di Ilaria Myr
Il conflitto in corso in Medio Oriente e quello in Ucraina; le elezioni americane e lo spettro della fine della Nato… La libertà e la democrazia si difendono ancora sotto le mura di Gerusalemme? La parola a Christian Rocca
“Solo Israele può contrastare la politica aggressiva dell’Iran in Medio oriente” (18.4.2024). “Russia, l’Iran e l’urgenza di salvare l’Ucraina e proteggere Israele” (15.4.2024). “Gli antisemiti dei salotti tv e la violenza vera delle piazze italiane” (25.3.2024).
Sono solo alcuni dei titoli di articoli pubblicati negli ultimi mesi da Linkiesta, sito web di informazione diretto da Christian Rocca, che dal 7 ottobre a oggi dà una copertura attenta e puntuale di quello che succede in Medio Oriente, difendendo le ragioni di Israele e la sua esistenza, troppo spesso messa in dubbio di questi tempi, con un approccio in controtendenza rispetto a quello più diffuso di molte testate, che inseriscono la critica allo Stato ebraico in un odio anti-occidentale più ampio e radicato.
Linkiesta ha fin da subito trattato ciò che sta succedendo in Israele dal 7 ottobre con un approccio critico, per niente incline al mainstream. Quali sono i principi alla base della vostra linea editoriale?
Il nostro è un giornale che sa benissimo cosa vuole dire stare dentro i canoni dell’europeismo, dell’occidentalismo, del mondo libero, di chi difende la democrazia e i diritti individuali. Siamo ovviamente a favore dell’Europa, dell’alleanza atlantica che ha garantito per 80 anni libertà, democrazia pace in Europa e ovviamente consideriamo Israele parte di questo mondo, perché è l’unica democrazia nel Medio Oriente, in cui i cittadini arabi hanno gli stessi diritti, e garantisce le fondamenta di una casa simile alla nostra.
Detto questo, siamo stati molto critici prima del 7 ottobre nei confronti del governo Netanyahu e per mesi abbiamo commentato, analizzato e sostenuto, con il nostro editorialista Carlo Panella, le proteste degli israeliani contro le riforme volute dal governo. Il 7 ottobre è stato uno spartiacque, perché si è tornati a vedere la caccia all’ebreo, un intento genocida contro tutti gli ebrei che avrebbe fatto molte più vittime se solo avessero potuto. Il nostro racconto è quindi cambiato.
Sul sito date molto spazio nei vostri articoli all’antisemitismo riesploso con il 7 ottobre, contrariamente a quanto fanno altri giornali. Perché a suo avviso succede questo? Parlare di antisemitismo in Italia è scomodo?
Quello che personalmente mi ha colpito di più è la diffusione dell’antisemitismo in Occidente, ci siamo molto concentrati sul raccontare l’effetto che ha avuto nell’opinione pubblica e nelle università da noi il 7 ottobre e il dopo, cercando di fare capire che stiamo parlando di una società democratica e di un popolo libero che anche durante la guerra contesta il suo governo. C’è una differenza fra un paese democratico con un governo che fa cose sbagliate e con una popolazione che lo contesta, ma che è nel frattempo unita nel difendere la sua propria esistenza, e un governo gestito da un’organizzazione che ha la volontà genocida di cancellare Israele dalla cartina geografica e di fare piazza pulita degli ebrei “dal fiume al mare”.
Nel passato c’era un dibattito pubblico fra chi difendeva le ragioni di Israele e chi legittimamente sosteneva quelle di un nazionalismo palestinese. Ma la controparte non è mai stata per l’eliminazione di Israele: l’Olp, per quanto ambigua, aveva partecipato agli accordi di Oslo, ed era in una dinamica dentro la quale si poteva provare a fare qualcosa per la pace. Ma quando, come succede ora, una parte ha una posizione identica a quella di Osama Bin Laden e dello stato islamico e l’obiettivo è eliminare Israele dalla carta geografica e tutti gli ebrei, non c’è più la possibilità di discutere.
Non credo sia scomodo parlare di antisemitismo: semplicemente noi siamo liberali. Nella visione di tradizione comunista, seguita da molti giornali italiani, dominano le posizioni antiamericane e Israele è visto come l’esempio più vivido del capitalismo, un’entità da cui tenere le distanze. Quando, come in momenti come questo, si confondono antisionismo e antisemitismo, l’attenzione in Occidente verso quello che succede agli ebrei è molto più bassa, perché si pensa che si voglia difendere lo Stato di Israele, quindi gli atti antisemiti vengono sottovalutati. Lo stesso vale a destra, dove rimangono, in alcuni ambienti, retaggi antisemiti. Se sei liberale, come noi e come Il Foglio, vedi i fatti per quello che sono: che Israele sta dalla parte di chi difende i diritti dei paesi democratici.
Oggi ci sono diversi conflitti – Russia e Ucraina, Iran con i suoi proxy contro l’Occidente, la Cina sempre più antioccidentale, ecc… -. Ma è un’unica guerra? La libertà e la democrazia si difendono ancora sotto le mura di Gerusalemme?
