«La scelta del tema di questo convegno è, diversamente da quanto avviene in genere, ispirata dal panorama odierno di un ritorno del religioso con accenti assiomatici
e intolleranti. (…) Si è scelto di partire da un’ipotesi iniziale: all’origine starebbe il processo attraverso il quale, da divinità subordinata all’interno di un panteon, Yhwh è divenuto gradualmente la divinità esclusiva di un popolo che, elitariamente, si pensa suo unico possesso».
Sono solo alcune delle frasi inquietanti che presentano un convegno dal titolo ancora più incomprensibile organizzato dall’Associazione Biblica Italiana e intitolato “Israele popolo di un Dio geloso: coerenze e ambiguità di una religione elitaria”, che si terrà a Venezia dall’11 al 16 settembre 2017. L’Associazione, riconosciuta dalla Cei, di cui fanno parte esponenti del clero cattolico e protestante, 800 studiosi e professori di cultura laica e che il Papa ha salutato a Roma lo scorso settembre, discuterà delle “radici di una religione che nella sua strutturazione può dare adito a manifestazioni ritenute degeneranti”. (Per il testo integrale leggi la notizia).
Un’iniziativa, questa, a dir poco discutibile (ne parla anche Il Foglio di venerdì 10 marzo e L’Espresso, nel blog di Paolo Magister, tradotto anche in inglese, spagnolo) che ha suscitato l’indignazione di tutti i rabbini in Italia, primo fra tutti di Rav Giuseppe Laras, rabbino capo emerito di Milano e presidente del tribunale rabbinico del Nord Italia. In una lettera – condivisa con David Meghnagi, assessore alla cultura dell’Ucei e sottoscritta, tra gli altri, da Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma – e inviata ai vertici dell’Associazione (senza ricevere risposta) Laras riflette su alcuni punti del documento particolramente preoccupanti.
«Osservo con dispiacere e preoccupazione sommi che questo programma ABI è in sostanza la sconfitta dei presupposti e dei contenuti del dialogo ebraico-cristiano, ridotto ahimé da tempo a fuffa e aria fritta – scrive Laras -. Personalmente registro con dolore che uomini come Martini e il loro Magistero in relazione a Israele in seno alla Chiesa Cattolica siano stati evidentemente una meteora non recepita, checché tanto se ne dica. Infine addolora (e molto!) che chi solleva obiezioni, perplessità, preoccupazioni e indignazione circa programmi e titoli siffatti (o solo anche proposti) debbano essere sempre degli ebrei, ridotti all’ingrato e sgradevolissimo compito di dover fare da “poliziotti del dialogo”, e non invece in primo luogo da voci cristiane autorevoli che da subito e ben prima si siano imposte con un fiero e franco “no”».
La lettera di Rav Laras
Qui di seguito i punti salienti della lettera inviata all’Associazione Biblica.
