di Ester Moscati
«Mi chiamavo Mottele, nel ghetto di Lodz, in Polonia dove sono nato. Ho perso nella Shoah entrambi i miei genitori e gran parte della mia famiglia, 37 persone. Ho il cuore pieno di ricordi della gente meravigliosa che ho conosciuto a Selvino. Qui ho trovato sicurezza e pace.
Moshe Ze’iri, il madrich, ha dato insegnamenti, educazione, a ogni bambino. Sotto la sua guida ci sentivamo circondati da amore e affetto. In noi che non eravamo più nulla, che non avevamo più nulla, ha soffiato di nuovo l’anima vitale nel corpo. Ricorderò Sciesopoli per tutta la vita». Così racconta Milton Ostik, uno dei Bambini di Sciesopoli tornato a Selvino 70 anni dopo, per l’incontro organizzato da Marco Cavallarin dopo oltre due anni di impegno appassionato, sulle tracce di una storia e di quei “bambini” oggi sparsi per il mondo. «È un gran balagan, una cosa meravigliosa»; gli si illuminano gli occhi quando racconta il successo di queste giornate di incontro in Val Seriana, dove è riuscito a portare i protagonisti, i loro figli e nipoti, le loro voci. «Tutto è nato dalla ricerca di Miriam Bisk, concepita a Selvino. I suoi genitori erano i giovani madrichim della colonia, lei e nata a Cipro e poi emigrata in Israele. Tre anni fa ha voluto ripercorrere la vicenda dei suoi genitori, tornando in Europa. Così abbiamo riscoperto la memoria di Sciesopoli e ideato questo incontro». Nel corso dell’evento è stato proiettato il documentario Lola’s Diary, di Miriam Bisk e Sciesopoli, un luogo della Memoria, di Enrico Grisanti.
Moshe Ze’iri era un ufficiale della Brigata ebraica che a Selvino diede vita ad un progetto unico in Europa: raccogliere i giovanissimi, i bambini scampati e istruirli a diventare pionieri di Israele, parlando ebraico, imparando tutto quello che poteva renderli validi cittadini del nuovo Stato ebraico. «Abbiamo dimenticato le lingue delle fughe, della diaspora: polacco, russo, ungherese. Qui dovevamo parlare solo ebraico». “Qui” è Sciesopoli, l’ex colonia estiva fascista dove i “piccoli italiani” marciavano inneggiando al Duce, che dal 1945 al 1948 fu affidata al Joint e alla Comunità ebraica di Milano, che dalla sede di via Unione coordinava l’assistenza ai profughi e ai reduci dal lager nazisti. I bambini venivano dirottati a Sciesopoli, anche da DP Camp del Nord Italia. Così Selvino ha ospitato circa 800 bambini ebrei profughi della Shoah e dei campi di concentramento, riportandoli alla vita.
Dopo 70 anni, Marco Cavallarin, storico, ha organizzato questa “rimpatriata” che è molto di più: incontro tra i “bambini di Selvino” (oggi sono rimasti in 15) e la città che li accolse. Incontro con i nipoti dei protagonisti di allora per fare memoria insieme di quella storia e dell’oggi: non sono mancati, nei discorsi delle autorità presenti e degli stessi protagonisti, riferimenti ai profughi di oggi, che attraversano, con la stessa speranza di salvezza, l’Europa.
Le nipoti. Miriam Camerini, protagonista con i colleghi di Odessa Caffè dei momenti musicali dell’evento, insieme ai Iorè Trio, si presta anche ad affiancare Cavallarin nella presentazione degli ospiti e per tradurre i discorsi: ebraico, italiano, inglese si alternano. E così Miriam, che è nipote di Marcello Cantoni, medico pediatra che tanta parte ebbe nella ricostruzione della Milano ebraica e che era quindi anche responsabile sanitario dei bambini ebrei ospitati a Selvino, si trova a tradurre le parole della nipote israeliana della dottoressa Pesach, pediatra di Sciesopoli che quindi collaborò con Marcello Cantoni. Affiancate sul palco, le due giovani riprendono un “discorso familiare” interrotto da settant’anni.
Un’altra giovane sul palco è Micaela Carrara, bis-nipote di Lydia Gelmi Cattaneo, Giusta delle Nazioni. A Ponte San Pietro salvò oltre 50 ebrei, nascondendoli in casa, procurando loro documenti e passaggi in Svizzera. Queste valli sono piene di testimonianze simili; un paese intero, Gandino, ha la più altra concentrazione al mondo di “Giusti delle Nazioni”, per la generale mobilitazione a favore degli ebrei che vi trovarono rifugio.
