di Roberto Zadik
L’Europa e la Shoah a settant’anni dalla fine degli orrori della Shoah. Una ferita profonda e ancora oggi per tanti versi irrisolta, visti i recenti e preoccupanti riflussi di antisemitismo e intolleranza che stanno attraversando il Vecchio Continente. Ma come ricordano i vari Paesi Europei questa immensa tragedia e quali sono le differenze fra le varie nazioni? Cosa sta facendo l’Unione Europea per non dimenticare quanto accaduto e quali sono le sfide che la Memoria deve affrontare nel Ventunesimo Secolo? Di questo e di moltissimi altri argomenti si è parlato nell’importante iniziativa “Le Giornate della Memoria della Shoah nell’Unione Europea: le sfide della commemorazione nel XXI secolo” .
La manifestazione, tenutasi nell’Auditorium “Joseph e Jeanne Nissim” del Memoriale per la Shoah, è durata due giorni, il 13 e il 14 aprile, ed è stata organizzata e promossa dal Cdec, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e dalla Fondazione Memoriale della Shoah e curata da Guri Schwarz, dalla storica e studiosa Liliana Picciotto, dal Direttore del Cdec, Michele Sarfatti e Giorgio Rota. Organizzatori e esperti di primo piano italiani e internazionali, hanno partecipato a questa iniziativa che ha approfondito in ogni singolo intervento le differenze e le analogie fra i vari Paesi nel ricordo comune della Shoah. Come ha ricordato il professor Lothar Probst, Docente universitario tedesco e uno dei relatori della giornata di martedi, sulla Shoah ci sono diverse domande irrisolte su come sia potuto succedere e su quanto i Paesi europei si sentano uniti fra loro su un tema tanto complesso come l’Olocausto.
Ma in che modo viene vissuta attualmente la tragedia della Shoah nei vari Paesi europei e si può parlare di una memoria comune europea invece di limitarsi a racconti locali e circoscritti ai singoli Stati di quanto accaduto in quei tremendi anni? Fra gli interventi, martedi scorso, al Memoriale,dalle 14.30, dopo la Grecia, l’Ungheria e la Romania, è stato il turno di Paesi come la Polonia e la Germania, in un incontro moderato da Pietro Graglia,docente universitario milanese della Statale.
Approfondendo la società polacca e il suo difficile rapporto con la storia, l’incontro moderato dal Pietro Graglia, la studiosa dell’Università di Bologna, Carla Tonini, ha cominciato analizzando il patriottismo polacco e la preferenza che i polacchi danno alle loro sofferenze storiche rispetto a quelle vissute dai loro connazionali ebrei. Innanzitutto, l’esperta, ha fatto sapere che più che il 27 gennaio, la data in cui i polacchi ricordano quelli anni,è l’anniversario del 19 aprile, quando nel 1943 scoppiò la rivolta del Ghetto di Varsavia.
Questa ricorrenza però è stata spesso strumentalizzata nella storia della Polonia, vista nella mentalità comunista dei regimi, ha fatto sapere la studiosa, più come una lotta contro il potere, che legata all’ambito ebraico e celebrata come una lotta ai genocidi in generale. Tante sono state le difficoltà per i polacchi anche nell’affrontare la realtà del campo di concentramento di Auschwitz che fino agli anni ’90, veniva inquadrato come un qualcosa di molto generico con un significato e un messaggio che in ogni decennio cambiava.
Suddividendo le varie manipolazioni e le distorsioni ideologiche e concettuali rispetto al lager, la studiosa si è soffermata su come fra gli anni ’50 e gli anni ’60 ci si soffermasse sull’eroismo dei polacchi e che per un certo periodo la parte di Birkenau dove vennero internati gli ebrei venne chiusa al pubblico. Solo alla fine degli anni ’60, dopo la morte di Josif Stalin, cominciò ad esserci una maggiore attenzione alla sofferenza degli ebrei anche se sempre molto marginalizzata. Ci fu poi un periodo, sempre nel racconto della Tonini in cui, fra gli anni ’70 e il decennio successivo, il lager divenne la sede di diversi monasteri e conventi come quello delle Suore Carmelitane e nel 1979 ci fu la visita di Papa Giovanni Paolo II, Woytila, che lo definì un “Golgota”. Insomma secondo questa interessante ricostruzione storica e ideologica del difficile rapporto fra la Polonia e gli ebrei fino ai recenti mutamenti degli anni ’90 dopo il crollo dei regimi comunisti sia la presenza ebraica che il passato e la storia di Auschwitz venivano molto distorti dalle istituzioni e manipolati a loro piacimento che ignorati dall’opinione pubblica. Recentemente però, ha fatto sapere la Tonini, negli ultimi vent’anni, molte cose sono cambiate. Dalla fine degli anni Novanta, in Polonia, ci sono stati eventi, dibattiti, il campo di Auschwitz è stato aperto alle visite guidate e ai tour. Da non dimenticare anche il Museo della Storia degli ebrei polacchi a Varsavia che, dopo una grande polemica che si era aperta, prima della sua inaugurazione, ha risvegliato in questi anni un grande interesse da parte delle giovani generazioni anche se molto, fa sapere la studiosa “c’è ancora da fare”.