«1. Partiamo dalla frase finale(“La trattazione del tema generale del convegno, così delineata, intende evitare l’impressione che si voglia parlare della religione dell’Antico Testamento in luce negativa”): i latini solevano dire “excusatio non petita, accusatio manifesta”! E, per inciso, fa specie che, proprio dei biblisti, ad esempio, usino l’espressione A.T. e non Bibbia Ebraica, Primo Testamento o Scritture di Israele, indipendentemente dai Documenti Ufficiali redatti negli scorsi decenni dalla Chiesa Cattolica, da altre Chiese e dal dialogo ebraico/cristiano. (qui sono “conservatori” È certamente significativo, circa il punto 1, che non figuri (nemmeno pro forma o per portare acqua al loro mulino) neanche un ebreo biblista o rabbino in siffatte giornate di studio
2. Si parla di “religione dell’AT”, introitando l’idea che l’ebraismo postbiblico rabbinico e il cristianesimo siano fratelli diversi e gemelli di una supposta religione biblica precedente (qui fanno i “progressisti”, recependo l’ultimo ambiguo documento vaticano sul dialogo ebraico-cristiano) di cui sarebbero egualmente eredi ebrei e cristiani
3. Circa codesta “religione dell’AT”, coincidente con ogni evidenza con la Torah (e difatti vi mettono in polemica Giobbe, che non ha connotazioni ebraiche così evidenti), costoro affermano a più riprese che essa è “ambivalente”, con “ambiguità” e una “rivelazione double-face”. È chiaro dai toni che, per questi lettori cristiani, vi è uno scarto e un’opposizione con la fede e gli scritti cristiani successivi (il che è contraddittorio però con il punto 3), di cui è detto infatti che ha avuto un rapporto “dialettico”, cioè come a dire che se ne sono “smarcati”. È evidente il marcionismo, con buona pace di Agostino di Ippona, che, nonostante il disastroso sostituzionismo, riuscì comunque a scrivere circa le Scritture ebraiche: «In vetere Testamento novum latet, in novo vetus patet» (Hept. 2, 73: PL 34, 623). Inoltre, cosa ancor più significativa, i termini “ambivalente” e “double-face” esprimono un chiaro giudizio assiologico negativo. Il marcionismo non è quindi più teologico, ma etico (cosa ancor più preoccupante). Probabilmente le persone che hanno organizzato il convegno (senza nemmeno l’ipocrisia di invitare un ebreo biblista) si sono sentite incoraggiate dai contenuti di vari Angelus e omelie dell’attuale Pontefice.
4. L’opposizione Profeti e Agiografi versus Torah, intesa come universalismo e profetismo contro moralismo e legalismo, ricalca il marcionismo tradizionale(e qui sono ancora “conservatori”)… e si tratterebbe di “biblisti”!
5. L’opposizione succitata rientra coerentemente con l’orrenda bozza di titolo: “Israele popolo di un Dio geloso: coerenze e ambiguità di una religione elitaria”. Risuona nell’orecchio, per contrario, il titolo dello sciagurato scritto di A. V. Arnack “Marcione, il Vangelo del Dio Straniero”… È chiaro che “geloso” e “elitaria” sono caratteri etici, simbolici e politici negativi. E hanno una storia -che costoro sin nella bozza di titolo hanno fatto finta di ignorare- antisemita! E restano tra gli argomenti preferiti degli antisemiti odierni!
6. Il carattere binario della Torah (universalimo/particolarismo; Israele/ Popoli; ideale/concreto; estasi/normativa; misericordia/giustizia), degradato a “ambiguità double-fax”, sarebbe la base secondo costoro per la nascita del fondamentalismo e dell’assolutismo, qualora salti uno dei due termini delle polarità. Questo ammesso e non concesso, tuttavia ovviamente non viene analizzato l’altro caso in cui può manifestarsi la sconnessione dei termini delle polarità: cioè quello dell’utopia…come se nella storia dei singoli e delle collettività non sia stato un veleno altrettanto pericoloso,dilagato e dilagante abbondantemente nei vari universi cristiani per secoli (vd. sessualità, vita politica, riflessioni su guerra e pace)!
7. Pare evidente dai toni e dai contenuti dello scritto introduttivo che chi scrive (oltre a essere antisemita e marcionita) sia ateo, nel senso deteriore del termine (ci sono infatti atei che sono persone degnissime e rispettabilissime): la Scrittura cioè è intesa unicamente e solo come elaborazione di temi e idee, tra cui si può selezionare un’antologia ragionata di ciò che è oggi accettabile o meno, in base allo spirito del tempo. Questo non sarebbe accettabile se applicato a un’opera letteraria fondativa, smembrata e compresa con altri criteri esterni, come la Divina Commedia o l’Eneide, ma con la Bibbia sì. La domanda che si impone, oltre alla constatazione della loro non-credenza, è: perché? a cosa risponde questa loro esigenza?
