di Redazione
Era il 16 ottobre del 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma. Alle 5.15 del mattino le SS invasero le strade del Portico d’Ottavia e rastrellarono 1024 persone, tra cui oltre 200 bambini. Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina. Dopo sei giorni arrivarono al campo di concentramento di Auschwitz in territorio polacco. In tutto quel giorno furono deportate 1022 persone (419 maschi, 603 femmine, di cui 274 minori di 15 anni), mentre successivamente altre 730 (583 maschi e 147 femmine, di cui 38 minori di 15 anni). In totale furono deportate da Roma 1752 persone (1002 maschi, 750 femmine, 312 minori di 15 anni). Ritornarono solo in 118.
La commemorazione del 75° anniversario di quel tragico giorno si è svolta questo pomeriggio in piazza San Pietro. Subito dopo, l’evento è proseguito a palazzo Salviati, sede del Casd (Centro Alti Studi per la Difesa) in piazza della Rovere a Roma. Lì nell’ex collegio militare 1.259 ebrei furono tenuti prigionieri nei giorni antecedenti al viaggio di 1.020 di loro verso il campo di stermino di Auschwitz. I bambini erano circa 207. Di tutte queste persone a Roma tornarono vivi in 16.
“Queste mura – ha detto Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane – hanno udito in quei giorni ordini, pianti, preghiere e suppliche, quando dall’esterno trapelava il silenzio dell’indifferenza. Ribadiamo oggi qui l’impegno per la verità e l’impegno per farla conoscere a tutti i giovani, affinché sappiano quel che accadde quel 16 ottobre a Roma”. Per Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, “entrare in questo luogo – ha detto – significa andare indietro nel tempo, in un’epoca che ha segnato noi tutti profondamente, anche la mia famiglia. La razzia di quei giorni non ferì solo gli ebrei ma tutta la città. L’impegno di oggi non deve passare solo per la sofferenza e il dolore, ma per i giovani che hanno bisogno di ascoltare, di comprendere e di domandare. Gli ebrei sono una risorsa di questo Paese, quindi momenti come questi devono essere fonte di speranza e di impegno comune”.
Mattarella: “Una ferita aperta”
«Il 16 ottobre 1943 fu un sabato di orrore, da cui originò una scia ancor più straziante di disperazione e morte: la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma costituisce una ferita insanabile non solo per la comunità tragicamente violata, ma per l’intero popolo italiano», afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«In questo giorno di memoria e raccoglimento – prosegue il Capo dello Stato – la Repubblica si stringe alla Comunità ebraica italiana, ai parenti, ai discendenti dei deportati, poi torturati e uccisi, e rinnova il proprio impegno per rafforzare i valori della Costituzione, che si fonda sull’inviolabilità dei diritti di ogni persona e che mai potrà tollerare discriminazioni, limitazioni della libertà, odi razziali. Fu l’inizio anche in Italia, favorita dalle leggi razziali varate dal regime fascista, di una caccia spietata che non risparmiò donne e bambini, anziani e malati, adulti di ogni età e condizione, messi all’indice solo per infame odio. Oltre duemila italiani di origine ebraica scomparvero da Roma in pochi mesi, costretti nei treni della morte verso i campi nazisti. Davanti all’Olocausto – abisso della storia – torniamo a inchinarci. Il ricordo non può non fermarsi sui duecento ragazzi, strappati quella mattina di ottobre dalle loro case, attorno al Portico d’Ottavia: nessuno di loro riuscì a sopravvivere e a fare ritorno nella terra dei loro padri e dei loro giochi. Le lezioni più tragiche della storia vanno richiamate alla conoscenza e alla riflessione delle giovani generazioni, affinché, nel dialogo, cresca la consapevolezza del bene comune».
Proiettato il film “16 ottobre 1943, La razzia” di Ruggero Gabbai
Alle 17 nella Sala della Regina di Montecitorio (trasmesso in streaming) è stato poi proiettato in anteprima il documentario “La razzia. Roma, 16 ottobre 1943” di Ruggero Gabbai, prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah. Una iniziativa promossa dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, che ha introdotto i lavori insieme a Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, con l’intervento di Emanuele Di Porto che fu testimone del rastrellamento.