Università occupate: quanto costano alla collettività? Basta con questo irrespirabile clima di odio

Italia

di Nathan Greppi

Il BDS nelle università italiane, dopo il 7 ottobre. Docenti schierati con i proPalestina o solo pavidi e ipocriti? Il risultato non cambia: manifestazioni violente, prevaricazioni e danni economici hanno creato un ambiente invivibile. Ma c’è anche chi si oppone con forza, come le Rettrici della Sapienza e di Padova

 

Quando, nel novembre 2023, uscì un appello firmato da oltre 4.000 accademici italiani che chiedevano l’interruzione di ogni cooperazione con le università israeliane, Jacopo rimase stupito nel riconoscere tra i firmatari almeno due suoi ex professori; giusto pochi mesi prima, uno dei due aveva fatto parte della sua commissione di laurea, davanti alla quale aveva discusso senza problemi una tesi di argomento ebraico. A maggio, Jacopo ha saputo da un israeliano, che ancora studia nel suo stesso ateneo, che tutti gli studenti hanno ricevuto una mail, da parte dei collettivi propal che l’avevano occupato, in cui si chiede a tutti di sostenere il boicottaggio.
Se prima del 7 ottobre gli appelli al boicottaggio di Israele erano presenti in numeri irrisori, perlomeno se paragonati a ciò che avviene nei paesi anglosassoni, dall’anno scorso anche nel nostro paese si è assistito ad un’impennata di adesioni al BDS da parte di numerosi studenti e docenti universitari. E chi, come Jacopo, ha famiglia in Israele, ha visto diversi studenti che credeva suoi amici dapprima non mostrare alcuna empatia per le vittime del 7 ottobre e poi accusare Israele di “genocidio” dopo l’inizio dell’operazione militare a Gaza.

 

L’ODIO STUDENTESCO

Per avere un’idea di quanto sia diffuso il fenomeno, a novembre sono stati pubblicati i risultati di un sondaggio condotto dall’Istituto Cattaneo di Bologna, per il quale erano stati intervistati tra settembre e ottobre 2.579 studenti delle università di Milano Bicocca, Padova e Bologna. Il 46,3% degli studenti si dice convinto che il governo israeliano si comporti con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei, e tale percentuale sale al 59,7% per chi si colloca “molto a sinistra” e al 47,4% tra chi si colloca “molto a destra” (scendendo invece tra quelli di centrosinistra e centrodestra, rispettivamente al 45,5% e al 41,7%). Inoltre, il 30,6% degli intervistati pensa che gli ebrei si approfittino dello sterminio nazista per giustificare le politiche israeliane, e il 29,6% che gli ebrei siano passati dall’essere vittime ad aggressori.
A causa di questo clima d’odio, gli studenti israeliani che frequentano le università italiane si sono ritrovati sempre più a disagio: secondo un sondaggio condotto alla fine del 2023 dall’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC di Milano, l’80% degli studenti israeliani in Italia dichiara di aver cercato di nascondere simboli ebraici o la propria identità israeliana all’interno dell’ateneo; il 75% ha detto di aver paura di parlare in ebraico ad alta voce all’università o per strada; quasi il 70% dichiara di non dire in giro di essere ebreo o israeliano; quasi la metà afferma di non essere andata ad eventi della comunità ebraica, in sinagoga o presso centri Chabad perché aveva paura; il 35% dichiara di aver smesso di indossare qualunque segno distintivo della propria identità, come la kippà o la Stella di David al collo; il 60% degli studenti aveva saltato una lezione nella settimana precedente perché aveva paura di andare all’università; il 32% ha detto di avere paura di un altro studente che frequenta la sua stessa classe; e infine, circa il 35% si è imbattuto in un post neonazista, antisemita e/o violento pubblicato da un altro studente.

 

LA DEBOLEZZA DEI SENATI ACCADEMICI

A causa delle pressioni esercitate da collettivi studenteschi di estrema sinistra, diversi atenei si sono piegati al boicottaggio. Capofila di questa deriva è stato il Senato Accademico dell’Università di Torino, la cui seduta di marzo è stata interrotta dai manifestanti dei collettivi Progetto Palestina e Cambiare Rotta, che hanno dapprima bloccato la riunione del Senato e poi ottenuto un’assemblea pubblica per l’interruzione dei rapporti con gli atenei israeliani. Per tutta risposta, tutti i membri del Senato Accademico hanno votato a favore della non partecipazione al bando 2024 Italia-Israele promosso dal MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) per la collaborazione nella ricerca scientifica con gli atenei israeliani. Unica a votare contro la sospensione, la docente e direttrice del dipartimento di matematica Susanna Terracini.