Un evento “ad alto tasso di emozione”, dunque, che ha visto la partecipazione di tanti milanesi, da Roberto Jarach, vicepresidente UCEI e della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, a Gadi Schonheit, consigliere della Comunità con delega al Festival Jewish and the city, a diversi rappresentanti dell’AME, Associazione Medica Ebraica, con Giorgio Mortara, Rosanna Supino e Andrea Finzi – che ha ricordato l’opera di Marcello Cantoni. E ancora, naturalmente, è presente il CDEC, con Giorgio Sacerdoti e Liliana Picciotto, che ha parlato dell’opera in preparazione dedicata proprio alla “Memoria della Salvezza”.
Tra le autorità presenti, il Sindaco di Selvino Diego Bertocchi, che ha salutato con molto calore e affettuose parole gli intervenuti; Marzia Marchesi, presidente del Consiglio Comunale di Bergamo che ospita la mostra su Sciesopoli; Jacopo Scandella della Regione Lombardia; Claudia Piccinelli dell’Opera Nomadi. A parlare di Giusti, anche Franco Perlasca, il figlio di Giorgio che, con “sfrontatezza mediterranea” si inventò la carica di Console Spagnolo e salvò così 5.000 ebrei di Budapest: «Mio padre è la prova che scegliendo il bene, ciascuno può fare qualcosa». Concetto ribadito da Angela Ulianova Radice, direttrice di Gariwo, che ha portato il saluto di Gabriele Nissim, presidente, e il messaggio “Diffondere nel mondo i Giardini dei Giusti”, ricordando come la Giornata europea dei Giusti, stabilita per il 6 marzo (data di morte di Moshe Beisky fondatore del Giardino dei Giusti di Yad Vashem), sia finalizzata all’educazione dei giovani al “Bene”. Presenti anche Ornella Ravaglia dell’ANPI nazionale e il saluto di Carlo Smuraglia, presidente; la rappresentante del Joint che ha ribadito il Dovere della memoria; Daniela Tedeschi dei Figli della Shoah che ha letto un profondo messaggio di Liliana Segre, il cui figlio, Luciano Belli Paci, è intervenuto a Selvino. E ancora Dario Venegoni, dell’Associazione Nazionale Ex Deportati – Aned, che ha detto: «Oggi che si assottiglia il numero dei superstiti, sono i figli e i nipoti a passare il testimone, nell’esempio di oggi a Selvino. L’idea dell’Europa è oggi messa di discussione da nuovi muri. Combatteremo contro le nuove violenze e le discriminazioni di oggi».
Ma i protagonisti sono loro, i “bambini di Selvino” che ricordano, spesso con la voce rotta dall’emozione «la bella Italia, Selvino, la grande casa che ci ha accolti e che sembrava un castello incantato tra i boschi di questa meravigliosa vallata, dopo le persecuzioni e le fughe. Sentire oggi l’ebraico risuonare nella valle è toccante». Sono le parole di commossa riconoscenza e il ricordo vivido di Hanna Meridor. Nata a Varsavia, aveva 7 anni quando è iniziata la guerra. «Mio padre conosceva un cristiano che ci ha protetto e aiutato a lasciare Varsavia per Bialistok. Sono stati mesi di fughe per paesi e kolkoz, noi soli quattro bambini. Una vita molto triste. Poi la mamma è tornata dall’ospedale e abbiamo attraversato tutta l’Europa per emigrare in Israele. Con mio fratello ci siamo uniti al gruppo Gordonia e abbiamo raggiunto la Sciesopoli di Sevino. Sembrava un palazzo incantato. Moshe, il direttore della casa, era un padre, tutto per noi, ci dava sicurezza, indipendenza e la volontà di tornare a vivere, imparammo l’ebraico e ci sbarazzammo di tutte le lingue della diaspora. Sembrava già di vivere in Israele. I valori dell’onore, dell’amicizia, li abbiamo imparati qui».
E David Zugmann: «Ero un bambino spaventato per tutti gli orrori che avevo vissuto e per la perdita dei genitori. Qui iniziai a vivere una vita normale. Ci siamo dispersi in tutto il mondo ma siamo rimasti amici. Abbiamo un legame. Grazie a Selvino».
Marco Cavallarin ha ricordato infine che «Tutti questi bambini sono partiti verso Erez Israel con le navi allestite da Gualtiero Morpurgo e Mario Pavia; qui c’è la moglie Gianna Pavia alla quale va il nostro applauso».