8. È strano che questo “ateismo teologico”, peraltro poco rigoroso, non risponda, se assunto effettivamente, con la più semplice delle spiegazioni, ossia quella sociologica: la Bibbia sarebbe fatta così come loro la descrivono -sempre che ci si voglia muovere in questa prospettiva falsante- perché espressione di una minoranza assoluta determinata a resistere, che si vuole preservare e che vuole darsi un senso “per differenza” rispetto alle maggioranze in cui è nata e da cui era schiacciata.
9. La cosa drammaticamente significativa è che questa operazione sia portata avanti non da filosofi o teologi (e sarebbe grave ugualmente), che farebbero cioè un “meta-lavoro” su questi dati, ma da biblisti, ossia coloro che dovrebbero essere innamorati per professione del testo biblico e lontani per formazione dal marcionismo, il che è ancor più preoccupante. Come è molto preoccupante che questi signori, nel parlare dei rapporti e degli eventuali prestiti tra la “religione dell’Antico Testamento” (che espressione odiosa e assurda!) e le altre “religioni coeve”, non colgano -o non vogliano ammettere- quantomeno una folgorante differenza qualitativa tra queste ultime e il monoteismo abramitico e mosaico… e sarebbero biblisti!
10. Cosa ancor più preoccupante, ancora così scrivono: “Questo aspetto andrà approfondito con attenzione, perché inciderà sulle religioni post-bibliche (sarà accentuato nel rabbinismo post-biblico, dialetticamente affrontato nel cristianesimo, globalmente assimilato nell’Islam). L’ambivalenza della Tôrāh si riscontra su due versanti.” Purtroppo non si tratta di una novità e sembrerebbero saldarsi pericolosamente qui “cattolicesimo filo-islamico”, “vecchio marcionismo” (specie ora in una prospettiva etico-intersoggettiva e non più teologica) e alcune tesi sostenute da non pochi islamologi occidentali: ossia che la parte fondamentalista del Corano sia in primo luogo e soprettutto un’eredità ebraica (la Bibbia Ebraica) e che gli eccessi della Sharia siano dovuti eminentemente ad opera di ebrei convertiti all’Islam nei secoli o di loro discendenti (come se le norme sofisticate e oppressive dell’impero cristiano bizantino non siano state recepite dalla normativa aggressiva teologico-politica islamica!). A titolo informativo ed esemplificativo ecco quello che scrive il docente C. Lo Jacono (Einaudi) nel suo “Storia del Mondo Islamico VII-XVI secolo”, un occidentale dunque e non un musulmano arabo (pg 8): “Un Dio clemente dunque, che ama le Sue creature e che indica loro, per Sua grazia, il Suo volere (e dunque il bene) e quanto gli dispiace (e dunque il male), compiendo ed evitando i quali l’uomo potrà francescanamente sperare “ka la morte secunda no ‘l farrà male”. Un Dio tremendo, però, Onnipotente e giusto, come il Dio degli Ebrei, che non tollera compagni da associarGli nella venerazione dovutaGli, con cui non è possibile alcun patteggiamento e che esige la totale sottomissione….” Ora, chiaramente nella bozza dell’ABI questo non è scritto, tuttavia non pare remoto il fatto che si voglia andare a parare esattamente lì. Il che culturalmente, religiosamente e politicamente significa andare a sollevare l’Islam e la sua tradizione da responsabilità primarie di sorta, in quanto erede passivo di tradizioni arcaiche negative (le nostre), ossia la Torah (peccato che questi biblisti si dimentichino che per i musulmani la Torah è erronea e alterata, e non da un punto di vista filologico bensì teologico-fondativo). Vi sarebbe infine da ricordare a costoro che non poche delle argomentazioni antigiudaiche presenti nel Corano e nella Sunna sono state da più studiosi ricollegate con estrema facilità all’antigiudaismo militante dei gruppi cristiani arabi locali ai tempi di Muhammad, molti dei quali convertitisi all’Islam nascente e imperante. Questo se proprio si vuol parlare di responsabilità remote….!
