Una svolta storica nella disciplina
dei risarcimenti ai perseguitati

Italia

di Redazione

La legge di Bilancio, pubblicata il 30 dicembre nella Gazzetta Ufficiale, inserisce delle novità importanti: cambia l’onere della prova di avere subìto violenze e persecuzioni

Sono i famosi “assegni di Benemerenza” ai quali hanno diritto gli ebrei perseguitati in Italia dal regime fascista. Per ottenerli, però, quanta burocrazia! E soprattutto l’onere della prova, cioè la necessità di produrre documentazione di avere subito persecuzioni, violenze, discriminazioni. Come se non fosse già insito nelle Leggi razziali che tutti coloro che avevano una determinata età in quegli anni furono cacciati da “tutte le scuole del regno” e persero il lavoro.

Ora, però, dopo tanti anni e ormai con pochi “aventi diritto” ancora in vita, nella Legge di Bilancio (dal 30 dicembre 2020 in Gazzetta Ufficiale) sono state inserite alcune novità per il riconoscimento delle “benemerenze” ai cittadini italiani di religione ebraica.

La Legge di riferimento è del 10 marzo 1955 (primo firmatario Umberto Terracini) “Provvidenze a favore dei perseguitati politici o razziali e dei loro familiari superstiti”. Tale legge, pur riconoscendo il diritto al risarcimento, conteneva due aspetti che ne hanno  limitato l’applicazione: uno temporale e uno giuridico. Il primo limitava il periodo agli anni 1938-1943, come se dal momento dell’occupazione tedesca il fascismo non fosse più “responsabile” della persecuzione antiebraica. Il secondo, quello “giuridico”, è relativo all’onere della prova, spettando al perseguitato produrre documenti (pagelle scolastiche, lettere di licenziamento, documenti di residenza…) atti a dimostrare di avere subito le persecuzioni razziali.

“Il comma 373 precisa – dice la presidente UCEI Noemi Di Segni –  il superamento del limite temporale dell’8 settembre 1943, chiarendo quindi una volta per sempre che la persecuzione subita è riferita all’intero periodo dell’occupazione nazifascista e si conclude il giorno della liberazione, quindi il 25 aprile del 1945. Fino a questa data vi erano ancora persecuzioni sia da parte degli occupanti nazisti sia dei fascisti. La persecuzione di cui l’Italia deve rispondere non è solo quella fascista e non finisce con l’invasione successiva all’armistizio.

Il secondo elemento fondamentale è quello dell’onere della prova. Fino a ieri qualsiasi richiedente doveva produrre la prova dell’atto persecutorio – dimostrare quindi di aver sofferto e di aver subito atti di violenza e sevizie, con documenti originali o testimoni. Al di là della difficoltà oggettiva di fornire tali prove e al di là della valutazione estremamente variabile di cosa si intende per atto persecutorio vi era una umiliante decisione di ammissibilità soggettivizzata. Dopo l’onta e le esclusioni da ogni ambito della vita dovuta alle leggi razziste, dopo la persecuzione fisica e la deportazione, gli ebrei dovevano ancora dimostrare la ‘corretta’ applicazione di tale persecuzione nei loro riguardi, e questo dopo la formale abolizione delle leggi antiebraiche, dopo la Costituzione del 1947″.

Con la nuova disposizione si chiarisce che gli atti di violenza o le sevizie subite in Italia o all’estero si presumono fino a prova contraria.

Finisce dunque l’umiliante trafila burocratica, l’affannosa ricerca di documenti polverosi di decenni, la delusione di non vedersi riconosciuta la “benemerenza” per la soggettiva interpretazione delle prove prodotte, quasi che la persecuzione e il dolore subiti non fossero stati “sufficientemente” gravi. Non erano mancate situazioni paradossali, come il caso di Lili Ascoli, per la quale  l’internamento del marito Renzo Bonfiglioli nel campo di concentramento di Urbisaglia dal 1940 al 1941, la morte della mamma in un lager nel 1944 e l’espulsione del figlio Gerio dalla scuola pubblica “non possono costituire direttamente atti di violenza” come aveva detto la Corte dei Conti.

“Quello di oggi è un passaggio che dobbiamo considerare come fondamentale – commenta Noemi Di Segni – e sui cui si è lavorato moltissimo. Il riconoscimento per questa svolta, dopo oltre 80 anni, va al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha accolto la nostra proposta di istituire una nuova commissione per approfondire la tematica – convinto assieme a Mef e ministero della Giustizia della problematica sottoposta – allo staff della Presidenza del Consiglio che si è dedicato e ha seguito tutto l’iter per giungere alla definitiva approvazione di questi emendamenti, al Presidente emerito della Corte suprema, Giovanni Canzio, che ha guidato i lavori della Commissione designata, svolgendo le indagini e gli approfondimenti tecnico legali, con la partecipazione anche di UCEI, Aned e Anppia che hanno affiancato gli esperti del Mef e del ministero della Giustizia. Non finisce con questo passaggio e vi sono altri aspetti sui quali saranno necessari ulteriori chiarimenti interpretativi e normativi, sui quali auspichiamo possa proseguire questa efficace azione concorde tra UCEI, governo e gli altri ministeri interessati”.