“Credo che sia una notizia importante per tutti noi”, commenta Yasha Reibman dopo la definitiva sentenza che lo assolve dallaccusa di aver diffamato Diliberto e quindi nega il risarcimento di un milione di euro richiesto dallex ministro della giustizia, dirigente dei comunisti italiani.
“Significa che anche in Italia si può criticare loperato dei politici, anche di chi è stato ministro, senza temere ripercussioni sulla propria vita. È la possibilità di essere ebrei a testa alta, di difendere liberamente le nostre idee e le nostre ragioni”.
La vicenda che si è conclusa nei giorni scorsi con la sentenza favorevole a Yasha Reibman, consigliere della Comunità con lincarico alla comunicazione esterna, era iniziata nel febbraio 2006, dopo una manifestazione dell’estrema sinistra in cui erano state bruciate bandiere israeliane. Al corteo aveva partecipato l’onorevole Diliberto, per cui Yasha Reibman, nello stigmatizzare l’accaduto e nel condannare l’antisemitismo di destra e quello di sinistra – spesso mascherato da antisionismo – aveva fatto riferimento al dirigente comunista. Da qui la richiesta di risarcimento dei danni morali per “diffamazione”.
“Vorrei far però riflettere”, continua Yasha, “su un aspetto della vicenda che non è stato abbastanza sottolineato. Di solito nelle cause che riguardano la diffamazione, quindi l”onore”, il risarcimento richiesto è simbolico, una lira, un euro. Anche Cossutta chiese un euro a Berlusconi che gli aveva dato dellassassino in riferimento ad azioni della Resistenza. Il fatto che Diliberto abbia chiesto un milione di euro a un giovane medico, non a un miliardario, credo debba far riflettere”.
Mosaico aveva dedicato ampio spazio alla vicenda, con la pubblicazione di molti messaggi di solidarietà a Yasha Reibman che erano arrivati in redazione:
La motivazione della sentenza
La domanda è infondata.
È sufficiente rilevare come l’attore sia un noto esponente politico e che le affermazioni del convenuto non lo accusano direttamente di razzismo, ma affermano che il Diliberto con il suo comportamento, avrebbe favorito l’antisemitismo nel nostro paese.
Se a ciò si aggiunge che le interviste (e il nutrito dibattito mediatico) seguono ad una manifestazione volta a ribadire la necessità della costituzione di uno Stato palestinese, sembra evidente che le parole usate dal convenuto rientrino nell’ambito della critica politica, per avere lo stesso convenuto organizzato e partecipato palesemente alla manifestazione che aveva assunto un significato di opposizione al governo di Israele.
Anche a voler ritenere che tale critica sia inappropriata, ingiusta, esagerata, pur sempre si tratta di una critica che trae spunto da fatti veri, senza che nella stessa si possano ravvisare gli estremi della strumentalità, della gratuità e dell’attacco alla persona”.
Sentenza n. 3290/2008 del Tribunale di Roma- passata in giudicato 04/09