di Ilaria Ester Ramazzotti
Le immagini dell’acqua alta a Venezia degli ultimi giorni hanno fatto il giro del mondo. Le due maree che hanno raggiunto i 187 e i 154 centimetri hanno colpito la città e aperto discussioni e polemiche sulla futura conservazione di una delle più preziose località artistiche del mondo.
Anche lo storico ghetto ebraico è stato inondato dall’acqua, che ha raggiunto Campo di Gheto Novo. Per quanto riguarda le strutture della Venezia ebraica, “stiamo effettuando ancora la conta dei danni e non abbiamo un dato preciso, ma una prima stima potrebbe essere superiore a 40 mila euro”, spiega a Mosaico Michael Calimani, segretario generale della Comunità Ebraica di Venezia.
“L’acqua alta eccezionale del novembre non ha provocato danni alle sinagoghe e alla Biblioteca-Archivio Renato Maestro, per cui era stata prevista anni fa una vasca di contenimento che la rende stagna – ha continuato -. Il Museo Ebraico ha invece subito danni al piano terra, in particolare nel bookshop, dove una considerevole quantità di materiali sono stati sommersi. Inoltre, i sistemi di sicurezza all’entrata che sono fuori-uso. La Casa di riposo, che ospita anche la foresteria della Comunità, la Kosher House Giardino dei Melograni, ha avuto il piano terra completamente allagato con danni all’impianto elettrico, agli ascensori e alle linee telefoniche. Anche alcuni magazzini della Comunità Ebraica siti nell’area del Ghetto sono rimasti danneggiati”.
Ma non è tutto. “Oltre ai danni provocati dall’acqua alta – prosegue Calimani -, sono da considerare quelli provocati dal forte vento, che ha superato i cento chilometri all’ora. Al cimitero ebraico antico e moderno, sull’isola del Lido di Venezia, sono caduti un numero considerevole di alberi, il terreno è stato smosso e alcune lapidi sono state spezzate”.
In restauro il Fondo Torrefranca rimasto sommerso
Non è stata risparmiata dall’ ‘acqua granda’ nemmeno la biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello, a palazzo Pisani. Qui era conservato il Fondo Torrefranca, il patrimonio culturale di inestimabile valore messo insieme da Fausto Torrefranca (1883-1955), musicologo e accademico. Un tesoro da qualche anno finito al piano terra dell’edificio e quindi sommerso dalla marea.
“Di mio nonno, so quel che sanno i più. Non l’ho mai conosciuto, morì un anno e mezzo prima che nascessi. Ma ho conosciuto intimamente il suo lascito forse più grande: l’inestimabile biblioteca costruita da lui con pazienza, acribia, scienza, previsione, cui sacrificò tutte le sostanze della sua famiglia”. Lo spiega su Facebook Massimo Acanfora Torrefranca, docente universitario e collaboratore dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nipote di Fausto Torrefranca, marito di Simonetta Della Seta, direttrice del Meis, il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah.
“Quella biblioteca comprendeva incunaboli, cinquecentine, prime edizioni, manoscritti, tutti di inestimabile valore, tutti, naturalmente, di argomento musicale. Fonti imprescindibili per lo studio della musica del Quattrocento, della polifonia cinque e seicentesca, per lo sviluppo dell’opera, per lo studio della nascita e dello sviluppo della scenografia per il teatro musicale, per lo studio delle aree grigie nella storia della musica, per la conoscenza della musica strumentale italiana del Settecento”, bozzetti di scenografie del Seicento di Giacomo Torelli”.
Un tesoro famigliare generosamente venduto al Conservatorio veneziano negli anni Settanta, perché restasse tutto intero in Italia. “La Library of Congress” degli Stati Uniti “per una somma astronomica proponeva di prendersi il meglio, e la famiglia sarebbe stata libera di vendere il resto” – ricorda Massimo Acanfora -. La cifra per l’intera biblioteca era meno di un quinto di quanto offerto dagli americani per le sole parti più pregiate”. “Stupido idealismo ed ancora più stupida affezione a un Paese che non si merita nulla. Oggi scopro, ex post, che qualche genio preclaro, qualche anno fa, spostò la biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello, Fondo Torrefranca compreso, al piano terra, quando tutto il mondo sa che il Conservatorio veneziano è particolarmente soggetto all’acqua alta. Si spesero un sacco di soldi per questa idiozia, della quale ci si vantò pubblicamente sui giornali locali”, scrive amareggiato. L’archivio era stato infatti spostato dal piano superiore al piano terra nel 2014, dopo lavori di ristrutturazione costati 190 mila euro.
Diamo uno sguardo più nel dettaglio ai danni, dei quali studenti ed ex studenti del Conservatorio hanno pubblicato fotografie sui social media, dopo essere intervenuti come volontari al salvataggio dei documenti dello storico archivio. “Sono stati danneggiati ben 65 metri lineari di scaffali, non tutti del Fondo Torrefranca, che sono andati completamente in acqua – descrive amareggiato Acanfora ai media della Comunità Ebraica di Milano -. Pensiamo a quanti libri e documenti possono stare in 65 metri lineari. Siamo un po’ alla demenza. Documenti preziosi che sono stati archiviati al piano terra e per giunta dentro dei contenitori compact. Anche un ragazzino avrebbe capito”.
Nel frattempo il Conservatorio, come riporta Venezia Today, ha fatto sapere che “sono stati spostati ai piani superiori tutti i volumi bagnati sotto la sorveglianza della responsabile bibliotecaria e con l’ausilio della Sovrintendenza ogni documento è stato tamponato con fogli di carta assorbente, catalogato e imballato in scatole per essere trasportato. In questo momento una ditta specializzata a Bologna sta procedendo all’operazione di congelamento dei documenti per prevenire ogni ulteriore danno. Secondo le prime valutazioni dei tecnici, tutti i documenti sono stati messi in sicurezza e potranno essere tutti recuperati con un’operazione di restauro. Nelle prossime settimane riceveremo le indicazioni sulle modalità del recupero e restauro dei materiali; operazioni che sarà possibile realizzare grazie al supporto del Ministero”.
“I materiali danneggiati sono tanti e fra i più preziosi – prosegue il nostro intervistato -. Sono stati nel frattempo portati nel laboratorio specializzato a Bologna, dove devono essere sottoposti a dei trattamenti fra i più avanzati disponibili. Viene sbandierato un grandissimo ottimismo sul fatto che si recupererà tutto. Tuttavia nutro seri dubbi su quanto succederà a questi documenti nell’arco di vari decenni, anche perché alcuni di questi documenti hanno seicento anni, sono giunti fino a noi, e non vedo perché non dovremmo porci nella stessa ottica e responsabilità verso le generazioni a venire”, conclude Acanfora. “Ora credo che ci vorranno a spanne da 300 o 400 mila euro per rimettere in sesto i documenti e non sappiamo per quanto. Si stanno comunque facendo delle valutazioni per capire quante muffe, licheni e microorganismi siano entrati nei libri che non sono stati toccati dall’acqua. Questo solo il tempo potrà dirlo. Insomma, la situazione è davvero sconfortante”.