le telecamere di sicurezza di Via Nazionale hanno ripreso l’intera aggressione, documentando anche l’attacco violento con l’oggetto contundente e l’intervento di alcuni passanti. Grazie alle immagini e alle descrizioni fornite dalle vittime, la Digos di Roma, diretta da Antonio Bocelli, con la collaborazione degli agenti dei commissariati Trevi Campo Marzio e Trastevere, è riuscita a identificare e arrestare il responsabile, che risulta privo di precedenti penali.
L’uomo è stato accusato di tentata deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, un reato previsto dall’articolo 583-quinquies del Codice Penale, introdotto nel 2018 per contrastare specificamente gli attacchi con acido e altre aggressioni mirate a sfregiare permanentemente il volto delle vittime.
Sebbene la vittima fosse chiaramente riconoscibile come appartenente alla religione ebraica, al momento non è stato confermato se l’attacco abbia avuto una matrice antisemita o se sia stato il frutto di disturbi psichici dell’aggressore, non necessariamente riconducibili a ideologie. Tuttavia, la reazione dell’opinione pubblica – specialmente sui social – ha evidenziato ancora una volta l’emergenza del crescente antisemitismo in Italia, con commenti che, in alcuni casi, sono arrivati a giustificare l’aggressione ai danni di un bambino come “ovvia reazione” a quanto accade nei territori arabo-palestinesi.
Un esempio significativo è stato il tweet di Raffaella Paita, coordinatrice nazionale del partito centrista-liberale Italia Viva, che ha definito l’episodio “un’aggressione razzista subita da un bambino solo perché indossava la kippah”. La sua dichiarazione ha scatenato una zuffa di commenti, con toni accesi tra chi ha espresso posizioni antisemite e chi, al contrario, ha mostrato atteggiamenti xenofobi, attaccando le politiche italiane di accoglienza dei migranti.
In seguito all’episodio, è stato chiesto al Centro Astalli di riesaminare le modalità con cui vengono selezionati i beneficiari dell’accoglienza e della consulenza giuridica offerta ai migranti nei processi di richiesta di asilo e protezione internazionale.