di Nathan Greppi
Nel Belpaese è “meno peggio” che nel resto d’Europa, ma l’ostilità antisraeliana si confronta con una placida indifferenza che non aiuta né la difesa di Israele, né la verità della Storia
La strategia è antica: prima ti demonizzo, poi ti distruggo simbolicamente e infine ti uccido. Come? Con un sistema subdolo e apparentemente innocuo, che oggi mira a indebolire Israele su tutti i fronti – economico, culturale, sociale – isolandolo e depotenziandolo fino a farlo sparire come Stato: questo è il boicottaggio economico messo in atto dal movimento BDS (Boycott, Disinvestment, Sanction) in tutto il mondo, in nome di una pretesa “difesa dei diritti dei palestinesi calpestati dal mostro sionista”, ma di fatto nella convinzione che Israele sia una minaccia per la stabilità del Medio Oriente e che non abbia diritto di esistere. L’obiettivo, insomma, è estendere al mondo intero l’ostilità che i Paesi arabi hanno sempre avuto nei confronti dello Stato ebraico.
In Italia, è il 2016 l’anno in cui il BDS inizia a uscire allo scoperto a livello nazionale: ciò in seguito a un appello firmato da 351 professori per sospendere tutte le collaborazioni con il Technion di Haifa, accusato di “collaborare alla ricerca militare e allo sviluppo delle armi usate dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese”. Dei 351 firmatari, 50 provengono dall’Università di Torino, 27 dall’Orientale di Napoli, 20 dall’Università di Bologna e 14 dall’Università di Cagliari. Ed è proprio Torino che, da allora, è diventata a tutti gli effetti la capitale italiana del BDS, finendo al centro di numerosi fatti di cronaca. Uno degli ultimi ha visto coinvolta una ricercatrice del dipartimento di economia, Daria Bertazzi, che ha rifiutato un contratto di ricerca in quanto coinvolgeva l’Università di Tel Aviv. Tuttavia, come racconta Ugo Volli, docente di semiologia a Torino, tali eventi raccolgono una percentuale scarsissima di studenti e docenti: «A Torino le mie posizioni sono note, eppure non ho mai avuto problemi personali neanche nel 2008 con la Fiera del Libro, quando io e una mia collega abbiamo volantinato contro il boicottaggio – dichiara al Bollettino -. Qui noi ebrei stiamo molto meglio che in Francia o in Scandinavia. A Torino più di metà delle firme contro il Technion sono di pensionati, su un totale di 1500 professori attivi».
Anche in questi primi mesi del 2017 non sono mancati gli episodi legati al BDS. A fine febbraio solo la protesta dell’Ucei e della comunità ebraica di Roma ha impedito che un convegno intitolato “Gaza: rompiamo l’assedio” si tenesse in Campidoglio, mentre a metà marzo non è bastata la rabbia della Comunità di Napoli a fermare un’iniziativa del BDS nella sala consiliare.
Ma facciamo un passo indietro: il BDS è stato fondato a Ramallah il 6 aprile 2004 dal qatariota con cittadinanza palestinese Omar Barghouti. Laureato in filosofia all’Università di Tel Aviv e residente ad Akko con la moglie arabo-israeliana (grazie alla quale ha avuto la cittadinanza israeliana), Barghouti ha sempre accusato Israele di praticare l’apartheid e di violare le leggi internazionali. Un personaggio ambiguo, che di recente è stato arrestato – e poi rilasciato su cauzione – dalla polizia israeliana per avere nascosto al fisco 700.000 dollari guadagnati tra il 2007 e il 2017 con la sua National Computing Resources, società che commercia e affitta bancomat. Dati interessanti sul BDS sono contenuti nella relazione annuale stilata per conto dell’UCEI da Stefano Gatti e Betti Guetta del CDEC: tema, l’antisemitismo in Italia. Ad esempio, si apprende che tra i portavoce globali del movimento vi sono note personalità del mondo dello spettacolo (Ken Loach, Mike Leigh, Roger Waters, Brian Eno, Danny Glover), intellettuali (Alice Walker, Arundathy Roy, Michael Ondaatje, Rashid Khalidi) e alcuni premi Nobel (Desmond Tutu, Rigoberta Menchu, Mairead Corrigan), tutti vicini alla sinistra radicale.
Negli anni, il movimento “boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” ha attuato numerose campagne intimidatorie sfociate talvolta in minacce e vandalismi, per spingere al boicottaggio di associazioni, aziende e singoli individui bollati come “sionisti”. A causa di tali eventi, molti studiosi hanno riconosciuto il BDS come portatore di una nuova forma di antisemitismo, specie durante il 5° Global Forum for Combating Antisemitism (svoltosi a Gerusalemme dal 12 al 14 maggio 2015). Per non parlare della Israeli Apartheid Week, la settimana di eventi di boicottaggio e (dis)informazione su Israele e la sua politica con i palestinesi.
Il BDS qui da noi
Sino a oggi, nel nostro Paese, il movimento BDS è stato promosso soprattutto da singoli accademici e attivisti (Angelo D’Orsi, Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini, Domenico Losurdo, Gianni Vattimo, Piero Bevilacqua, Piergiorgio Odifreddi), organizzazioni islamiche e antisioniste (Ucoii, ISM, Forum Palestina, Palestina Rossa) e gruppi cattolici come Pax Christi. Tra i partiti politici invece è sostenuto solo da Rifondazione Comunista e da singoli membri del Movimento 5 Stelle e di Sinistra Ecologia Libertà, prima dello scioglimento.