Di fatto sì, però il conflitto israelo-palestinese ha una sua specificità e originalità che sarebbe ingiusto non evidenziare. Non si può dimenticare che va avanti da 80 anni e che la sua vera origine è nella storia della lotta fra l’Islam sciita e sunnita, in cui Israele si trova nel mezzo. I massacri del 7 ottobre sono stati perpetrati da Hamas – organizzazione sunnita ma sostenuta e armata dall’Iran sciita – nel momento in cui altri paesi arabi sunniti stavano facendo la pace con Israele: l’obiettivo vero è la leadership del mondo musulmano, che gli iraniani dal 1979 vogliono portare avanti, mentre il Qatar vuole prendere il posto dell’Arabia Saudita nella leadership del mondo sunnita.
I conflitti in corso
Questo annoso conflitto si è però innestato in una partita unica, dove “gioca” prima di tutto la Russia di Putin, che uccide i civili ucraini con missili di fabbricazione iraniana e dove Hamas, che non è riconosciuta nel mondo come forza legittima, è stata ricevuta almeno 30 volte nell’ultimo anno. L’Iran aiuta la Russia e lo stesso 7 ottobre è stato un aiuto enorme a Putin perché ha distolto l’attenzione dell’America e dell’Occidente dalla guerra contro l’Ucraina che stava preparando la controffensiva. È un’unica battaglia portata avanti da un asse del male, che vuole sovvertire le alleanze storiche che hanno garantito pace e prosperità e che vuole sostituire un modello autoritario a quello liberal-democratico. Dietro ancora c’è la Cina, che ancora non è entrata in nessuno di questi conflitti, ma che sta dietro all’Iran e soprattutto alla Russia.
Qual è il ruolo del Mediteraneo in questo grande gioco? Chi secondo lei può meglio difendere una visione atlantista e contro l’antisemitismo domani al Parlamento europeo?
Il Mediterraneo è centrale sul fronte orientale del conflitto in corso. Pensiamo agli oleodotti e gasdotti che consentono l’approvvigionamento energetico, o ai cavi sui cui si regge la comunicazione digitale globale: passano tutti intorno alla Sicilia, e quindi il controllo del Mediterraneo è decisivo. Del resto, abbiamo visto come gli scambi commerciali si siano bloccati quando gli Houthi hanno cercato di prendere il sopravvento. Chi può difendere la visione atlantista sono le forze europeiste filo-occidentali, nonostante il tentativo delle influenze russe di diffondere un populismo demagogico.
Più determinante, però, sarà il risultato che uscirà dalle elezioni negli Stati Uniti il 5 novembre. Credo che Biden sia riuscito a salvare l’America da un presidente che aveva tentato un colpo di stato il 6 gennaio 2021, con l’assalto a Capitol Hill, in cui sono morte 15 persone, riuscendo a contenere quello che si stava prefigurando. Se ci fosse stato Trump, che non ha mai fatto mistero di volere sciogliere la Nato, Putin avrebbe avuto il via libera in Ucraina, e avrebbe intensificato le pressioni sulla Georgia e i paesi baltici. Saremmo, insomma, a un passo da uno scontro vero con la Nato e con un paese enorme come l’Ucraina occupato dai russi.
Per quanto riguarda il fronte mediorientale, Biden l’8 ottobre ha mandato due porta-aerei americane davanti a Israele, per difenderla dai missili che arrivavano dallo Yemen, Gaza e Libano. Inoltre, proprio perché anziano, e quindi formatosi negli anni della guerra fredda, Biden sa quanto Israele sia fondamentale per la sicurezza degli Usa e dell’Occidente. Trump, invece, non ha dietro un’ideologia: la sua ideologia è il brand Trump, e il suo obiettivo è smantellare la Nato. Biden garantisce continuità e il ruolo dell’America sullo scacchiere internazionale, mentre con Trump il caos si diffonderebbe ovunque.
C’è chi dice che lo scenario attuale non sia molto diverso da quello del 1968, in cui le violente proteste contro la guerra in Vietnam portarono all’elezione di un conservatore come Nixon. Lei cosa ne pensa?
In realtà non penso sia così. In quell’epoca c’erano gruppi politici con visioni contrapposte della società, quella liberal e quella conservatrice, ma che condividevano i pilastri della convivenza civile, tanto che Nixon si dimise per la procedura di impeachment alla Camera.
Trump, invece, è concentrato solo su se stesso: è un narcisista autoritario, un truffatore che è stato condannato e che si è salvato solo perché aveva la maggioranza al Senato. È uno che ha tentato un colpo di stato, e oggi si ricandida promettendo di mettere in carcere tutti i suoi oppositori.
Quindi il contesto attuale è molto più grave rispetto a quello del 1968. È quindi fondamentale per le sorti del mondo che vinca Biden, che si fermi una volta per tutte Trump e che si ricostituisca una normale dialettica tra visioni contrapposte.
Qui non c’è neanche condivisione sulla casa nella quale si vive. E personalmente non ho mai visto un pericolo esistenziale per l’occidente maggiore di questo.