Quella di Torino non è l’unica università italiana dove sono aumentati gli appelli al boicottaggio: alla Scuola Normale Superiore di Pisa, a fine marzo è stato approvato un documento per dire no al bando del MAECI, e lo stesso ha fatto un mese dopo l’Università di Bari “Aldo Moro”. Mentre a giugno l’Università di Palermo è stata la prima in Italia a sospendere tutti gli accordi con gli atenei israeliani.

 

 

A dispetto di questi casi, ci sono anche episodi di netta opposizione al boicottaggio da parte delle istituzioni accademiche: Antonella Polimeni, rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, ha deciso di andare avanti in un progetto congiunto con l’Università Ebraica di Gerusalemme nonostante le proteste. Si è opposta al boicottaggio anche Daniela Mapelli, rettrice dell’Università di Padova.

 

Entrambe hanno denunciato anche gli atti vandalici condotti dai manifestanti propal durante le occupazioni e i conseguenti danni economici per gli Atenei: «A fine maggio i danni causati dagli atti vandalici all’interno della Sapienza ammontavano a 330 mila euro, ma la violenza è proseguita e i danni sono aumentati». La stima è della rettrice dell’ateneo romano, Antonella Polimeni, che evidenzia i danni arrecati anche «alla cappella e agli spazi dedicati ai servizi per le studentesse e gli studenti con disabilità». E per quanto riguarda l’Università di Padova, come riporta Il Foglio, la rettrice Daniela Mapelli ha dichiarato: «Non lasceremo che la prevaricazione di un manipolo di studenti, accompagnati da persone che nulla c’entrano con l’accademia, possa impedire il diritto inviolabile alla formazione della nostra comunità studentesca», riferendosi al fatto che l’occupazione fosse composta per il 40 per cento da studenti e per un 60 per cento da persone che provenivano da movimenti e centri sociali di tutto il Veneto. Gli occupanti hanno imbrattato i bagni che era stato loro concesso di usare durante l’occupazione. Hanno attaccato scotch e adesivi su colonne, muri e grondaie storiche del palazzo. Secondo la rettrice, l’occupazione ha richiesto un servizio di guardia e pulizie straordinarie e i danni ammontano a oltre 100mila euro.

 

 

Boicottaggio, violenze e aggressioni
Per tornare al boicottaggio, a parte il MAECI, ci sono state anche altre iniziative: a giugno, la maggioranza dei docenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna ha votato a favore dell’interruzione degli scambi Erasmus con Israele a partire dall’anno accademico 2024/2025, e in particolare un accordo di scambio con un istituto di design, lo Shenkar – Engineering Design Art di Tel Aviv.

In taluni casi, sono stati presi di mira anche intellettuali di sinistra “colpevoli” di non aver aderito al boicottaggio. È quello che è successo a Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena; pur essendosi dichiarato favorevole ad un immediato cessate il fuoco a Gaza, a febbraio è stato contestato durante l’inaugurazione del nuovo anno accademico da un gruppo di attivisti filopalestinesi, i quali poco prima avevano interrotto anche l’intervento del Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini.

Se nel caso di Montanari gli attacchi ricevuti erano solo verbali, più aggressiva è stata la protesta avvenuta all’Università di Genova, dove i membri dei collettivi hanno sfondato la porta della sala in cui si riuniva il Senato Accademico. Al rifiuto del rettore Federico Delfino di cedere alle pressioni sul boicottaggio, i manifestanti gli hanno gridato contro “genocida” e “assassino”, oltre ad aggredirlo fisicamente e a spintonarlo.
Per prevenire disordini e attacchi da parte dei collettivi, in certe università si è scelto di spostare la sede per le riunioni. È il caso ad esempio del Politecnico di Torino, che a inizio maggio ha tenuto la propria riunione in un’altra sede rispetto a quella abituale. Ciò non ha impedito che giungessero collettivi come Cambiare Rotta e Progetto Palestina e sindacati come USB, FLC e CGIL, i quali hanno cercato di imporre una mozione per sospendere gli accordi con gli atenei israeliani. Il Senato Accademico del Politecnico ha respinto la mozione, approvando invece un documento che chiedeva un cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi.

