di Redazione
Cresce in Italia l’intolleranza verso il “diverso”, e gli odiatori si sentono sempre più legittimati: lo rivela l’ultima edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano.
Fra marzo e maggio del 2019 l’odio contro i migranti registra un più 15,1%, mentre l’intolleranza contro gli ebrei, di fatto quasi inesistente fino al 2018, quest’anno registra un più 6,4% (76,1% sul totale dei tweet sugli ebrei). Colpisce soprattutto il centro Italia e prende di mira gli ebrei usando stereotipi e fake news. Rispetto all’islamofobia (che cresce del +6,9%) per scatenarsi l’antisemitismo non ha bisogno dello spunto offerto da eventi internazionali. Fra le offese più ricorrenti: rabbino, usuraio, giudeo, strozzino, ebrei ai forni , sionista.
In pole position anche le donne, stabili nel mirino degli haters (+1,7% di tweet negativi rispetto al 2018), ma più colpite in tandem con le persone omosessuali. I gay però sono l’unica categoria risparmiata dagli haters, con una diminuzione del 4,2% dei tweet negativi.
Quasi il 60% (57,59%) dei tweet ha dunque al centro migranti, ebrei e musulmani, e tra questi, il totale dei tweet di odio è altissimo, l’assoluta maggioranza, prefigurando atteggiamenti e disposizioni di forte intolleranza contro persone considerate “aliene”. L’anno scorso, tale percentuale si attestava sul 36,92%. In pole position, nella classifica drammatica dell’odio online si posizionano anche le donne, stabili nel mirino degli haters (+1,7% di tweet negativi rispetto al 2018), ma più colpite in tandem con le persone omosessuali, in occasione di attacchi concentrici, instillati da eventi locali o internazionali forieri di polemiche, quali il Convegno delle famiglie di Verona o le diatribe sulle famiglie arcobaleno. I gay però sono l’unica categoria risparmiata dagli haters, con una diminuzione del 4,2% dei tweet negativi. Segno, anche, del cambiamento culturale prodotto dall’approvazione della legge sulle unioni civili e dalle tante campagne di sensibilizzazione.
«La prima evidenza che emerge – spiega Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice di Vox- Osservatorio italiano sui Diritti – riguarda l’impatto che il linguaggio e le narrative della politica hanno sulla diffusione e la viralizzazione dei discorsi d’odio. La seconda riguarda il ruolo dei social media, ormai corsia preferenziale di incitamento all’intolleranza e al disprezzo nei confronti di gruppi minoritari o socialmente più deboli. Il numero esiguo di caratteri che compone un tweet o un post infatti consente (o addirittura favorisce) la diffusione e la condivisione di pensieri e atteggiamenti idiosincratici, a maggior ragione se garantiti dall’anonimato».
Il livello di aggressività e la politica
E che il clima di violenza verbale registrato sui social sia in preoccupante e nettissimo aumento, lo conferma anche un altro fattore di analisi introdotto quest’anno: il livello di aggressività. Si basa su alcune considerazioni emerse da altri modelli e indici di livelli di aggressività, sviluppati in prevalenza nell’ambito psicologico e psicometrico. In questa sua prima forma sperimentale, si è dimostrato utile, per meglio comprendere non solo la negatività, gli atteggiamenti intolleranti e discriminanti, ma anche l’orientamento aggressivo di questi messaggi.
Altrettanto significativa poi appare la correlazione tra odio sui social e messaggi della politica: sono le prime evidenze emerse analizzando i picchi di aggressività contro migranti, ebrei e musulmani e confrontandole con i post dei politici. È lo studio in corso, con Amnesty International, che grazie al progetto Barometro dell’odio sta analizzando i profili dei politici su Facebook: i risultati di tale rilevazione verranno comparati con quelli registrati dalla Mappa 4.0.
