Mantova sotto la luna

Italia

di Daniel Fishman

Mai come quest’anno a Mantova la presenza di autori israeliani e ebrei è stata così copiosa. A testimonianza di un patrimonio letterario di assoluta qualità ma anche di una domanda di “cose ebraiche” che si registra in tutto il Paese.

È anche per questa ragione che la Comunità Ebraica di Mantova ha “allungato” la Giornata della Cultura Ebraica proponendo una bella e riuscita iniziativa. Facendola coincidere per ben due sere (6 e 8 settembre) con il Festival della Letteratura.

«Insieme all’amico Mauro Patuzzi abbiamo pensato di proporre delle letture di poesie scritte dal medico ebreo mantovano Annibale Gallico in dialetto mantovano-giudaico una volta parlato tra le case del ghetto di Mantova. Una precisa e garbata presentazione di Annibale Gallico è stata fatta da una pronipote del poeta, Sara Natale. La lettura delle poesie, frizzanti ed ironiche, da parte di un attore, Adolfo Vaini -ci spiega il presidente della Comunità Emanuele Colorni – si è svolta durante una breve passeggiata serale che, partendo dalla Sinagoga Norsa, ha fatto sosta in due piazzette del Kassèr, il recinto, come appunto si nominava il Ghetto nella parlata degli ebrei del posto. Le poesie sono state intervallate da musiche ebraiche kletzmer con il violino di Mirella Lodi Rizzini».

«Il mio avo -ha spiegato la relatrice – nacque nel 1876 e visse a cavallo del ‘900, proprio nel periodo del cosiddetto “sventramento”, termine con il quale, in un sonetto proprio così intitolato, fu denominata la distruzione completa del Ghetto mantovano, per fare posto ad un nuovo assetto urbano».

Gallico si laureò in Medicina a Padova anche grazie all’aiuto dell’istituto ebraico Trabotti. Operò come medico e “moel” (circoncisore) di riferimento della Comunità mantovana, ma fu figura molto conosciuta in città, oltre che come poeta anche per essere Presidente del Circolo del Gioco della Dama.

Annibale Gallico scrisse 83 poesie che raccolse in due grossi volumi, utilizzando tutte le forme di metrica. Nel riquadro i lettori ne trovano una gustosissima, tra quelle lette: un ebreo chiede al rabbino di potere recitare al Tempio il gomel (la preghiera per uno scampato pericolo). Il rabbino gli rifiuta questa berachà perché ritiene non credibile il motivo addotto dal pio ebreo -mi è caduta una camicia dal davanzale. Pensi se fossi stato dentro la camicia!-. Una ottima prova di umorismo ebraico mantovano, da cui peraltro discendono gli ebrei milanesi che in epoca sforzesca potevano lavorare a Milano ma avevano il divieto di viverci e quindi risiedevano nella città sul Mincio.

La manifestazione Storie vecie passeggiando sotto la luna (questo il nome del tour ebraico-turistico-letterario), si è svolta passo passo toccando i luoghi dove un tempo c’erano sei oratorii (tre di rito askenazita e tre di rito italiano-sefardita), mentre ora c’è solo la meraviglia di quella che fu la Sinagoga Norsa, demolita nel ghetto all’inizio del ‘900 e subito riedificata, uguale in tutto e per tutto, in via G. Govi 13. Ora non ci sono più le abitazioni originarie del Ghetto anche se rimangono immutate le volumetrie di un tempo. Si scoprono così le consuete case sviluppate in altezza, fino a quattro piani, a causa della scarsità di aree edificabili mentre nel resto del centro cittadino le abitazioni erano più basse. La via principale del ghetto era via Tubo (oggi via G. Bertani), così chiamata perché per tutta la sua lunghezza vi alloggiava, interrata, la cloaca principale del ghetto, a testimonianza delle difficili condizioni igienico-sanitarie in cui vivevano i mantovani del tempo.

Nei diversi sonetti si colgono alcune delle circa 700 espressioni giudaiche che, come in altri casi in Italia, si vanno a sovrapporre alla lingua del posto dimostrando come le mura del ghetto abbiano contribuito allo sviluppo ed alla conservazione di una particolare parlata della comunità ebraica mantovana, che tuttavia oggi non si parla più.

La passeggiata guidata delle Storie vecie passeggiando sotto la luna, si è conclusa nella Libreria di Pellegrini dove è stato possibile assaggiare alcune specialità ebraico-tripoline preparate da Loredana Leghziel ed anche scovare libri rari e interessantissimi sulla storia ebraica mantovana. È lo stesso presidente Colorni ad averne scritti alcuni, tra i quali si segnala  Due passi in Ghetto, un percorso guidato attraverso scene di vita vera del Ghetto nel ‘700, quando gli ebrei a Mantova erano più di 2.000.

Oggi, i circa settanta iscritti alla Comunità sono per lo più anziani, e non tutti effettivamente residenti. «Si tratta -dice il presidente- di un “gregge” che, privo di “pastore” (manca da anni un rabbino), non sente il bisogno d’essere guidato nel solco dell’ebraismo moderno che invece è molto apprezzato tra la gente mantovana. Un altro limite oggettivo è la poca sinergia che si è finora riuscita a creare con le Comunità vicine. Ai buoni propositi non sono seguiti i progetti. Possiamo contare sull’architetto David Palterer di Firenze che tiene un corso d’architettura all’Università di Mantova e che, in quella occasione, ritaglia un poco di tempo per i nostri ragazzi ebrei mantovani. E poi c’è una morà chabad che viene ogni tanto da Milano. Ma avremmo bisogno di una progetto continuativo, mentre finora abbiamo dovuto contare solo sulle nostre forze». Il “volto” che meglio fa pensare al futuro e ad un qualche sviluppo è quello di Lea Calvo Platero, giovane mamma Consigliera della Comunità.

«Provenendo da Milano non è facile adattarsi ad una realtà in cui non vi sono praticamente servizi e vita comunitaria continuativa. Ho tre figli e questo, per certi versi, mi obbliga ancora di più a lavorare per il mantenimento della nostra identità. Ci siamo organizzati con gli altri pochi bambini per avere incontri di ebraismo. I miei figli non si sono abituati all’idea di non vedere altri coetanei della stessa religione. Per loro, quando siamo andati a New York è stato un vero e proprio choc. Tanti ebrei e tutti così naturalmente ebrei!». In compenso, qui sul Mincio, la qualità della vita è davvero molto alta, un ottimo argomento questo a supporto della scelta di vivere a Mantova. Arrivando in città non si può rimanere indifferenti di fronte allo skyline con il Lago Superiore e quello Inferiore. Proprio vicino a quest’ultimo, in una zona demaniale chiusa dove era situato il cimitero ebraico fino alla fine del ‘700, si ipotizza che si trovi la tomba di Menahem Azariah da Fano, una delle figure più importanti della Qabbalah e della cultura ebraica italiana. Questo luogo, anche se di accesso vietato, è una meta frequente di rabbini devoti a rav Azariah da Fano e perciò, considerando anche la vicinanza con Sabbioneta, a Lea Calvo Platero piacerebbe creare una sorta di circuito turistico-religioso ebraico. Perché anche qui, come ovunque, basterebbe una buona idea per far ripartire ciò che già in nuce esiste già e non chiede altro che poter crescere. Come le belle lettere mantovane. A cui la geniale idea di qualcuno ha generato il Festival Letteratura regalando vita, gloria e successi a una città che si stava spegnendo.