Scuola, Israele e conflitto con Hamas: tra cattivi maestri e coraggio, come guidare i giovani a conoscere

Italia

di Redazione

Non si fermano, nelle città italiane ed europee, le manifestazioni e le proteste pro Palestina animate anche da studenti liceali e universitari, scoppiate a partire dallo scorso ottobre nelle piazze o negli istituti scolastici e nelle accademie. Cori e bandiere palestinesi hanno colorato cortei e facciate di edifici istituzionali come il liceo Einstein di Torino o il campus universitario Einaudi sempre nel capoluogo piemontese, l’università L’Orientale e il liceo Vico di Napoli, le università di Salerno e Padova, la Sapienza di Roma e il liceo Pilo Albertelli sempre nella capitale. Il 9 novembre, a Milano, un blitz di alcuni studenti ha interrotto un convegno in corso alla Statale per protesta contro il “genocidio del popolo palestinese”. Episodi simili si sono verificati in altri atenei. Lo scorso 17 novembre un gruppo di manifestanti e studenti ha calato lungo la Torre di Pisa una lunga bandiera palestinese, dopo essere entrato con forza nel noto monumento toscano, mentre nel corso della stessa giornata a Firenze un altro gruppo di manifestanti con bandiere palestinesi alla mano ha bloccato le porte per accedere Cupola del Brunelleschi, al punto che il personale dell’Opera del Duomo di Firenze ha dovuto per precauzione chiudere gli accessi alla cattedrale. Tutti episodi che lasciano trasparire una linea di pensiero e di azione che si diffonde fra non pochi giovani e studenti, a volte minando il normale e libero scambio di idee nelle scuole e negli istituti, a discapito di chi difende posizioni o la stessa esistenza di Israele o semplicemente a discapito dell’essere ebrei.

 

 

Episodi e situazioni nelle scuole in Francia

La memoria corre veloce a casi passati e recenti avvenuti in istituti scolastici in Francia, dove quasi la metà dei musulmani considera i fatti del 7 ottobre 2023 come un atto “di resistenza”. Lo svela un’inchiesta dell’Ifop, il più autorevole istituto sondaggistico francese, che in merito al conflitto fra Israele e Hamas mostra una grande separazione tra i francesi di religione islamica e il resto della popolazione. Dati preoccupanti a cui non sono seguiti precisazioni o reazioni da parte dei responsabili della comunità islamica francese, nemmeno di fronte a recenti casi di minacce ai professori avvenuti nei licei.

Lo scorso marzo, proprio l’Ifop aveva realizzato un’inchiesta secondo cui un professore su tre è minacciato nelle scuole francesi e la maggior parte delle minacce viene da studenti di confessione musulmana. A Parigi, lo scorso dicembre, in un istituto superiore della banlieue, un docente di matematica è stato minacciato di morte su Instagram da un suo allievo, mentre in un liceo un’insegnante è stata accusata di islamofobia per aver mostrato in classe l’immagine del quadro ‘Diana e Atteone’ di Giuseppe Cesari che raffigura delle ninfe senza vestiti. La professoressa è stata accusata di razzismo secondo dichiarazioni poi ritrattate da alcuni studenti di religione islamica, che nel frattempo erano tuttavia stati difesi dai genitori che avevano protestato contro la scuola. Una dinamica e una concatenazione di fatti e di false accuse che ricordano il tragico caso dell’assassinio del professore di storia e geografia Samuel Paty, accoltellato e poi decapitato da un giovane jihadista il 16 ottobre 2020 a Éragny, una cittadina della Val-d’Oise (Île-de-France), al culmine di una campagna d’odio scaturita da calunnie e poi diffusa sulle reti social.

 

Il caso dello striscione pro Palestina e del professore accusato al liceo di Cuneo

Avvenimenti accaduti al liceo classico Peano Pellico di Cuneo sono saliti alle cronache dopo che un professore si è opposto a uno striscione con la scritta “stop al genocidio” appeso da uno studente lo scorso 21 febbraio. L’Unione Studenti ha pubblicato una nota contro il gesto del professore di storia e filosofia Paolo Bogo, che ha fatto rimuovere lo striscione a dire del sindacato studentesco anche minacciando gli alunni e tacciandoli di antisemitismo. Un presidio di solidarietà agli studenti coinvolti, con le bandiere della Palestina, è stato promosso due giorni dopo in piazza Galimberti nella città piemontese, mentre lo striscione in questione è stato riappeso.

Nel frattempo, è stato lo stesso professore Bogo a rispondere alla protesta e dare la sua versione, in una lunga lettera aperta (in fondo a questo articolo il testo integrale) in cui dichiara: “Probabilmente la mia passionalità sulla questione mediorientale è stata travisata”, chiarendo che lo striscione era stato rimosso “con il consenso della presidenza perché una scuola o meglio i muri esterni di una scuola non sono i luoghi per prese di posizione sulla politica estera”.

