di Redazione
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato venerdì 19 gennaio 2018 Senatrice a vita, ai sensi dell’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, Liliana Segre, 87 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, per avere dato lustro alla Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni. Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere Ugo Zampetti provvederà alla consegna al Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, del decreto di nomina. Il Presidente della Repubblica ha informato telefonicamente la neo Senatrice a vita della nomina.
Liliana Segre: “Coltivare la memoria è un vaccino contro l’indifferenza”
“Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha chiamato stamattina comunicandomi la decisione di nominarmi Senatrice a vita. Lo ringrazio per questo altissimo riconoscimento – scrive Liliana Segre in un messaggio riportato integralmente dal sito de Il Fatto Quotidiano -. La notizia mi ha colto completamente di sorpresa. Non ho mai fatto politica attiva e sono una persona comune, una nonna con una vita ancora piena di interessi e di impegni. Certamente il Presidente ha voluto onorare, attraverso la mia persona, la memoria di tanti altri in questo anno 2018 in cui ricorre l’80esimo anniversario delle leggi razziali”.
“Sento dunque su di me l’enorme compito, la grave responsabilità di tentare almeno, pur con tutti i miei limiti, di portare nel Senato della Repubblica delle voci ormai lontane che rischiano di perdersi nell’oblio. Le voci di quelle migliaia di italiani, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che nel 1938 subirono l’umiliazione di essere degradati dalla Patria che amavano; che furono espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società dei cittadini ‘di serie A’. Che in seguito furono perseguitati, braccati e infine deportati verso la ‘soluzione finale’. Soprattutto le voci di quelli, meno fortunati di me, che non sono tornati, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono finiti nel vento.
“Continuerò finché avrò forza a raccontare ai giovani l’orrore della Shoah, la follia del razzismo, la barbarie della discriminazione e della predicazione dell’odio – conclude la neo-senatrice a vita -. L’ho sempre fatto, non dimenticando e non perdonando, ma senza odio e spirito di vendetta. Sono una donna di pace e una donna libera: e la prima libertà è quella dall’odio.
Le reazioni delle istituzioni
“A nome di tutte le comunità ebraiche in Italia, esprimo la nostra commozione per la decisione del Presidente Mattarella” che “risponde esattamente alla profonda esigenza di assicurare che l’istituzione chiamata a legiferare abbia a Memoria quanto avvenuto nel passato e sappia in ogni atto associare al formalismo della legge anche l’intrinseca giustizia e rispondenza ai fondamentali principi etici, in un contesto sempre più preoccupante nel quale l’oblio rischia di divenire legge oltre che fenomeno sociale”. Così la presidente Ucei Noemi Di Segni sulla nomina di Liliana Segre.
“La vita di Liliana Segre è testimonianza di libertà. Da senatrice ci indicherà il valore della memoria. Una decisione preziosa a 80 anni dalle leggi razziali”. Così il premier Paolo Gentiloni su Twitter dopo la nomina a senatrice a vita.
“Sono molto felice sia personalmente che come Presidente dell’ANPI Provinciale di Milano per la nomina di Liliana Segre a senatrice a vita – ha scritto Roberto Cenati, presidente Anpi provinciale di Milano -. L’alta onorificenza che è stata conferita a Liliana Segre dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella costituisce un elevato e meritato riconoscimento per la instancabile azione di Liliana volta a tenere vivi i valori della Memoria, soprattutto tra le giovani generazioni, in una società che sembra vivere solo nel presente, nella quale si sta manifestando una sempre più pericolosa deriva antisemita,xenofoba, e razzista”.
La vita di Liliana Segre
Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre 1930. E’ una dei 25 sopravvissuti dei 776 bambini italiani di età inferiore ai quattordici anni, deportati ad Auschwitz, il campo di sterminio nazista in cui trovarono la morte suo padre e i nonni paterni.
Il 30 gennaio 1944, a 13 anni, con il padre Alberto, Liliana venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau in Polonia, luogo che raggiunse dopo sette giorni di viaggio angosciante. “Continuavo a chiedermi ‘perché’ – ha raccontato – non riuscivo a capire per quale motivo proprio io, che ero sempre vissuta circondata dall’amore della mia famiglia, di colpo ero diventata colpevole fino al punto di essere espulsa dalla mia scuola, incarcerata e caricata su un treno che andava verso una destinazione sconosciuta. Nella completa indifferenza di tutti coloro che ci hanno visti arrestare, incarcerare e deportare”.
Liliana venne subito separata dal padre, morto ad Auschwitz il 27 aprile 1944. Nel giugno del 1944 anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo (Como) il 18 maggio 1944, furono deportati e uccisi al loro arrivo ad Auschwitz, il 30 giugno.
Liliana ad Auschwitz diventò subito la matricola 75190, il numero che le tatuarono sul braccio. Fu avviata al lavoro forzato nella fabbrica di munizioni Union (che apparteneva alla Siemens), e svolse quel lavoro per circa un anno, evitando così la morte. Alla fine di gennaio del 1945 affrontò la ‘marcia della morte’ verso il nord della Germania, dopo la liberazione del campo di Auschwitz.
Liliana Segre venne liberata il 1° maggio 1945 a Malchow, un sottocampo di Ravensbruk, vicino a Berlino. Aveva 15 anni.
Quando il comandante delle SS che le era vicino ha iniziato ad allontanare i cani e a spogliarsi dell’uniforme, gettando la sua pistola a pochi passi da lei, «Riconobbi», ricorda, «il capo del campo mentre buttava la pistola per terra. Era un uomo terribile, crudele, che picchiava selvaggiamente le prigioniere, e in quel momento una parte di me avrebbe voluto raccogliere la pistola e ucciderlo. Fu un istante di vertigine, durante il quale si erano invertite le parti: forte io e debole lui. Guardai l’arma, feci per prenderla convinta di potergli sparare, sicura che ne sarei stata capace. La vendetta mi sembrava a portata di mano. Ma di colpo capii che non avrei mai potuto farlo, che non avrei mai potuto ammazzare nessuno. Io non ero come il mio assassino, ho sempre scelto la vita e – da allora – sono la donna libera e di pace che sono anche adesso».
«Sono una nonna innamorata del suo nipotino Filippo. Quando lo stringo, lo bacio e lui mi dice: tu nonna sei il mio arcobaleno, ho capito che Hitler non ha vinto».
(Foto: flickr.com)
I commenti sono chiusi.