Memoriale: l’accoglienza ai migranti, contro l’indifferenza

Italia

di Ester Moscati

All’ingresso del Memoriale della Shoah di Milano campeggia la parola Indifferenza. Liliana Segre, sopravvissuta e testimone della Shoah, l’ha scelta perché è proprio l’indifferenza della maggioranza silenziosa ad aver permesso che accadesse, nel cuore dell’Europa, lo sterminio.

“Tre anni fa, – dice oggi Liliana Segre –  in un momento molto difficile per Milano, è stato chiesto al Memoriale della Shoah di Milano se poteva ospitare alcuni migranti, soprattutto donne e bambini, in condizioni disperate. Come fa un luogo che ha stampata a lettere cubitali all’ingresso la parola ‘Indifferenza’, a dire di no, a dire non ospito nessuno? La leva che ci ha fatto muovere, purtroppo dai più molto poco sentita, è l’obbligo a non rimanere indifferenti”.

Ma perché, a tre anni di distanza, si torna a parlare di questa iniziativa voluta dalla Fondazione Memoriale, Comunità di Sant’Egidio e Comunità ebraica di Milano, che vede uniti nell’assistenza ai migranti volontari ebrei, cristiani e musulmani?

Perché il giornalista de Il Foglio Giulio Meotti, una persona che si è sempre schierata a fianco di Israele e degli ebrei nella lotta all’antisemitismo, che ha scritto, tra l’altro, un libro sull’assassinio di Ilan Halimi in Francia, assassinio dove si condensarono le responsabilità di chi non volle vedere e capire, di chi fu indifferente al grido della comunità ebraica, Giulio Meotti dunque ha scritto un post in cui invitava la Comunità ebraica a dissociarsi dall’accoglienza ai migranti negli spazi del Memoriale, perché questa accoglienza, in quel luogo, produrebbe ipso facto un parallelismo tra migranti stessi e deportati ebrei, “banalizzando” la Shoah. “Pessima la decisione della comunità ebraica di Milano e del Memoriale della Shoah di aderire alla campagna umanitarista sui migranti, – ha scritto Meotti in un post su Facebook il 6 agosto – con impliciti paragoni fra la Shoah e le carrette del mare. La stampa vive di queste storie, con titoli edificanti sui ‘migranti al binario 21’. È due anni, che da Emma Bonino ai ministri svedesi, ci propongono il paragone fra ebrei nella Shoah e migranti nel Mediterraneo, fino a Papa Francesco che paragona i centri per migranti ai campi di concentramento. Si poteva usare il Binario 21 di Milano per manifestazioni a favore dei cristiani perseguitati, delle yazide stuprate, di tante minoranze oppresse dagli stessi nemici del popolo ebraico, le vere vittime della destabilizzazione in corso, non certo i migranti accuditi e protetti. Quello era onorare la memoria della Shoah“.

Sul tema è intervenuto il co-presidente della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani che ha detto: “L’accoglienza al Memoriale è un’operazione ampiamente condivisa in Comunità. C’è una sensibilità molto ebraica rispetto al tema dei migranti e l’aiuto è nel nostro dna. Molti di noi sono scappati da Libia, Egitto, Siria, Libano”.

Il post di Meotti ha suscitato e sta ancora generando polemiche che in alcuni casi hanno travalicato il limite del civile scambio di idee.

Chi in questo limite è restato in pieno è stato, in questi giorni, Andrea Jarach, presidente del Keren Hayesod ma soprattutto una persona che nel Memoriale ha creduto fin dall’inizio e nel quale si è impegnato.

“Devo ringraziare Giulio Meotti – scrive Jarach – perché la polemica nata dopo il post in cui invitava la comunità ebraica a dissociarsi dalla scelta di ospitare alcuni profughi per la notte nel periodo di chiusura del Memoriale ha dato rilievo alla importanza di questo luogo. E aperto un dibattito che aiuterà tanti a meditare sul vero ruolo della Memoria. Un luogo che, a parere di chi ha lavorato al progetto sotto lo stimolo dei testimoni sopravvissuti, deve essere di vivo laboratorio di solidarietà umana (contrapposta all’indifferenza).

Di certo il dibattito è sentito. L’importante è che il ruolo del Memoriale si dimostri così vitale per la formazione delle coscienze. Per tutti parla la lettera di Viola Turone, studentessa della III media (superiore di I grado) della Scuola della Comunità Ebraica scritta dopo avere ascoltato la testimonianza di Liliana Segre.

“La cosa che mi ha colpito di più della sua storia è stato quando ha parlato dell’indifferenza che il mondo aveva mostrato nei confronti di quello che stava accadendo. Di come i suoi compagni non si fossero accorti che lei non veniva più a scuola. Di come l’unico gesto di pietà che le sia stato mostrato in tutto quel periodo fu il saluto dei prigionieri, criminali del carcere di San Vittore, mentre 600 persone innocenti, tra cui lei, camminavano verso i camion che li avrebbero portati ad Auschwitz. Quello che più di tutto mi è rimasto della storia della signora Segre oggi, è che l’indifferenza è la più grande causa di ciò che è accaduto”.

Nessun paragone, dunque, tra deportazione e migrazione, tra la Shoah e le guerre che spingono migliaia di persone a lasciare la propria terra; ma un impegno che travalica i decenni: non restare indifferenti alla sofferenza dell’Umanità.