In Germania invece come viene vissuta la Memoria e qual è la data in cui essa viene maggiormente sentita? A parlarne è stato il professor Michael Brenner ,Docente alla Ludwig Maximilian Universitat di Monaco di Baviera e all’American University di Washington. Lo studioso ha cominciato ricordando la figura dell’importante scrittore Gunther Grass “del quale ho da poco appreso la scomparsa”ha ricordato, spiegando i sentimenti contraddittori che legano i tedeschi alla Memoria, il difficile passato di Grass che confessò di aver aderito all’ideologia nazista da giovane e che visitò Israele nel 1967 e nel 1971 e l’importanza della giornata del 9 novembre per i tedeschi.
“In Germania ancora oggi è difficile parlare di nazismo” ha sottolineato Brenner perché “molti giovani tedeschi non ne vogliono sentir parlare, anche se essa rimane un Paese di essenziale importanza quando si parla di nazismo perché essa ne è stata la principale responsabile.” Ma come mai il 9 novembre è tanto importante in Germania? Brenner nel suo intervento ha approfondito le ragioni e le coincidenze di questa data perché nella storia contemporanea e culturale tedesca molte ricorrenze sono ad essa collegate. Dalla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, alla visita di Grass in Israele, che venne accolto fra le proteste di tanti israeliani quel giorno nel 1971, fino alla terribile Notte dei Cristalli, il 9 novembre 1938.
Parlando proprio della “Notte dei Cristalli” come si dice in tedesco “Kristallnacht” Brenner ha evidenziato che si trattò di “un tragico campanello d’allarme per gli ebrei tedeschi!”. Il titolo Kristallnacht allude maliziosamente, sottolinea Brenner “al potere economico ebraico, il cristallo è prezioso, edulcorando la gravità di quei fatti e per questo molti storici preferiscono chiamarla la notte del Pogrom, Pogromsnacht”. In quella notte, vennero distrutti negozi, spaccate le vetrine di diverse attività ebraiche e uccisi un gran numero di ebrei, decretando la completa ghettizzazione degli ebrei e l’inizio degli orrori del nazismo. Nel suo intervento Brenner ha dunque collegato con precisione e logica una serie di ricorrenze e aneddoti, puntualizzando che c’è stato un miglioramento nel corso dei decenni, nell’affrontare quello che per i tedeschi ancora oggi rappresenta un argomento tabù. Grazie alla serie tv americana “Holocaust” che nel 1979 venne trasmessa alla tv tedesca si cominciò a risvegliare la consapevolezza di quello che era successo.
Gli anni Novanta poi, come in Polonia, ha ricordato Brenner, hanno rappresentato un epoca fondamentale, dopo la caduta del Muro, con dibattiti, conferenze, lezioni nelle scuole, anche se un gran numero di giovani ha segnalato spesso e volentieri “un eccesso di commemorazione riguardo alla Shoah”. “Bisogna” come ha ricordato il docente “sempre stare attenti a dividere le celebrazioni ufficiali dai sentimenti della gente e spesso le commemorazioni non rendono l’idea delle riflessioni interiori delle persone”.
A conclusione degli interventi c’è stato anche l’intervento del docente dell’Università di Brema, Lothar Probst. Cercando di riassumere il significato profondo di questa iniziativa, Probst, ha ricordato la necessità di una commemorazione globale e europea della Shoah e gli sforzi che sono stati fatti per istituire come ricorrenza il 27 gennaio. “La Memoria comune” ha ricordato “incontra vari ostacoli sul suo cammino specialmente da quando i confini dell’Ue si stanno allargando con l’ingresso di nuovi Paesi come Polonia, Estonia e Portogallo. Essa è l’unico modo per sentirci uniti come europei e l’Olocausto rappresenta un punto di riferimento per tutti noi, malgrado fra i vari Paesi ci siano differenze sociali e di mentalità consistenti”. Alla fine della serata ci sono stati numerosi interventi da parte del pubblico. Fra questi la studiosa del Cdec Liliana Picciotto ha molto apprezzato l’intervento di Probst mettendo in evidenza che “oltre alla Memoria comune europea sarebbe molto interesante vedere come viene ricordato la Shoah in Israele e sviluppare gli aspetti salienti della memoria israeliana”.