“I dati emersi dalla Mappa 4.0 mostrano una drammatica correlazione tra il linguaggio dei politici – rappresentanti o candidati alle elezioni Europee – sempre più caratterizzato da toni intolleranti e discriminatori con l’aumento dei tweet razzisti e xenofobi”, spiega Marilisa D’Amico, co-fondatrice di Vox, prof. ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano e Prorettore con delega a legalità, trasparenza, parità di diritti nella stessa Università. “Ciò non solo sembra creare un clima culturale sempre più ostile al “diverso”, ma legittima la diffusione dei discorsi d’odio lesivi dei principi di uguaglianza e di solidarietà, ai quali è ispirata la nostra Costituzione. Ancora, le parole d’odio, che si moltiplicano sul web, si traducono in scelte politiche e normative che hanno un’incidenza sui diritti dei migranti in arrivo e sulle fondamenta dello Stato di Diritto. La conseguenza più allarmante è che oggi sembra bastare un tweet del ministro dell’Interno per chiudere i porti italiani alle navi trasportanti richiedenti protezione, potenzialmente titolari di un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione: il diritto d’asilo (art. 10, comma 3 Cost.)”.
L’odiatore si sente legittimato
“L’odiatore non è più l’anonimo leone da tastiera, quello che lancia il sasso di un tweet e poi nasconde la mano. Oggi si fa riconoscere. Vuole farsi riconoscere!” spiega Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia Dinamica presso La Sapienza, Università di Roma. “Ha il petto in fuori e rivendica la ribalta. Non si sente più solo, ma legittimato. Si tratta di un cambiamento radicale e preoccupante. I bersagli dell’offesa, invece, sono sempre gli stessi. Da sempre le maggioranze, silenziose o rumorose, hanno avuto bisogno di confermare se stesse attraverso un capro espiatorio. Lo scelgono tra le cose che non capiscono e inconsciamente temono, oppure che considerano “deboli” o “contaminate”: di volta in volta le donne, le persone non eterosessuali, disabili, o di culture, religioni e etnie non maggioritarie. Se la prendono coi loro “corpi”: disprezzati nella sessualità e nel genere, ridicolizzati e umiliati, verbalmente aggrediti e persino stuprati in parole che sempre più spesso diventano fatti. L’insulto può essere letto come una forma primitiva di difesa psichica che si esprime attaccando aspetti fondamentali dell’umanità altrui. La psicoanalisi insegna che l’odio è un sentimento che tutti possiamo provare, ma che è fondamentale riconoscere ed elaborare. L’odio sociale di oggi, quello degli haters digitali, potrebbe in parte rappresentare un rigurgito rabbioso contro la complessità di un mondo (sociale o privato) che sta andando in una direzione che fa paura o confonde. Contro le donne, perché si teme la loro libertà e indipendenza; contro le persone gay e lesbiche perché il cammino dei loro diritti e della loro cittadinanza non può essere fermato; contro i migranti perché sono un fenomeno storico irreversibile che non può essere semplicemente “respinto”. Si grida di più per due motivi: in modo calcolato per aggregare consenso attorno a sé e in modo scomposto per cercare di contenere la paura nei confronti di trasformazioni epocali che spaventano e con cui non si è capaci, affettivamente e cognitivamente, di misurarsi. Con i social network, basta un clic per moltiplicare l’effetto. E questo fa sentire ancora più forti. Si pensa di parlare al mondo, affacciati al proprio balcone, e questo purtroppo a volte ha l’effetto della benzina sul fuoco che trasforma in incendio quello che poteva essere un fuocherello. Cosa possiamo fare? Individuare il disagio e incontrarlo nel dialogo. La Mappa dell’Intolleranza permette di individuare le zone in cui l’hate speech è maggiormente twittato. Questo ci consente di attivare campagne preventive sia attraverso l’elaborazione di materiali didattici e formativi sia attraverso interventi nelle scuole e incontri allargati con le realtà territoriali.”