di Ilaria Myr
“È una sentenza totalmente sbagliata da un punto di vista concettuale e tecnico-giuridico, e mi auguro che venga presto riformata”. Così Donatella Masia, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Asti, commenta a Mosaico la sentenza con cui sono stati assolti i due tifosi laziali che nel 2013 erano stati sorpresi dalle telecamere in Curva nord mentre intonavano un coro con dentro le due parole incriminate, e che erano stati accusati di diffondere odio razziale. I due sono stati prosciolti con la formula «perché il fatto non sussiste» dal gip di Roma Ezio Damizia. La sentenza è stata pronunciata lo scorso 15 dicembre, ma le motivazioni sono state pubblicate in questi giorni.
I due ragazzi – difesi dagli avvocati Massimiliano Capuzi ed Emiliano Ferrazza – erano stati accusati in seguito alla diffusione delle le immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso durante la partita Lazio-Catania del 30 marzo del 2013. In particolare le riprese mostravano, tra le 15.38 e le 15.39, i due giovani incitare il resto dei componenti della Curva nord a cantare «Giallorosso ebreo, Roma va a caga’». Una volta osservate le immagini, la Digos aveva identificato e denunciato i tifosi. Nella perquisizione a casa di Pomponi erano saltati fuori un manganello retrattile, un manifesto del terrorista dei Nar Alessandro Alibrandi e una maglietta raffigurante il Duce. Nulla nell’abitazione dell’altro tifoso. Per entrambi, al termine delle indagini, la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio.
Il gip non ha accolto la tesi dell’accusa perché le espressioni incriminate «rimangono confinabili nell’ambito di una rivalità di tipo sportivo»: il coro, si legge nella sentenza, «si compone di un’espressione che aldilà della scurrilità esprime mera derisione sportiva». E poi secondo il giudice occorre tenere conto di una differenza: «Sebbene l’accostamento giallorosso con ebreo possa aver assunto nelle intenzioni del pronunciante valenza denigratoria, ricollegabile latamente a concetti di razza, etnia o di religione, le modalità di esternazione non costituiscono alcun concreto pericolo di diffusione di un’idea di odio razziale e di superiorità tecnica». Anche perché quel giorno non c’erano romanisti sugli spalti da provocare.
“Questa sentenza può avere delle gravi conseguenze, perché di fatto legittima l’antisemitismo da stadio come lecito – continua Masia -. Soprattutto, da quello che leggo dai media emerge come chi ha scritto la sentenza non abbia la minima idea di cosa sia l’antisemitismo e non sappia applicare la Legge Mancino, che è pure pessima: una legge generica che non dà gli strumenti per capire che cos’è l’odio razziale e come si può manifestare, e che si presta alle interpretazioni più fantasiose, che possono portare a esiti di questo tipo”. Una legge dunque, che va riscritta.
“Il problema – continua Masia – è che oggi a chi si occupa di legge non si spiega chiaramente cos’è l’odio razziale: non ci sono corsi di aggiornamento su questo tema, mentre ce ne sono tanti altri sui temi più disparati. È un argomento negletto, mentre dovrebbe essere un tema sentito e che suscita interesse”.
Non solo. Sostenere che chiamare qualcuno ‘ebreo’ è “denigrazione ma non ha valenza di sopraffazione di tipo razziale” è secondo il magistrato molto grave. “Proprio utilizzare il termine ‘ebreo’ come denigratorio è l’essenza stessa dell’antisemitismo che sia di matrice cattolica, islamica, o altro”.
Di parere simile è il giurista Giorgio Sacerdoti, che a Mosaico dichiara: “L’assoluzione di questi due laziali è deprecabile perché sdogana il termine ebreo come attributo negativo che si può dare una persona. Sicuramente è preoccupante anche dal punto di vista sociologico, in quanto dimostra quanto dare degli ebrei a qualcuno sia equivalente all’insultarlo”.
La reazione della Comunità Ebraica di Roma: “Necessario intervenire”
«Si tratta indubbiamente di un precedente allarmante per la giustizia di questo Paese – che, in sostanza, legittima l’utilizzo dell’aggettivo ebreo in forma dispregiativa e razzista e comunque come strumento di derisione durante gli eventi sportivi». Così Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha scritto in una lettera che esprime «grande inquietudine e preoccupazione» inviata al guardasigilli Andrea Orlando e al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Secondo la presidente «è ineluttabile il rischio che deriverà da una acritica e passiva accettazione di questa linea di pensiero». E perciò «è necessario intervenire per far sì che questa sentenza, che stentiamo a comprendere per la sua astratta devastante portata e le cui motivazioni attendiamo di leggere con interesse e allarme, non produca risultati nefasti soprattutto in prossimità di eventi sportivi carichi di rischi, tensioni e conflittualità».