di Angelo Garioni e Valentina Rigoli
Cremona è una città che durante il secondo dopoguerra ha accolto migliaia di profughi e rifugiati come un porto di mare. Arrivarono gli ebrei che abitarono nel complesso noto come Parco dei Monasteri in via Bissolati, erano poco più di mille, vi furono accolti per quattro anni. Arrivarono i dalmati- giuliani ospitati in altri quartieri della città e nel Casermone (Col di Lana) e nell’asilo Martini. Vi erano pure gli sfollati italiani, generalmente cremonesi senza casa, provenienti da tutto il circondario. Tanti uomini, donne e bambini, tante storie che con il passare degli anni si sono eclissate.
In particolare per gli ebrei pochi in questi anni, anche tra i più anziani, rammentavano l’esistenza dei campi, tranne gli abitanti dei quartieri gravitanti su via Bissolati. Oggi, grazie alle ultime ricerche e al ritorno di qualche bambino d’allora in visita, spesso con i famigliari, la storia si sta ricomponendo in tutti i suoi aspetti. E proprio i bambini sono i protagonisti di un felice ritorno che è avvenuto venerdì 14 luglio 2017 quando, scendendo da un minivan in piazza Lodi, è apparsa Rita Lurie, al secolo la bambina Rachel Lurie (da sinistra, la seconda bambina nella foto), sopravvissuta all’Olocausto ed approdata a Cremona nel luglio del 1945 per viverci quattro anni, sino alla sua partenza per gli Stati Uniti. Sono passati poco più di settant’anni da quei giorni eppure ogni tanto la storia ritorna prepotentemente alla ribalta con le ultime preziose testimonianze dei sopravvissuti.
Rita Lurie si è materializzata a Cremona grazie al bel regalo di compleanno che le hanno organizzato i tre figli: Leslie Gilbert-Lurie, Gwyn Lurie e David Lurie. Desiderava da anni ritornare a Cremona, visitare i luoghi dove aveva vissuto all’età di otto anni con il padre, la matrigna e il fratello che proprio qua nacque. Ad accoglierla Angelo Garioni, storico dei DP CAMP Cremona, e Elena Piccioni guida turistica di Target Cremona, nel duplice ruolo di conoscitrice della città e traduttrice.
Da subito Rita ha chiesto di poter visitare l’Ospedale Maggiore, raccontandoci che appena giunta a Cremona, dalla Polonia a piedi con i famigliari, attraversando l’Ungheria, l’Austria e le Alpi, era stata ricoverata per denutrizione. I ricordi erano tenui ma si rammentava di un grande giardino vicino alla sua stanza. Il gruppo si è diretto prima a visitare la ex chiesa di San Francesco, sito dell’Ospedale Maggiore sino alla fine degli anni ’70. Entrare in quei vasti locali abbandonati da decenni ma rimasti intatti negli arredi e nell’aspetto è stato emozionante per la famiglia Laurie. I figli, ammirati da luoghi così carichi di fascino, interrogavano la madre affinché desse conferma delle stanze dove aveva vissuto. Perlustrando l’ex reparto femminile e la maternità, Rita non riconosceva i luoghi finché non si è giunti in prossimità dell’Ospedalino dei Bambini, grazie al suggerimento del geometra Annibale Zanetti, presidente di Cremona Sotterranea e fine conoscitore della struttura, interpellato telefonicamente.
Questo piccolo ospedale sorto agli inizi del ‘900 è un padiglione staccato dal complesso di Santa Maria della Pietà e affiancato alla chiesa del Foppone. Qui i ricordi avvolti nella nebbia del tempo sono diventati nitidi. Rita all’improvviso ha cambiato sguardo e ha riconosciuto l’edificio, il giardino e le finestre del suo reparto, sito al piano terra. Di colpo la signora americana che ci stava innanzi si è trasformata nella bambina polacca di otto, malnutrita, che osservava i fiori del giardino in una mite primavera cremonese. I ricordi si sono trasformati in lacrime, liberatorie: dopo settant’anni il cerchio si è chiuso, è ritornata a Cremona, la città dove la sua vita aveva ripreso vigore. A quel punto Rachel ci ha confidato “arrivammo a Cremona stremati dalla grande camminata. Ci eravamo salvati in Polonia perché una famiglia ci aveva nascosto per quasi tre anni. Io ero molto magra e subito mi ricoverarono nell’ospedale pieno di bambini, anche ebrei. Mi ricordo che un medico, tale De Vecchi o Vecchi, pensava che non capissi l’italiano ed ai suoi colleghi aveva detto che a breve sarei morta. Rimasi atterrita.”. Dopo queste parole tutti, i figli e la madre, hanno avuto un grande momento di commozione e un abbraccio liberatorio, per fortuna il medico si era sbagliato. Rita ha poi proseguito nel suo racconto “tempo dopo feci amicizia con un bambina cremonese di nome Maria. Giocavamo insieme nel giardino dell’ospedale. I medici a poco a poco ebbero fiducia in me, tanto da affidarmi un compito ingrato: avrei dovuto accompagnare negli ultimi attimi della sua vita un bambino ebreo che si spense a fianco del mio letto. Tentarono anche di convertirmi al cattolicesimo, ma invano. Dopo un anno di ospedale fui dimessa e mi trasferii presso la mia famiglia, da mio padre, che abitava nei campi dall’altra parte della città (in via Bissolati, ndr).”
