di Rav Alfonso Arbib, presidente Ari (Assemblea dei Rabbini d’Italia)
La scomparsa di rav Chayim ben Reuven Della Rocca è una forte perdita non solo per la Comunità di Roma di cui è stato una delle colonne portanti ma per l’intero ebraismo italiano.
Rav Della Rocca o meglio il “morè” Della Rocca è stato innanzitutto un grande educatore. Ha educato intere generazioni e fra i suoi allievi ci sono stati non solo buona parte dei rabbini italiani ma anche persone che, nella loro vita, hanno preso strade diverse in cui però il morè Della Rocca ha instillato l’amore per l’ebraismo e per il popolo ebraico.
Ha avuto una vita certamente non facile. Ha perso il padre nella Shoah e ha vissuto in prima persona quegli eventi terribili. Ne è uscito però con la volontà e la capacità di ricostruire e avendo come punto centrale della sua vita la tradizione ebraica e il popolo ebraico. È stato anche un famoso chazàn noto non solo per la sua voce ma anche per la capacità di “far sentire”alle persone la tefillà e la lettura della Torà.
Come abbiamo detto è stato una colonna portante della Comunità di Roma, occupandosi non solo dell’insegnamento e del Tempio ma anche dei problemi quotidiani delle singole persone.
La Ghemarà in Taanìt dice che Yaakov Avinu non è morto e, alla domanda come si possa fare un’affermazione del genere, risponde: “Finché i suoi figli sono vivi lo è anche lui”.
Rav Della Rocca ha avuto figli e nipoti che hanno continuato e continuano la sua opera ma ha avuto soprattutto allievi che i Chackhamin considerano come figli.
I suoi figli, i suoi nipoti e e i suoi allievi lo manterranno in vita.
Yihyè zikhrò barùkh