11. È interessante che, in tale senso, si voglia ledere proprio la base e il senso del Tanakh, spuntando o mettendo forti ipoteche sul suo concetto cardine, ossia quello teologico e pratico di libertà, ancora una volta addomesticando l’Islam svilendo la Bibbia.
12. Molti di noi hanno “toccato per mano” la scelta di certi ambienti cattolici di preferire l’abbraccio con l’islam al “trialogo” includente l’ebraismo e allo specifico dialogo ebraico-cristiano. Ma sappiamo anche che non tutti i cattolici vogliono quell’abbraccio. Non tutti i cattolici che vogliono ricondurre qualsiasi negatività all’ebraismo sanno però che sono stati proprio dei cristiani convertiti all’islam come Titus Burckhardt, René Guénon e altri che con i loro scritti hanno diffuso il concetto che, essendo l’ebraismo la religione della giustizia, e il cristianesimo quella dell’amore, l’islam è la religione della sintesi, la religione completa e perfetta (Era uno dei ritornelli contro i quali è stato necessario lottare negli anni Settanta e Ottanta). Forse tra i cattolici con cariche importanti alcuni hanno la consapevolezza che l’abbraccio con l’islam può condurre anche alle conversioni all’islam (per non parlare di tutti gli altri pericoli)”.
CONCLUSIONI
Sia che la cosa dovesse rispondere a una strategia ben delineata sia che si tratti dell’attuazione di pensieri volatili che si moltiplicano nell’aere, ci troviamo di fronte a una potenziale venefica saldatura tra due antisemitismi rinnovantisi promossa dalla Chiesa Cattolica o da sue parti rilevanti:
1) La causa dell’instabilità del Medio Oriente e dunque del mondo sarebbe Israele (colpa politica);
2) La causa remota del fondamentalismo e dell’assolutismo dei monoteismi sarebbe la Torah, con ricadute persino sul povero Islam (colpa archetipica, simbolica, etica e religiosa).
Ergo siamo esecrabili, abbandonabili e sacrificabili. Questo permetterebbe un’ipotesi di pacificazione tra cristianesimo e Islam e l’individuazione del comune problema, ossia noi. E stavolta si trova un patrigno nobile nella Bibbia e un araldo proprio nei biblisti.
Questa strategia (peraltro a lungo termine cieca e suicida anche per il cristianesimo stesso, ammesso che costoro vogliano sopravvivere e il loro odio verso i loro padri, noi e loro stessi non travalichi troppo), mescolata a vellutato ateismo, sembrerebbe essere coerente con la diffusa comprensione attuale di Gesù di Nazareth:
-non parlano più da tempo del “Gesù della fede cristiana” (ossia Trinità, doppia Natura etc etc), perché lontanissimo dalla sensibilità odierna;
-evitano di parlare del Gesù storico (Martini e Ratzinger per vie diverse, non recepiti entrambi), perché dovrebbero parlare inevitabilmente del Gesù Ebreo e questo oggi in termini politici è per loro problematico;
-parlano di Gesù come di un “maestro di morale”, ovviamente in polemica con gli ebrei del tempo e la loro morale: marcionismo etico (e la riduzione della fede a etica è appunto una forma di ateismo)».
Le reazioni
D’accordo con Laras i principali rabbini italiani, a cominciare da Roberto Della Rocca, responsabile dell’educazione nelle comunità ebraiche italiane, che dichiara a Mosaico: “è quanto mai urgente far riflettere questi sedicenti “biblisti” a studiare le fonti con maggiore serietà e senso di responsabilità per sollecitare i nostri ascoltatori a sapere di più, a cercare testi, a studiare la storia ebraica, a cercarsi Maestri, e in ultima analisi a “scoprire” gli ebrei con spirito obiettivo e alieno da antichi pregiudizi e da tesi antigiudaiche. Tutte le storie della Bibbia ebraica esaltano quell’amore misericordioso che caratterizza la Tradizione di Israele e di cui, ancora oggi, si ritrova traccia nell’odierno Stato ebraico, i cui ospedali si prendono cura di tante vittime del fronte opposto, e di tanti altri esempi di grande umanità che tante “anime belle e caritatevoli “continuano a ignorare. L’ebraismo ha la Torà con la sua esegesi rabbinica a fondamento della definizione di se stesso, e la nostra storia di ebrei di oggi è la continuazione ininterrotta di quella storia. La Torà è una costante autodefinizione del popolo di Israele. E per l’ebreo è impossibile accettare che quelle stesse parole su cui la sua identità si basa, significhino qualcosa che non lo riguarda più”.
