Valsesia, la “Terra Promessa” in provincia di Vercelli, è la nuova casa degli israeliani in fuga dal conflitto

Italia

di Pietro Baragiola
In un territorio a rischio di desertificazione demografica, un ebreo italiano residente in Israele ha sviluppato il progetto Baita per accogliere i tanti israeliani che stanno lasciando il Paese. Nel 2024 più di 80 famiglie si sono trasferite e 400 di loro sono soci del Progetto. Un esempio di iniziativa e integrazione con la gente della zona, che apprezza questa novità.

L’incertezza e la tensione generate dal conflitto in Medio Oriente ha spinto sempre più israeliani a lasciare le proprie dimore in cerca di una nuova casa.

Per rispondere a questa esigenza è nato il Progetto Baita, l’associazione senza scopi di lucro che intende proporre come meta prescelta l’area verdeggiante di Valsesia, incastonata nel cuore delle alpi.

“Tutti si innamorano della Valsesia, affascinati dalla bellezza del suo paesaggio e dall’accoglienza dei suoi abitanti” ha affermato Ugo Luzzati, fondatore del progetto, nella sua intervista rilasciata a La Stampa. “Vediamo arrivare sempre più famiglie che decidono di trasferirsi e investire nel nostro territorio in cerca di una vita tranquilla e serena, lontana dai pericoli della guerra.”

La creazione del Progetto Baita

Ugo Luzzati
Ugo Luzzati

Originario di Genova, Ugo Luzzati ha vissuto gran parte della sua vita in Israele, dove si è sposato ed ha avuto cinque figli.

“Durante le vacanze la mia famiglia ed io venivamo spesso in Valsesia, ma ad un certo punto ho iniziato a trascorrerci sempre più tempo fino a decidere di trasferirmici definitivamente” ha raccontato Luzzati. “Israele sta cambiando, sento che si è rotto qualcosa.”

L’idea di aprire l’invito a tutti gli israeliani è nata da una conversazione con una maestra del comune di Valsesia che si lamentava di continuo con lui di come le scuole fossero quasi sempre vuote in quanto c’erano sempre meno studenti.

“È stata quella conversazione a darmi un’illuminazione: portiamo le famiglie israeliane in Valsesia” ha affermato Luzzati che nel 2022 ha ufficialmente fondato Progetto Baita con l’obiettivo di seguire passo dopo passo gli immigrati israeliani per aiutarli ad inserirsi e ad ambientarsi nella nuova realtà.

Il nome dell’associazione deriva dalla parola ebraica “bait” che significa “casa”.

Oggi a causa della guerra con Hamas sempre più cittadini israeliani si sono trasferiti nel comune della zona che si estende da Borgosesia passando per Varallo, Cravagliana, Civiasco, Balmuccia e Scopello, fino a Rimasco.

“Dal 7 ottobre in poi la nostra associazione ha avuto un ruolo fondamentale” ha affermato Luzzati, spiegando che entro la fine del 2024 più di 80 famiglie si sono trasferite nell’area e 400 di loro sono soci del Progetto Baita.

 

Gli israeliani della Valsesia

Come precisato da Luzzati, quasi tutti i nuovi arrivati sono laureati e ricoprono posizioni di rilievo: medici, ingegneri, informatici e farmacisti.

“Durante gli ultimi convegni sulla sanità si è iniziato a parlare della possibilità di coinvolgere questi professionisti nelle strutture locali” ha raccontato il fondatore di Progetto Baita.

In modo da agevolare la propria transizione molti israeliani hanno scelto di frequentare corsi di lingua italiana prima dell’arrivo a Valsesia e chi ha già dimostrato dimestichezza con il nuovo idioma si è inserito velocemente trovando subito lavoro.

Come affermato su Il Foglio da Gianni Tognotti, ex sindaco di Rimasco e vicepresidente del Progetto Baita, i nuovi arrivati prediligono terreni e case indipendenti in pietra, tipiche della zona, ‘comode e sicure ma con la possibilità di dotarsi di collegamenti a internet’.

“È ammirevole la volontà di queste persone di integrarsi a pieno nel territorio. Molti in età pensionabile hanno chiesto di poter aiutare le associazioni locali come volontari” ha spiegato l’ex sindaco sottolineando che persino le scuole hanno raggiunto un indice di produttività e presenza che non si vedeva dagli anni ’60.

A Varallo la pronipote del premio Nobel per la letteratura Shmuel Yosef Agnon ha aperto un corso di ebraico riservato a classi di 30 italiani per agevolare la comunicazione con i nuovi arrivati. Questa cultura di integrazione è stata molto apprezzata anche sui social, aggiudicandosi diversi commenti di approvazione.

“Prima del loro arrivo il nostro era un territorio a rischio di desertificazione demografica. Oggi siamo rinati e, insieme, possiamo rendere ancora più bella la nostra comunità” ha concluso Tognotti.