di Ludovica Iacovacci
Stasera, alle 20:45, al Bluenergy Stadium di Udine, l’Italia affronta Israele per la gara di ritorno in Nations League. Sullo sfondo c’è la guerra in Medio Oriente: anche se il calcio dovrebbe c’entrare poco con la politica, in Italia ogni occasione è buona per fare polemica, a maggior ragione se la questione tocca Israele. È per questo motivo che oggi a Udine l’allerta è massima, l’antiterrorismo blinda lo stadio e gli hotel delle squadre, e la città è divisa in due: da una parte ci sono coloro che assisteranno al match di Nations League tra Italia e Israele, che avrà luogo in periferia, e dall’altra, in centro ad alcuni chilometri di distanza, i partecipanti daranno vita alle ore 17 alla manifestazione pro Palestina, un ennesimo corteo di fanatici che da più di un anno crea disordini nelle varie città del Paese. Non dovrebbero esserci punti di incontro tra i due eventi, al netto degli sbarramenti che impediranno ad eventuali facinorosi di raggiungere l’impianto sportivo, ma d’altro canto sono prevedibili contestazioni in campo contro giocatori israeliani da parte di tifosi italiani per l’avversione provata contro lo Stato ebraico, come già avvenuto a Budapest quando buona parte dei tifosi italiani presenti alla Bozsik Aréna si girò di spalle durante l’esecuzione dell’Hatikvah, l’inno nazionale di Israele.
Venduti meno della metà dei biglietti
Il boicottaggio contro Israele, dagli stadi alle università, porta marci frutti per l’Italia: sono stati venduti poco meno di 12mila i biglietti, meno della metà della capienza dello stadio, ma nonostante questo, l’allerta rimane alta e sono stati predisposti centinaia di agenti e di steward, in base al servizio d’ordine della Questura, che controlleranno i 13 accessi dell’impianto nel quartiere Rizzi, per garantire la sicurezza a giocatori e spettatori.
Il match delle polemiche
La partita Italia-Israele è da tempo al centro di polemiche, innanzitutto per l’iniziale decisione del Comune di non concedere il patrocinio, poi arrivato dopo il ripensamento del sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, e un lungo dialogo con la Figc (Federazione Italiana Giuoco Calcio). Una parte della maggioranza di centrosinistra che sostiene il primo cittadino non ha gradito la decisione, annunciando che parteciperà unicamente al corteo pro-Palestina. Il Centro di Accoglienza di Zugliano, Rete DASI e Campagna “Ponti e Non Muri”, in una nota hanno scritto che, nonostante ci sia tutt’oggi un lungo processo in corso e nessuna sentenza sia stata emessa, “la Corte Internazionale di Giustizia ha sentenziato” scrivono le associazioni “un plausibile genocidio in corso”, arrivando a paragonare l’apartheid del regime del Sudafrica, escluso dalle Olimpiadi, con lo Stato di diritto democraticamente esercitato in Israele, tentando di abbozzare una tesi per giustificare la loro contrarietà allo svolgimento della partita. Non è arrivato a tanto il ct Luciano Spalletti, che al Tg1 di Coverciano afferma: “Si va a giocare con la speranza di convincere sempre qualcuno in più. Io penso che ci siano molti israeliani che non vogliono la guerra. E noi dobbiamo convincere sempre qualcuno in più che questa è una cosa che deve finire”, esprimendo l’auspicio della “pace in questo pezzo di terra” ed incarnando un emblematico esempio di retorica italiana sulla questione mediorientale.
Il giornalista de Il Corriere della Sera Antonio Polito nella sua video-rubrica chiamata «Palomar» commenta le dichiarazioni rese in conferenza stampa dal ct della nazionale italiana di calcio, Luciano Spalletti, riguardo al conflitto in Medio Oriente. «Ha fatto bene il ct della nazionale di calcio a fare un appello per la pace, come se fosse il Segretario Generale dell’Onu. Ci aspettiamo che lo stesso farà anche con l’Iran o la Russia se mai dovessimo affrontare in campo anche quelle nazioni». Polito sottolinea che Luciano Spalletti ha ragione nel dire che molti israeliani vogliono la pace «Perché gli israeliani non dovrebbero volerla? – nota – È nel loro interesse, ma dal pogrom del 7 ottobre non si fidano più di poter avere pace da chi ha deciso di distruggerli. Pensano di poterla solo imporre con la guerra. Così anche il governo del Paese finisce col fare delle scelte che allontanano la pace. Sparare sulla Croce Rossa non è certo il modo migliore per assicurarsi le simpatie del mondo – continua Polito – e bene ha fatto la nostra premier Meloni nel protestare contro Netanyahu. Ma se si vuole distribuire torti e ragioni in quel conflitto bisogna conoscerne la storia. E se una personalità autorevole e ascoltata come il commissario tecnico della nazionale vuole rivolgere appelli per la pace in Medio Oriente, deve saperli rivolgere anche ad Hamas, a Hezbollah e agli Ayatollah che quest’ultima guerra l’hanno cominciata» evidenzia il giornalista, concludendo: «Altrimenti, a partire da stasera, finisce con l’essere soltanto un modo per aizzare delle curve già troppo affollate di ultrà».