 

FILOISRAELIANI CENSURATI
Dopo il 7 ottobre, la censura negli atenei italiani di personaggi filoisraeliani si è fatta sempre più evidente: l’8 marzo è successo a David Parenzo, ospite di un incontro all’Università La Sapienza di Roma organizzato dagli studenti dell’associazione di destra Azione Universitaria. In quell’occasione, numerosi manifestanti dei collettivi di sinistra lo hanno contestato, impedendo lo svolgimento dell’incontro e chiamandolo “fascista” e “razzista”.
Circa una settimana dopo i fatti della Sapienza, è stato il turno del direttore de La Repubblica Maurizio Molinari, contestato dai manifestanti filopalestinesi all’Università di Napoli Federico II. Giunto per un evento dal titolo Ruolo della cultura nel contesto di un Mediterraneo conteso, Molinari ha visto l’incontro saltare dopo che decine di studenti sono entrati, scontrandosi con la polizia al grido “Fuori i sionisti dall’università”.

 

IL CONTESTO MILANESE
Le cose non vanno meglio a Milano, e in particolare all’Università Statale: il 7 maggio, era previsto un convegno intitolato Israele: storia di una democrazia sotto attacco. Terrorismo, propaganda e antisemitismo 4.0. La sfida all’occidente, nel quale il pubblico avrebbe dovuto assistere anche alla proiezione del docufilm #NOVA sul massacro compiuto il 7 ottobre dai terroristi di Hamas al Nova Music Festival. Tuttavia, a pochi giorni dall’evento gli organizzatori hanno dovuto annullarlo, dopo giorni di minacce da parte dei collettivi, tanto che la questura era pronta ad allestire un cordone di sicurezza. Il movimento Cambiare Rotta ha celebrato come “una grande vittoria” l’annullamento dell’evento alla Statale, definito “l’ennesimo becero tentativo di sdoganare un’ideologia violenta e colonialista come il sionismo all’interno della nostra università”.

L’ateneo milanese è stato al centro di episodi di ostilità nei confronti delle voci filoisraeliane anche in altre occasioni: il 24 aprile, nel corso di un’assemblea pubblica in Statale sulla guerra in corso, diversi studenti hanno chiesto ai dirigenti dell’ateneo di sospendere tutti gli accordi con le università israeliane. Tuttavia, uno studente di Scienze Politiche, Pietro Balzano, ha avuto il coraggio di andare controcorrente, dichiarando: “Io non ho sentito nominare una volta Hamas durante questa riunione. Buona parte degli israeliani ha manifestato contro Netanyahu, ma per voi Israele e Netanyahu sono la stessa cosa mentre Palestina e Hamas sono due cose diverse. La distinzione va fatta in entrambi i casi”. A quel punto, dalla platea si sono alzate voci di dissenso contro Balzano, il quale ha proseguito dicendo: “Le Università israeliane rappresentano in molti casi un’avanguardia e non hanno alcun legame con l’apparato militare israeliano”.

Nonostante la visibilità mediatica raggiunta per le proteste antisraeliane, Cambiare Rotta rappresenta una minoranza rumorosa nel mondo universitario: alle elezioni studentesche di maggio alla Statale di Milano, hanno ottenuto appena 180 preferenze su 7.519 votanti (su un totale di 58.442 aventi diritto).
Stanchi delle occupazioni abusive da parte di frange minoritarie che pretendono di dettare l’agenda a tutti gli studenti, sempre a maggio tre gruppi studenteschi della Statale hanno firmato assieme all’UGEI (Unione Giovani Ebrei d’Italia) una lettera aperta contro ciò che stava accadendo: “Odio ed intolleranza non devono aver posto nelle nostre Università. Episodi discriminatori di qualsiasi genere ed in particolare verso studenti di fede ebraica come quelli avvenuti in queste ultime settimane, sono totalmente inaccettabili e devono essere perseguiti”, hanno scritto i firmatari, poco prima che l’occupazione in Statale venisse smantellata.

 

Strascichi anche nel futuro
Complessivamente, in questi mesi il mondo accademico italiano ha tirato fuori il proprio lato peggiore, facendo passare il messaggio che chi è vicino a Israele non è il benvenuto nelle nostre università. Anche dopo che la guerra in Medio Oriente sarà finita, è probabile che il clima d’odio che si è venuto a creare lascerà delle cicatrici profonde.