Tuttavia, mentre nel mondo accademico anglosassone tale movimento gode di un’ampia diffusione, esso non ha, almeno per ora, una presenza veramente significativa in Italia; anzi, secondo numerose testimonianze, molte delle nostre università stanno andando nella direzione opposta. «L’Ateneo di Trento non sostiene il BDS, anzi è nel trend opposto – racconta Massimo Giuliani, che vi insegna Pensiero Ebraico dal 2002, e che in questi anni non ha mai visto manifestazioni anti-israeliane nel suo ateneo -. La Facoltà di Giurisprudenza accoglie spesso professori israeliani; inoltre, in autunno abbiamo presentato il Progetto Talmud assieme a rav Gianfranco Di Segni e l’aula era piena». Ugualmente ottimista è Alberto Cavaglion dell’Università di Firenze, il quale afferma che, a parte una tensione latente nei dipartimenti di Orientalistica, non vi è una minaccia seria: «Il baricentro della situazione non è più Gaza, oggi sono la Siria e i migranti».
«Nelle tre università romane non c’è spazio per il BDS – afferma Myriam Silvera, che insegna Storia degli Ebrei alla Sapienza -. A Roma 2 esiste il Centro Romano per gli Studi sull’Ebraismo, a Roma 3 il Master per la Didattica della Shoah. La Sapienza con il suo rettore ha più volte manifestato interesse per gli ebrei e Israele». Del resto, proprio il rettore di Tor Vergata, Giuseppe Novelli, in quanto genetista ha collaborato all’identificazione delle vittime delle Fosse Ardeatine e ha spesso invitato medici e accademici israeliani.
Nel mondo dello spettacolo italiano la situazione è ancora più favorevole: le pressioni del movimento su musicisti italiani – ad esempio il trombettista Paolo Fresu, che ha partecipato all’Israel Festival di Gerusalemme nel maggio 2014, ed Eros Ramazzotti che si è esibito in Israele nell’aprile 2016 -, non hanno mai attecchito.
Un altro caso legato al mondo della musica italiana riguarda il rapper Fedez, che nel maggio 2016 venne contestato per essere stato protagonista, assieme a J-Ax, di un evento organizzato dall’azienda informatica HP, accusata da alcuni attivisti di “fornire la tecnologia per l’occupazione israeliana”.
Detto ciò, in questi anni non sono però mancati anche nel nostro Paese episodi di boicottaggio di Israele fuori dal mondo accademico e legati al BDS. Il primo risale al 2008, quando la Fiera del Libro di Torino scelse di avere come ospiti d’onore alcuni scrittori israeliani per i sessant’anni dalla nascita dello Stato ebraico. Tra gli intellettuali che osteggiarono l’evento vi furono i già citati D’Orsi e Vattimo – che dichiarò provocatoriamente di aver rivalutato i Protocolli dei Savi di Sion -, oltre al controverso filosofo svizzero Tariq Ramadan. Alla fine, però, il boicottaggio è caduto nel vuoto. «Il vero ospite d’onore è dunque la libera cultura d’Israele, perché sulla cultura, e non su altro, si misura l’onore di un Paese. […] – scrissero Ernesto Ferrero e Rolando Picchioni, Direttore e Presidente della Fiera del libro, in una Lettera aperta a Tariq Ramadan -. Ci sfugge il nesso tra politica e cultura, quando è così rozzamente delineato. Le ragioni della letteratura e quelle della politica sono sempre state profondamente diverse e spesso radicalmente opposte». Tra coloro che invece si opposero ai boicottaggi vi furono l’allora sindaco di Torino, Piero Fassino, e il co-fondatore della Fiera, Angelo Pezzana. Ed è proprio Pezzana che, nove anni dopo, circa la situazione italiana rispetto ad altri Paesi dice che «non è più positiva, ma è soltanto meno negativa. E anche se in Italia il BDS ha molti meno sostenitori che all’estero, qui chi è contro Israele non trova un’opposizione da parte di altri. Il risultato? Una maggioranza silenziosa indifferente, come avvenne anche nel caso dei paesi astenutisi per le mozioni dell’UNESCO».
Le contestazioni a Milano
Neanche Milano si è rivelata immune a questa ondata di fango: nel 2011, quando venne allestito il padiglione Unexpected Israel in Piazza Duomo, un gruppo di agitatori minacciò di impedire l’evento, anche a costo di “mettere a fuoco la città”. Fortunatamente, tali minacce si rivelarono un bluff. Mentre durante una conferenza con lo scrittore David Grossman tenutasi al Teatro Elfo Puccini l’anno seguente, un gruppo di manifestanti anti-israeliani salì sul palco definendo gli ebrei “assassini” e “nazisti”.
Dal luglio 2014, però, anno dell’Operazione Margine Protettivo a Gaza, le attività del BDS sono aumentate in modo considerevole. Nello stesso periodo a Torino vennero promosse nuove manifestazioni palesemente antisemite, con l’apposizione di volantini davanti ai negozi gestiti da membri della Comunità ebraica locale.
Nel 2015, invece, il leader ufficiale del BDS Omar Barghouti è stato invitato a parlare all’Università Roma Tre, all’Università di Torino e all’Università di Bologna, con il sostegno di numerose associazioni studentesche e sezioni del BDS locali. Un anno dopo, ha rilasciato un’intervista a Il Fatto Quotidiano dove ha continuato a dipingere Israele come un paese razzista; fortunatamente, per lo stesso articolo venne intervistato anche il filosofo Giulio Giorello, che al contrario ha duramente criticato l’idea di isolare le università israeliane.
Forse a chi sostiene il BDS non è chiaro che il boicottaggio colpisce prima di tutto i palestinesi, allontanando la possibilità di uno Stato. Ma, soprattutto, come sostiene anche l’ex rabbino capo del Commonwealth, Rav Jonathan Sacks, in un bellissimo video sul pericolo BDS (Youtube) – “un movimento che si batte per i diritti di una parte negandoli a un’altra, opposta, è destinato a fallire”.