“È una situazione orribile, come lo sono tutte le guerre, ma non è un genocidio – sottolinea l’insegnante nel suo scritto in merito alla situazione a Gaza -. Affermare che invece è in corso un genocidio, ovvero la sistematica decisione di eliminare un popolo perché è quel popolo lì, è un modo subdolo di far passare l’idea che gli ebrei siano i nuovi nazisti. Se in questa scuola ci sono degli ebrei penso che vedere uno striscione del genere li faccia sentire oggetto di odio. Io sogno un mondo dove la complessità è riconosciuta perché solo in questo modo i problemi possano essere risolti. Non con slogan semplificatori e irrispettosi nel dramma in atto, anche se pronunciati o scritti in buona fede”.

“In questo caso specifico, come abbiamo detto nelle numerose lezioni dedicate a questo argomento e anche nei giorni scorsi, la situazione è troppo complessa per essere semplificata – ha altresì precisato il professore -. Esiste un gruppo terroristico che, dopo aver lanciato e di fatto inventato l’uso sistematico del terrorismo suicida, dal 1994 boicotta gli accordi di pace e da 16 anni controlla Gaza creando un clima di terrore e lanciando missili e attacchi su Israele. Ultimo ovviamente il pogrom del 7 ottobre, la peggiore caccia all’ebreo dai tempi del nazismo”.

 

 

La testimonianza di una professoressa di un liceo di Milano, ex insegnante della scuola ebraica

Per lanciare uno sguardo alla situazione e al clima nelle scuole milanesi a partire dal conflitto fra Israele e Hamas abbiamo raccolto la testimonianza di L. V., insegnante di letteratura inglese in un liceo della città, membro della nostra comunità e già docente della scuola ebraica negli anni scorsi. “La mattina di lunedì 9 ottobre sono entrata a scuola frastornata come tutti noi dai fatti del 7 ottobre – esordisce la professoressa -. Davanti a me c’era uno studente che interloquiva con il docente di storia chiedendogli: ‘Prof, ha sentito che cosa è successo in Israele’? Una situazione che di per sé appariva lineare: uno studente che ha sentito una notizia di attualità che magari non capisce fino in fondo e che con dei buoni modi chiede spiegazioni all’insegnate di storia. Ma il collega, con me che passavo di fianco, gli ha risposto: ‘È successo che finalmente i palestinesi hanno alzato la testa’! E la conversazione è continuata su questo tono. In quel momento ho davvero compreso che il mondo della scuola, data anche l’età media dei docenti, alcuni dei quali figli del ’68, è ancora in mano a un’ideologia da guerra fredda. Molti insegnanti non sono ancora usciti dalla logica per cui Israele rappresenta l’America e quindi il nemico da condannare sempre e comunque. Purtroppo, questo è anche ciò che insegnano in classe. Come si può rispondere a uno studente che ‘hanno finalmente alzato la testa’, avendo massacrato 1.200 persone a sangue freddo e avendo fatto quello che sappiamo? Io sono rimasta senza parole, seppur in genere io rimanga difficilmente senza parole. Ma ero esterrefatta”.

“Sono accaduti altri episodi, da quando lo Stato di Israele ha iniziato a dire che l’esercito sarebbe entrato a Gaza – continua la docente -. In sala professori, per esempio, i colleghi si dicevano scandalizzati sostenendo che Israele aveva dichiarato guerra ai palestinesi! Quella volta, con più sangue freddo, ho risposto dicendo che Israele non aveva dichiarato guerra ai palestinesi e che c’era stato un pogrom con 1.200 morti… ma la loro controrisposta è stata: “Quello non è un atto di guerra”! Questo è il clima che rispira e questo è ciò che queste persone insegnano nelle classi”.

Il liceo dove insegna L.V è inoltre stato di recente occupato dagli studenti, in protesta su vari temi. “Hanno fatto un ‘panettone’ di cose diverse – spiega l’insegnante -: no al caro vita a Milano, no alla mancanza di infrastrutture, alla scuola che cade a pezzi e… stop al genocidio! Ma la cosa più allucinate è accaduta quando il dirigente scolastico ha convocato un collegio docenti per aggiornarci sull’occupazione in corso e per riportare le rivendicazioni degli studenti. Lui stesso ha sottolineato che si trattava di un ‘panettone’ di temi differenti, dal no al caro vita a stop al genocidio, ripetendolo però pari pari senza aggiungere altro e quindi in un certo senso sdoganando il termine ‘genocidio’! Ormai questa è la parola dell’anno: nemmeno un dirigete ha l’energia per dire ai suoi docenti o ai ragazzi che occupano la scuola che, a prescindere dalla valutazione politica che si voglia dare, la definizione di quei fatti non può essere ‘genocidio’! I ragazzi del liceo, che risentono di quella visione politica da anni Settanta, andrebbero così in piazza per la Palestina come farebbero contro il carovita, come se fosse un modo per convogliare rabbia e proteste adolescenziali, ma non conoscono per niente i fatti. Se si chiedesse loro quali sarebbero i territori che Israele starebbe occupando, loro risponderebbero: ‘tutto’. Ma come tutto? Allora Israele andrebbe cancellato dalle mappe? Non conoscono la storia, anche perché nessuno la insegna loro”.