La visita è poi proseguita in direzione di via Bissolati, all’ingresso del giardino della Caserma Pagliari, nel Parco dei Monasteri. Qui Rita ha potuto visitare le tre caserme sede dei campi ( Pagliari, Sagramoso e San Martino). I ricordi sono affiorati sempre più vivi: nella corte di San Benedetto Rita ha riconosciuto la stanza dove si cambiavano prima di giocare a basket nel cortile; i locali dormitorio, grandi stanzoni divisi da coperte per dare una maggiore riservatezza alle famiglie; l’ambiente della scuola. Racconta commossa: “mio padre si sposò a Cremona con la seconda moglie che conobbe nei campi. Qui nacque mio fratello. Nei campi vivevano anche mio zio e altri nostri amici. Durante il mio soggiorno andai anche in vacanza a Selvino, dove esisteva una casa ebraica per bambini”. Alla domanda se aveva contatti con la popolazione locale, Rita ci ha così risposto “avevo delle amiche cremonesi, una sera andai a casa di due di loro per giocare”. Ci ha raccontato del proseguo del viaggio da Cremona a New York: “prima andammo a Trani e a Barletta , perché dovevamo imbarcarci per Israele. La sera prima, però, mio padre e mio zio mi dissero che avevano cambiato idea: in particolare mio padre non voleva che io, scampata alla guerra e alle sofferenze dell’ospedale, mi ritrovassi in un nuovo conflitto. Quindi ritornammo a Cremona per qualche tempo e poi ci trasferimmo a La Spezia, mi pare, dove ci imbarcarono per New York, dove vissi qualche anno prima di trasferirmi a Los Angeles, la mia attuale città! Ricordo ancora la prima volta che arrivai a Cremona, era il luglio del 1945. Vi vissi fino al 1948 quando poi partii per gli USA”.
Rita ha anche raccontato del suo impegno quotidiano come testimone nelle suole americane Ogni settimana da anni si reca nelle aule californiane per raccontare l’orrore della Shoah. Con la figlia Leslie nel 2010 ha anche scritto un libro di memorie intitolato: Bending Toward the Sun: A Mother and Daughter Memoir with Rita Lurie.
A questo punto David, il figlio di Rita, ha mostrato una fotografia al gruppo con la mamma che manifestava per la libertà di Israele in corso Campi insieme alle sue amiche. Manifestazioni ricordate anche negli articoli dell’epoca dal giornale La Provincia di Cremona. Pensando di fare cosa gradita, Angelo Garioni e Elena Piccioni hanno ricondotto la famiglia Laurie sul Corso, nel punto esatto dove decenni prima era stata scattata la fotografia. Giunti nella via, un altro bel momento colmo di commozione. Rita pensava alla sua giovinezza, alla famiglia, al caro papà, a quei tempi lontani, a quella Cremona del Dopoguerra che l’aveva accolta. Subito un’ultima fotografia nella stessa posa, nello stesso punto ma senza le amiche di un tempo, ma, forse, con il dono più prezioso che la bambina Rachel ha ricevuto dalla vita come ricompensa per un’infanzia violata dalla pazzia nazista: la presenza dei tre amatissimi figli. La bella giornata della nostra “cremonese” Rachel si è conclusa in piazza del Duomo. Rachel ha rivisto la sua Cremona e la città ha potuto riabbracciare una sua figlia adottiva dopo settant’anni.