“Non voglio fare il processo alle intenzioni”, dice al Foglio il rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib. “Ma o è uno scivolone o è qualcosa di preoccupante. Sono argomentazioni teologiche usate nel passato come arma antiebraica: il Dio vendicativo degli ebrei, il Dio della giustizia contrapposto al Dio dell’amore, usate come propaganda antiebraica. Quando si usano argomentazioni del genere a noi si alzano le antenne. La chiesa cattolica nel dialogo ebraico-cristiano ha superato queste argomentazioni. Sembra che ora vengano riprese. L’idea dell’ebraismo elitario che si sente superiore è stata usata nel passato in maniera preoccupante. E’ chiaramente il sospetto che si voglia avere una ricaduta sull’attualità, su Israele”.
D’accordo con Arbib il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che al Foglio dice: “O è una cosa fatta con piena coscienza e quindi gravissima, oppure non si rendono conto. Non è solo una analisi teologica, biblica, ma un discorso che si presta a essere contestualizzato al medo oriente, con implicazioni micidiali in politica”.
Alla stesura della lettera di protesta dei rabbini ha partecipato anche un laico, David Meghnagi, docente a Roma Tre, esperto di didattica della Shoah e membro dell’Unione comunità ebraiche italiane. “Sono convinto che il convegno sia l’indice che dentro la chiesa, fra gli intellettuali e gli studiosi, gli elementi di marcionismo che l’hanno corrotta non sono stati superati”, dice Meghnagi al Foglio. “E sono presenti anche nella cultura laica che legge la Bibbia. Lo si vede negli interventi di Eugenio Scalfari su Repubblica, la contrapposizione fra il Dio veterotestamentario e quello del Nuovo Testamento. Nel 1990, alla prima giornata dell’amicizia fra ebrei e cristiani della Cei, mentre piovevano i missili su Tel Aviv da parte dell’Iraq, mi si avvicina un vescovo e mi dice: ‘Lo sa quanta fatica noi cristiani facciamo per nobilitare il Vecchio Testamento?’. Il linguaggio cristiano rispetto agli ebrei presenta diverse patologie, compresa la valutazione degli ebrei come popolo decaduto, di cui si eredita la primogenitura. Solo dopo la Shoah c’è stata una rivalutazione. Nella cultura più ampia di molti laici e democratici ci sono pregiudizi che arrivano da questa visione”. Ecco allora che in tante, troppe guerre, Israele finisce per diventare “il nuovo Erode” e i palestinesi “il nuovo Gesù”. “Siccome non viviamo nel vuoto, la scelta di privilegiare questa riflessione si incontra con una teologia palestinese e di matrice cristiano-orientale, che trova ascolto nei movimenti pacifisti e terzomondisti, che tende a vedere l’attuale contrapposizione in medio oriente come la riedizione su più vasta scala della violenza del Dio biblico, l’ebraismo della carne contrapposto allo spirito, i valori della terra contro quelli dello spirito”, conclude Meghnagi. “Vorrei citare un articolo di Gianni Baget Bozzo uscito sul Manifesto sulla guerra di Israele come violenza biblica, o quello di Scalfari su Repubblica che parlò del Dio della vendetta. Lo si vede anche nelle vignette di Forattini. E’ un elemento che è passato nella cultura attraverso la demonizzazione del sionismo, la falsa innocenza della diaspora rispetto allo stato-nazione ebraico da esecrare”.