A scuola sono poi successi altri episodi: sono state trovate nei bagni delle stelle di David con vicino il numero 1 e il numero 2 e delle scritte che recitano ‘free Gaza’. “L’atmosfera che si respira è molto pesante – rivela la docente -. Ci sono persone che per esempio all’improvviso smettono di parlarti. Da non credere. Per settimane, quando io entravo in sala professori cadeva il silenzio. Poi, visto che in genere col tempo tutto si alza o si abbassa, come una marea, dopo il mese di novembre le acque hanno iniziato a calmarsi un po’ e l’attenzione non era più così alta su questi fatti di cronaca. Ma per lungo tempo ho faticato a stare in sala professori, perché da parte di alcuni sentivo ostilità. Comunque, penso che dire di fronte a un collega ebreo che “finalmente i palestinesi hanno alzato la testa” sia davvero qualcosa di pesante. Come se venisse tolto il coperchio da un vaso di Pandora che nel corso degli anni non ha mai smesso di esserci. C’era stato anche un sistematico boicottaggio delle attività legate al Giorno della Memoria. Personalmente, non ho invece ricevuto alcuna ostilità da parte dei ragazzi – conclude L.V. -, da un lato perché mi illudo che mi vogliano bene, ma è anche vero che dall’altro potrebbero avere timore delle conseguenze scolastiche”.

 

La lettera del professore di Cuneo ai suoi studenti liceali
che hanno affisso uno striscione “stop al genocidio” sulla facciata della scuola:

“Gentilissimi studenti, penso che ci sia stato un qui pro quo. Probabilmente la mia passionalità sulla questione mediorientale è stata travisata. Voi mi conoscete. Gli altri no. Il cartellone è stato rimosso con il consenso della presidenza perché una scuola o meglio i muri esterni di una scuola non sono i luoghi per prese di posizione sulla politica estera. Se proprio la scuola volesse farlo, lo decide il consiglio di istituto. E non un gruppo di persone. Se chiunque lo potesse fare, perché non scrivere frasi razziste, proclami politici o inni ad una squadra di calcio? Sarebbe un caos.

Ma in questo caso specifico, come abbiamo detto nelle numerose lezioni dedicate a questo argomento e anche nei giorni scorsi, la situazione è troppo complessa per essere semplificata. Esiste un gruppo terroristico che, dopo aver lanciato e di fatto inventato l’uso sistematico del terrorismo suicida, dal 1994 boicotta gli accordi di pace e da 16 anni controlla Gaza creando un clima di terrore e lanciando missili e attacchi su Israele. Ultimo ovviamente il pogrom del 7 ottobre, la peggiore caccia all’ebreo dai tempi del nazismo.

Sappiamo che l’attuale governo israeliano è imbarazzante. Che una parte dei settlers della Cisgiordania è violenta (non a caso sono oggetto di sanzioni Usa). Che l’uso della forza da parte israeliana è stato a volte esagerato. Sappiamo anche che la popolazione di Gaza è stretta tra Hamas che la controlla e non la lascia fuggire e Israele che finisce per colpirla (ma non volontariamente) per snidare Hamas e trovare i 130 ostaggi nei 700 chilometri di tunnel. Ma è anche vero che l’esercito israeliano manda messaggi dal cielo e scrive messaggi sui cellulari per spingere i Gazawi a spostarsi per non essere colpiti.
È una situazione orribile, che personalmente mi crea una sofferenza enorme perché amo questi popoli sfortunati.

È una situazione orribile. come lo sono tutte le guerre, ma non è un genocidio.
Affermare che invece è in corso un genocidio, ovvero la sistematica decisione di eliminare un popolo perché è quel popolo lì, è un modo subdolo di far passare l’idea che gli ebrei siano i nuovi nazisti. Se in questa scuola ci sono degli ebrei penso che vedere uno striscione del genere li faccia sentire oggetto di odio.

Io sogno un mondo dove la complessità è riconosciuta perché solo in questo modo i problemi possano essere risolti. Non con slogan semplificatori e irrispettosi nel dramma in atto, anche se pronunciati o scritti in buona fede”.