di Ilaria Myr
“Israele non ha il diritto di esistere”; “gli ebrei controllano il mondo e sono responsabili di molti mali”; “gli attentati dell’11 settembre sono nati da un complotto giudaico-americano”. E così via. Sono alcune delle convinzioni molto diffuse fra i musulmani in Italia, secondo la ricerca sul mondo islamico nel nostro Paese condotta da Michele Groppi, ricercatore del King’s College di Londra (e pallavolista professionista in serie A). Dall’indagine, che prende in esame molti diversi aspetti dell’argomento, spaziando dall’integrazione dei musulmani nella società italiana al pericolo di radicalizzazione, emergono in particolare dati preoccupanti sui sentimenti verso gli ebrei e Israele diffusi nel mondo islamico italiano.
«Sono considerazioni preoccupanti, che pur non costituendo il tema centrale dell’indagine sono particolarmente interessanti – spiega Michele Groppi a Mosaico – e che è doveroso trattare nell’ambito di un’indagine che vuole essere uno strumento utile per la costruzione di una società sempre più coesa e integrata».
Di questi inquietanti dati lo stesso Groppi ha parlato il 4 gennaio scorso durante una puntata di Otto e mezzo sul canale La 7, che ha visto la partecipazione anche della deputata PD Sumaya Abdel Qader e dell’ex ministro dell’interno Enzo Bianco. Ed è proprio la reazione della deputata musulmana a questi dati, che ha minimizzato e fatto inaccettabili distinguo, ad avere suscitato un’accesa polemica all’interno del PD, con in prima linea i deputati ebrei Emanuele Fiano e Daniele Nahum scandalizzati dalle sue dichiarazioni.
La ricerca
Una premessa doverosa: le risposte vengono da 440 questionari mandati online e svolti sul campo e 200 interviste, svolte dallo stesso Groppi in diverse città del Paese. «Il campione è statisticamente rappresentativo – commenta Groppi -. Ma avrebbero potuto essere almeno 1500, se avessero risposto più persone: di fatto ai questionari messi online dall’Ucoii, Coreis e da membri di CII (confederazione islamica italiana) hanno risposto in meno di 500, e per questo sono dovuto andare di persona a intervistare le persone nelle strade, nei mercati e nelle moschee. Ma quando accettavano di collaborare, ho sempre riscontrato grande disponibilità». Gli intervistati sono uomini e donne, principalmente della fascia 16- 30 anni, appartenenti a 16 gruppi nazionali, ma con una netta maggioranza dai paesi del Nord Africa (marocchini, egiziani e tunisini) e residenti in maggioranza al nord. Ci sono però anche 117 cittadini italiani, tra cui membri appartenenti alla seconda generazione e 40 italiani convertiti all’Islam.
I dati su ebrei e Israele
Veniamo ora ai dati che ci interessano. «Il 52% dichiara che Israele non ha il diritto di esistere; il 61% che gli ebrei controllano il mondo e sono responsabili di molti mali – spiega Groppi -. Il 61%, poi, sostiene che gli attentati dell’11 settembre 2001 siano frutto di un complotto americano-giudaico, e il 48% che Hamas e Hezbollah non sono organizzazioni terroristiche”. Molto interessanti, poi, altre considerazioni di tipo qualitativo emerse dalle interviste fatte vis-à-vis da Groppi. «Emergono molte teorie complottistiche, tra le più disparate, di natura sia economica che geo-politica, che collegano non solo Israele ma anche gli ebrei a qualsiasi male – continua il ricercatore -. Ma quello che più colpisce è che sebbene in molti si dichiarino apertamente contro ogni forma di violenza e di terrorismo, nei confronti di Israele e degli ebrei c’è sempre un ‘però’, una giustificazione. Ciò non significa che vi sia una predisposizione alla violenza e alla radicalizzazione di per sé, ma certamente evidenzia l’esistenza di una questione ideologica di fondo molto radicata in varie parti delle comunità islamiche». Preoccupante, dunque, è questo diffuso atteggiamento minimizzante nei confronti di questi dati, evidente non solo nelle parole di Sumaya Abdel Qader durante la puntata di Otto e mezzo, ma anche di altre persone a cui Groppi sta presentando la ricerca. «Mi aspettavo delle risposte critiche nei confronti degli ebrei e di Israele, ma sinceramente non pensavo sarebbero stati così diffusi i continui distinguo, così come le teorie complottistiche più assurde».
Gli altri dati
Come ha anche spiegato il ricercatore durante la trasmissione su La 7, il quadro generale che emerge dalla ricerca presenta luci, ma anche alcune ombre. «La stragrande maggioranza degli intervistati non sostiene la violenza, anche se è comunque significativa la minoranza del 24% che è invece a favore della violenza in nome di D-o – continua Groppi -. Inoltre, il 30% la considera giusta contro chi offende l’Islam e Maometto, il 13% è per Al Qaeda e l’11% per l’Isis». Da segnalare anche il senso di discriminazione e di guerra mediatica nei confronti dell’Islam percepito da molti degli intervistati. «Però non vi è alcuna prova statistica significativa a livello inferenziale che fattori come la discriminazione, il razzismo e il risentimento verso la politica occidentale siano legati a un processo di radicalizzazione – specifica Groppi -. Certo è che fra chi si dichiara sostenitore dell’Isis e di un governo teocratico è molto diffusa la propensione alla violenza».
Sono molti dunque gli spunti di riflessione che questa indagine offre. Ma sono soprattutto molti i campanelli d’allarme che essa accende. Perché, come dichiara con convinzione Groppi, che sta girando l’Italia per divulgarli, «è importantissimo prendere sottomano questi dati e capire cosa rivelano, seppure vi siano aspetti positivi. Sarebbe un errore troppo grande minimizzarli».